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2008: inizia l'era di Kyoto

di Manuel Zanarini - 07/01/2008

 

 

Con l’inizio del 2008 siamo entrati nel “periodo Kyoto”. Infatti da questo anno parte la prima fase degli accordi di Kyoto. Di cosa si tratta?

Nel 1992 la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, stabilì che si doveva assolutamente intervenire sul cambiamento climatico dovuto al riscaldamento globale, così stabilì di fissare un’azione concreta.

Il primo passo fu la Prima sessione della Conferenza delle parti (CP-1), che si tenne a Berlino nel 1995, dove si constatò che l’obiettivo fino ad allora perseguito di riportare le emissioni di gas serra ai livelli del 1990, sul lungo termine non avrebbe impedito “interferenze antropiche (attribuibili all’uomo) pericolose per il sistema climatico”. Venne così stilato il “Mandato di Berlino” con relativo “Gruppo Speciale del Mandato di Berlino (AGBM)”, il quale invierà una bozza di accordo che verrà trasmessa alla CP-3 a Kyoto, e che darà vita al famoso “Protocollo di Kyoto”.

La conferenza si terrà nella città Giapponese nel Dicembre del 1997, ed emanerà la Decisione 1/CP3 che sarà, per l’appunto, l’adozione del Protocollo, il quale avrà come obiettivo la riduzione delle emissioni totali di 6 gas-serra ( biossido di carbonio CO2, metano CH4, protossido di azoto N2O, idrofluorocarburi HFC, perfluocarburi PFC, esafluoro di zolfo SF6) di almeno il 5% rispetto i livelli del 1990 per le nazioni industrializzate nel periodo dal 2008 ed il 2012.

I provvedimenti riguardano solo i paesi industrializzati, considerati i responsabili della situazione attuale, ed è entrato in vigore dopo la ratifica di almeno 55 Paesi firmatari che emettano almeno il 55% delle sostanza inquinanti, situazione verificatesi nel Febbraio del 2005 con la firma della Russia.

Diamo una rapida occhiata a cosa dice questo Protocollo (per chi fosse interessato è scaricabile una versione PDF del testo integrale su Internet).

Intanto vengono fissati degli impegni vincolanti per le Nazioni firmatarie: aumentare l’efficacia energetica nei settori economicamente rilevanti; aumentare la raccolta e la rimozione di gas serra; migliorare la gestione forestale e le politiche di rimboschimento; promuovere politiche agricole eco-sostenibili; aumentare l’uso delle energie rinnovabili e le innovazioni eco-compatibili; individuare incentivi economici per settori che non sono in linea con gli obiettivi del Protocollo; attuare politiche anche internazionali versoi paesi in via di sviluppo; ottenere i primi risultati concreti entro il 2005.

Due sono gli aspetti interessati stabiliti: il mercato delle quote di emissione e il meccanismo per lo sviluppo pulito.

Il primo aspetto, prevede un sistema per cui le Nazioni che riescono a stare sotto le quote di emissione loro assegnate, possono venderle a quelle maggiormente inquinanti. Questo sistema che si chiama Emissions trading, si avvale del “Registro di transazioni internazionali dei permessi di emissioni negoziabili” (International transaction log – Itl), lanciato di recente a Bonn dal segretariato Convenzione-quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc) e dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Il primo paese ad iscriversi è stato il Giappone, il quale nel 2006 ha emesso 150 milioni di tonnellate di CO2 oltre il 13% rispetto al limite previsto di 1.2 miliardi di tonnellate totali, facendone così uno dei potenziali maggiori acquirenti di quote al Mondo.

Sono previste altre due forme di cooperazione internazionale attuabili dai trasgressori: il Clean Developmente Mechanism, grazie al quale si possono avviare progetti nei paesi in via di sviluppo al fine di produrre quote da scalare dal proprio conto nazionale ed il Joint implementation, che prevede invece progetti gestiti insieme ai Paesi non industrializzati.

L’acquisto è sottoposto a 3 condizioni: l’accordo tra entrambe le parti, rappresenti una miglioria rispetto ad altre soluzioni e che siano state già avviate politiche nazionali idonee e quindi rappresenti solo una soluzione supplementare.

Per quello che riguardo lo “sviluppo pulito”, vengono previsti aiuti economici e trasferimenti di tecnologie dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo affinché il loro progresso sia il più eco-compatibile possibile; valutazione ecologiche delle politiche commerciali globali e fondi per l’adattamento al cambiamento climatico (per gestire cataclismi naturali come lo tsunami o le inondazioni).

Passiamo ad alcune veloci analisi. Intanto i paesi maggiormente inquinanti al Mondo hanno reagito diversamente: la Russia ha alla fine accettato; il Giappone lo ha fatto subito; l’Australia lo ha sottoscritto appena avuto un nuovo Governo, ma si è poi tirata indietro a Bali; gli USA non ci pensano nemmeno e la Cina è addirittura esentata. Questo ha svuotato completamente il Protocollo, che è già considerato insufficiente. Va però detto che al momento questo c’è, visto il fallimento di Bali, e con questo dovremo confrontarci.

Veniamo a casa nostra. La UE ha stabilito di ridurre le proprie emissioni complessive del 8% e per fare ciò ha stabilito la politica dei “ tre 20%” entro il 2020: più 20% di fonti di energie rinnovabili, meno 20% di consumi energetici e meno 20%  di emissioni di gas serra.

Obiettivi alti ma non impossibile se si considera che il dossier “Ren21 Renewables Global Status Report 2007”, nel Mondo l’energia eolica è aumentata del 25-30%, quella fotovoltaica tra il 50 ed il 60%, quella solare termica del 15-20% e quella dei biocarburanti del 15-20%, con la creazione di oltre 2 milioni e mezzo di posti di lavoro ed un abbassamento dei costi delle energie rinnovabili e la diversificazione delle tecnologie base per questo tipo di energie.

Molti Paesi europei sembrano essersene accorti, come la Francia e la Germania che stanno già rispettando gli accordi presi. Altri, seppur extra-comunitari, si stanno attrezzando come l’Islanda che vuole annullare la propria esenzione da Kyoto e pensa di ridurre le emissioni del 50-75% rispetto al 1990; oppure la Danimarca che, in previsione della Conferenza di Copenaghen del 2009, vuole ridurre le proprie emissioni del 21%, diminuire i consumi di petrolio e gas del 15% ed aumentare la produzione di energie rinnovabili del 30%. Inoltre ha aperto l’università del clima in Groenlandia (territorio autonomo danese), con un investimento di 9,4 milioni di euro in 5 anni e proposto un summit tra le Università più importanti del Mondo per lavorare insieme per il dopo-Kyoto.

L’Italia? Noi dovevamo ridurre l’inquinamento solo del 6,5% al momento dell’accordo sul Protocollo, invece lo abbiamo aumentato del 13%, col risultato di doverle diminuire nei prossimi 5 anni del 20%!

Secondo il Verde Cento “Il debito ambientale che ci deriva dal non rispetto del protocollo di Kyoto rischia di far aggravare il debito pubblico “. Infatti abbiamo ecceduto il limite di 100 milioni di tonnellate di CO2 e si prevede un trend costante fino al 2012, col risultato di avere un debito ambientale a 520 milioni di tonnellate di CO2. Per pagare i debiti previsti da Kyoto, a meno che non si cerchino soluzioni alternative di cui non si vede traccia, servirà una cifra tra i 7,8 e i 12,5 miliardi di Euro, secondo il valore della CO2 sul mercato internazionale dei crediti del carbonio che può fluttuare tra 15 e i 24 Euro a tonnellata!!!!

Fatti i dovuti complimenti ai nostri governanti di ogni schieramento, si deve concludere che non c’è più tempo da perdere e che l’Italia deve seriamente cominciare a rivedere la propria filosofia di sfruttamento delle risorse naturali e premere affinché le linee guida Europee emerse a Bali diventino operative ( si vedano a riguardo gli articoli su Gaia e sulla Conferenza di Bali).