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Solo una cosa unisce l’Iraq: l’odio per gli Usa

di Patrick Cockburn - 07/01/2008


Gli americani scopriranno, come gli inglesi hanno imparato a loro spese a Bassora, di avere pochi alleati permanenti




Mentre le forze britanniche hanno esaurito la loro funzione in Iraq, che tipo di Paese si lasciano alle spalle? Gli Stati Uniti hanno capovolto la situazione a Baghdad? Il calo della violenza significa che il Paese va stabilizzandosi dopo oltre quattro anni di guerra? Oppure stiamo assistendo solo a una pausa temporanea nei combattimenti?


I commentatori americani in genere stanno facendo lo stesso errore che hanno commesso da quando è stata valutata l’invasione dell’Iraq, cinque anni fa. Guardano all’Iraq in termini eccessivamente semplificati ed esagerano la misura in cui gli Usa stanno facendo politicamente il bello e il cattivo tempo, e hanno il controllo degli eventi nel Paese.


Gli Usa sono la forza più potente in Iraq ma certamente non l’unica. Nell’ultimo anno la politica irachena ha cambiato forma, anche se per ragioni che hanno poco a che vedere con la "surge" – i rinforzi di 30.000 soldati statunitensi – e molto a che vedere con la battaglia per supremazia fra le comunità sunnita e sciita.


Gli arabi sunniti iracheni si sono ribellati contro al Qa'ida in parte perché questa cercava di monopolizzare il potere, ma principalmente perché ha portato la loro comunità vicino alla catastrofe. Per i sunniti, la guerra che conducevano contro l’occupazione Usa era andata sorprendentemente bene da quando era iniziata nel 2003. Era una seconda guerra, quella guidata dal al-Qa’ida contro la maggioranza sciita, che stavano perdendo, con risultati per loro disastrosi. "I sunniti ora pensano di non potere combattere due guerre  –contro l’occupazione e contro il governo – contemporanemente", mi ha detto un amico sunnita a Baghdad la settimana scorsa. "Dobbiamo essere più realisti e  accettare l’occupazione per il momento".


E’ questo il motivo per cui gran parte della rivolta sunnita che non fa riferimento ad al-Qa'ida ha in effetti cambiato bandiera. Una ragione importante del perché al-Qa'ida ha perso terreno così rapidamente è una spaccatura nelle sue stesse fila. Le forze armate Usa  – il Dipartimento di Stato è stato molto marginalizzato nel processo decisionale a Baghdad – non vogliono sottolineare il fatto che molti dei combattenti sunniti che ora sono sul libro paga Usa, che vengono definiti in modo fuorviante "cittadini preoccupati", fino a poco tempo fa appartenevano ad al Qa'ida e hanno le mani sporche del sangue di moltissimi iracheni e soldati americani.


Gli arabi sunniti, cinque milioni su una popolazione irachena di 27 milioni e il perno del governo di Saddam Hussein, erano il nucleo centrale della resistenza all’occupazione Usa. Ma stanno anche combattendo una guerra confessionale per impedire ai 16 milioni di sciiti e ai cinque milioni di kurdi di restare al potere.


All’inizio, gli sciiti sono stati molto pazienti di fronte alle atrocità. Veicoli imbottiti di esplosivo e guidati da kamikaze venivano fatti esplodere regolarmente in mezzo a mercati sciiti affollati o a processioni religiose, uccidendo e menomando centinaia di persone. Gli attentatori venivano da al-Qa'ida, ma gli attacchi non sono mai stati condannati senza riserve dai leader politici sunniti o dagli altri gruppi della guerriglia. Gli attentati inoltre erano assai poco lungimiranti, dato che gli sciiti iracheni superano in numero i sunniti nella misura di tre a uno. Le rappresaglie sono state tenute a freno finché una bomba non ha distrutto il venerato santuario sciita di al-Askari a Samarra il 22 febbraio 2006.


L’attentato ha portato a una offensiva brutale da parte degli sciiti contro i sunniti, che in Iraq è diventata nota come "la battaglia per Baghdad". Questa battaglia è stata vinta dagli sciiti. Nella capitale erano stati sempre la maggioranza, ma, alla fine del 2006, controllavano il 75 per cento della città. I sunniti sono fuggiti o sono stati ricacciati all’interno di poche enclavi, per lo più nella parte ovest di Baghdad.


In conseguenza di questa sconfitta, aveva sempre meno senso che i sunniti cercassero di cacciare gli americani quando la stessa comunità sunnita stava venendo sfrattata con la forza dagli sciiti da ampie parti dell’Iraq. I leader sunniti iracheni inoltre avevano fatto male i conti, [pensando] che un assalto contro la loro comunità da parte del mondo sciita avrebbe spinto Stati arabi sunniti come Arabia Saudita ed Egitto a dar loro un maggiore sostegno, ma questo non si è mai materializzato.


E’ stato il massacro dei civili sciiti da parte di al-Qa'ida, che li considera eretici che meritano la morte, ad avere portato al disastro la comunità sunnita. Inoltre, al-Qa'ida ha clamorosamente forzato la mano, alla fine dello scorso anno, instaurando lo Stato Islamico dell’Iraq, che ha cercato di rendere stabile il proprio controllo sugli altri gruppi di insorti e sulla comunità sunnita nel suo insieme. Netturbini sunniti sono stati uccisi perché lavoravano per il governo, e ad alcune famiglie sunnite di Baghdad è stato ordinato di mandare uno dei loro membri per unirsi ad al Qai'da. Curiosamente, persino Osama bin Laden, che non ha mai avuto molta influenza su al Qa'ida in Iraq, si è ridotto a sconsigliare l’estremismo ai suoi accoliti.


La sconfitta a Baghdad e l’estrema impopolarità di al Qa'ida hanno dato l’impulso per la formazione della milizia sunnita anti-al-Qa'ida, forte di 77.000 uomini, spesso sotto una leadership tribale, che è armata e pagata dagli Usa. Ma la creazione di questa forza è una nuova fase nella guerra in Iraq piuttosto che una fine del conflitto.


A Baghdad, le enclavi sunnite sono più sicure, ma non i distretti dove si trovano di fronte sunniti e sciiti. Sono rimaste poche zone miste. Molti dei combattenti sunniti dicono apertamente di considerare l’eliminazione di al Qai'ida come preliminare a un attacco contro le milizie sciite, in particolare l’Esercito del Mahdi di Muqtada al-Sadr, che lo scorso anno ha trionfato.


La creazione di una milizia sunnita appoggiata dagli Usa rafforza e indebolisce al tempo stesso il governo iracheno. Esso viene rafforzato nella misura in cui l’insurrezione sunnita è meno efficace, e indebolito perché non controlla questa nuova forza.


Se nel 2006 i guerriglieri sunniti erano una fonte della violenza, l’altra era l’Esercito del Mahdi, guidato da Muqtada al-Sadr, il religioso sciita nazionalista. Le sue attività sono state momentaneamente sospese perché lui vuole epurarlo dagli elementi che non controlla, e desidera evitare uno scontro militare con i suoi rivali all’interno della comunità sciita se questi sono appoggiati dall’esercito Usa. Ma l’Esercito del Mahdi combatterebbe certamente se la comunità sciita venisse attaccata o se gli americani esercitassero su di essa pressioni eccessive.


I politici americani gettano continuamente la spugna disgustati per il fatto che gli iracheni non riescono a riconciliarsi o a mettersi d’accordo su come condividere il potere. Tuttavia, ugualmente destabilizzante è la presenza di un grosso esercito Usa in Iraq e l’incertezza sul ruolo che gli Stati Uniti giocheranno in futuro. Per quanto gli iracheni possano combattersi fra loro, un fatto politico centrale in Iraq resta l’impopolarità dell’occupazione guidata dagli Usa al di fuori del Kurdistan. Essa è aumentata anno dopo anno dalla caduta di Saddam Hussein. Un sondaggio di opinione dettagliato condotto dalla ABC News, dalla BBC e dalla giapponese NTV in agosto ha scoperto che il 57 per cento degli iracheni ritiene che gli attacchi contro le forze Usa siano accettabili.


In Iraq nulla è risolto. Il potere è totalmente frammentato. Gli americani scopriranno, come gli inglesi hanno imparato a loro spese a Bassora, di avere pochi alleati permanenti in Iraq. [Il Paese] è diventato una terra di signori della guerra nel quale fragili cessate il fuoco potrebbero durare mesi e potrebbero ugualmente rompersi domani.

di The Independent
 

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)