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Hervé Bazin e il mito dell'eden perduto

di Francesco Lamendola - 08/01/2008

 

 

 

È uno scrittore strano, Hervé Bazin. Atipico. Il suo successo letterario, improvviso, è stato in sostanza un successo di scandalo; ma poi i favori del pubblico non lo hanno più abbandonato, segno che lo scandalo non era tutto. Ha portato sulle pagine ei suoi libri la sua adolescenza frustrata e rabbiosa, i suoi furori, la sua rivolta, ed è riuscito a spostare questo magma incandescente e tutto personale sul piano di una scrittura limpida e intrigante, sul piano dell'arte; cosa non da poco. Come artista, lo si potrebbe paragonare, a nostro avviso, al pittore Maurice Utrillo, il malinconico poeta delle dolenti periferie parigine, dei cortili abbandonati, dei vecchi edifici dai muri sbiaditi, degli orti che profumano a loro modo di campagna lontana.

J. Rudafe ne traccia un profilo incisivo ed efficacissimo. "Hervé Bazin (1911) si è fatto conoscere col successo clamoroso, nel 1948, di Vipère au poing, che narra con una verve corrosiva la lotta di un figlio ribelle e di una madre snaturata. La stessa violenza anima La tête contre le murs (1948), storia di un giovane alle prese con la società. Se opere come La mort du petit cheval (1950) possono segnare un'attenuazione di questa violenza polemica, l'autore la ritrova in Le matrimoine (1967) e Au nom du père. Ogni suo libro è un regolamento di conti con il mondo e con la vita. Nelle sue Poesie e nei suoi romanzi." (1)

Da parte sua, carla Columba Bernardi, dopo aver osservato che Hervé Bazin "educato in un chiuso ambiente tradizionalista, mostrò fin da fanciullo il suo forte carattere ribellandosi alle imposizioni della madre autoritaria e severa ch'egli odiava e adorava a un tempo", ne delinea questo ritratto: "Nei romanzi autobiografici Vipère au poing (1948; Vipera in pugno, Milano, 1951), La mort du petit cheval (La morte del piccolo cavallo, 1950) e Le cri de la chouette (Il grido della civetta, 1972) troviamo descritte con straordinaria vivezza le tappe della sua ribellione. Il primo romanzo dipinge un ambiente familiare di provincia entro cui si agitano - intorno a una figura dispotica di madre - le passioni e gli odi feroci dei figli che giungono perfino a desiderarne la morte. Nel secondo è descritta l'evasione di un figlio che, ribellandosi alla cerchia familiare, riesce lentamente a costruirsi una sua vita serena. La tête contre les murs (La testa contro i muri, 1949) è una lucida analisi delle reazioni di un pazzo criminale - cresciuto in una famiglia rigida e severa - chiuso fra le pareti di un manicomio. In Léve toi et marche (Alzati e cammina, 1952) Bazin abbandona la descrizione di cuoi ambienti familiari per narrare, con suggestivo contrasto tra immobilità fisica ed energia spirituale, l'amara vicenda di una giovane donna paralitica. L'huile sur le feu (L'olio sul fuoco, 1954) presenta il caso paradossale di un pompiere incendiari; Qui j'ose aimer (1956: Colui che ho osato amare, Milano 1960) descrive la colpevole passione tra un patrigno e la figliastra che si svolge sotto gli occhi inconsapevoli della madre di questa, gravemente inferma, la cui morte giungerà ad aggravare il rimorso degli amanti. La nemesi morale è rappresentata dalla vecchia e autoritaria serva di casa che, con inflessibile crudeltà, scaccia l'intruso impedendo alla coppia di legalizzare la propria situazione. Au nom du fils (1958; In nome del figlio, ivi 1963) è la storia dell'evoluzione di un bimbo dalla fanciullezza all'adolescenza narrata dal patrigno.  Un feu dévore un autre feu(un fuoco divora un altro fuoco, 1978) è centrato sull'amore tra due personaggi socialmente impegnati , su posizioni socialiste l'uno, cattoliche l'altra, in un paese sconvolto dalla controrivoluzione che ha messo fine ad una esperienza di governo progressista.

"Gran Premio Letterario di Monaco (1959), Bazin è anche poeta: Jour (Giorno; premio Apollinarire, 1947), Humeurs (Umori, 1951), e novelliere: Le bureau des mariages (L'ufficio dei matrimoni, 1951); Traits (Tratti, 1976).

"Nel 1973 è stato eletto presidente dell'Académie Goncourt; nel 1980 ha ricevuto il Premio Lenin per la Pace." (2)

Ma al Bazin arrabbiato e ribelle dei primi romanzi, succede poi uno scrittore più pacato e propositivo in quelli successivi; e questo secondo aspetto dell'opera letteraria del Nostro, meno appariscente ma non meno importante, è stato giustamente sottolineato da Gabriella Bosco: "Alla veemenza impulsiva di Vipère au poing e di La tête contre les murs (1949, lucida analisi delle reazioni di un individuo che, proveniente da una famiglia fortemente rigida nel suo tradizionalismo, impazzisce e viene chiuso tra le pareti di un manicomio), in cui Bazin denuncia i misfatti della società borghese e del modello familiare da essa proposto e imposto, succede una scrittura più misurata, in cui personaggi addolciti propongono una morale sostitutiva fatta di pace e fraternità. E a questa seconda ispirazione si rifanno opere come La mort du petit cheval (1960), storia dell'evasione di un giovane che, ribellatosi in violenza alla soffocante cerchia dei parenti, vince il proprio istinto alla rivolta costruendosi una vita indipendente e divenendo tenero padre; Léve toi et marche (1952), triste vicenda di una giovane donna paralitica; Qui j'ose aimer (1956) e Ce que je crois (1977), testi scritti in anni di attiva partecipazione dell'autore a iniziative in difesa dei diseredati e degli oppressi. Maestro nel creare personaggi incisivi e nel dipingere quadri sociali naturalisticamente modellati sulla realtà contemporanea, Bazin riesce a rinverdire all'uscita di ogni suo libro il successo che un folto pubblico non esita a tributargli." (3)

Noi qui volgiamo fermare la nostra attenzione su un romanzo considerato minore nella produzione di HervéBazin, apparso nel 1970 nelle Editions du Seuil e tradotto in Italia l'anno seguente: Les Bienheureux de la Désolation (I beati della Desolazione). Il libro è ispirato a un vero fatto di cronaca, e si colloca a metà strada fra il romanzo psicologico e l'inchiesta antropologico-sociale, pertanto si presenta come un'opera anomala nel contesto della produzione letteraria del Nostro. Il fatto è il ritorno in attività, dopo secoli di quiescenza, del vulcano dell'isola di Tristan da Cunha, fra il 9 e il 10 ottobre 1961, che costringe i 264 abitanti dell'unico insediamento dell'isola (e dell'arcipelago) a lasciare precipitosamente le loro case sotto l'incalzare della lava. Due navi adibite al rasporto delle aragoste, il Tristan e il Frances Repetto, li trasportano precipitosamente sul vicino isolotto, disabitato, di Nightingale, donde la nave olandese Tijsadane li trasporta a Città del Capo e, di lì, le autorità britanniche ne decidono il trasferimento nell'antica madrepatria. Le notizie provenienti da Tristan, infatti, confermano l'impossibilità di riportarvi gli abitanti: ha inizio così la moderna Odissea di quegli isolani, che si vedono sballottati da un ambiente naturale incontaminato e da un posizione geografica remotissima, in piena realtà industriale del tardo XX secolo. Un caso da manuale di trauma sociologico, come tanti ne sono accaduti davanti alle forze scatenate della natura (che, direbbero Lucrezio e Leopardi, non è certo fatta a misura della specie umana); ma, questa volta, nel clima della modernità e sotto i riflettori, per così dire, dei mezzi di comunicazione di massa.

"Il 3 novembre, al termine di un penoso viaggio verso l'esilio - quale essi, nonostante le premure dell'amministratore governativo e la solidarietà e le attenzioni loro riservate dal governo e dal popolo britannici, sarebbe realmente apparso quel forzato, improvviso trapianto in una terra tanto lontana dalla patria e in un mondo così diverso da quello sempre conosciuto - i profughi avevano preso terra a Southampton  e con otto grossi automezzi a ciò predisposti dall'organizzazione dei soccorsi erano stati trasportati al campo di raccolta di Pendell, nel Surrey.

"Una serie di più confortevoli abitazioni prefabbricate li avrebbe di poi accolti nella sede definitiva  di Calshot, un villaggio dello Hampshire, sulla costa della Manica, dove la vicinanza el mare avrebbe potuto anche agevolarne la riorganizzazione economica sulle basi tradizionali.

"L'evacuazione di Tristan da Cunha e il trapianto della colonia esule in Gran Bretagna parvero allora aver posto termine a uno dei più interessanti episodi di colonizzazione lontana che per circa un secolo e mezzo aveva qualificato quella sperduta isoletta sudatlantica come uno degli estremi capisaldi meridionali dell'ecumene. In effetti, però, è durato neppure un anno lo spopolamento di Tristan e anche meno la convinzione che la frontiera australe del mondo abitato fosse definitivamente retrocessa, dell'ambito dell'Atlantico meridionale, fino all'isola di Sant'Elena, situata 2.500 km. più a nord, a poco più di 16° di latitudine dall'equatore.

"Presi dalla nostalgia del luogo natio, abbandonato in così drammatiche circostanze, e decisi, per una crescente insofferenza perle novità e la complessità dell'esistenza nell'Inghilterra del XX secolo, unita a insuperate difficoltà di acclimazione e di inserimento attivo nella più vasta comunità nazionale, a farvisi ricondurre a onta dei rischi connessi con la presenza del vulcano, gli esuli non tardarono infatti a pretendere di essere rimpatriati. Dopo una prima petizione in questo senso rivolta dal capo riconosciuto della comunità profuga al governo inglese - petizione che aveva provocato l'invio di una missione ufficiale a Tristan e da parte di questa un giudizio nettamente sfavorevole circa le sue condizioni di abitabilità, dopo i dissesti apportativi dal terremoto e dall'eruzione vulcanica - essi ottennero, nondimeno, insistendo sulla prima richiesta, di effettuarvi accertamenti diretti, inviando nell'isola un loro drappello di esploratori.

"Sotto la guida di Johnny Repetto, fratello più giovane del capo dei profughi, un gruppo di sei esuli anziani accompagnati da un rappresentante governativo, certo Gerald Stableford, ha potuto così rimetter piede, nel settembre del 1962, sull'isoletta evacuata un anno avanti e, una volta in patria, decidere a ragion veduta di ristabilire la propria residenza nel villaggio semidistrutto dall'eruzione. In un messaggio alle famiglie e ai compagni rimasti a Calshot, affidato allo Stablefort che, dopo due settimane di permanenza a Tristan, ne ripartiva per riferire al governo sui risultati della ricognizione, i sei reduci ne sollecitavano il ritorno, avvertendoli che non solo la cessazione dell'attività vulcanica aveva arrestato a metà la sua opera devastatrice ma che durante quella lunga pausa di sfruttamento etano straordinariamente aumentate nell'isola le risorse naturali, specie in riguardo alla selvaggina e alla pesca.

"Di fronte agli entusiasmi suscitati dal messaggio in seno alla comunità profuga nonché alle informazioni rese dallo Stableford e al parere espresso dagli esperti circa la improbabilità di una ripresa dell'attività eruttiva erano cadute le ultime resistenze del governo britannico, il quale, verificata anche sui risultati di un referendum la quasi unanime volontà degli esuli di fra ritorno a Tristan, ne disponeva il rimpatrio in due scaglioni: il primo dei quali, composto di una cinquantina di profughi, avrebbe lasciato l'Inghilterra nel febbraio del 1963, col compito di provvedere, valendosi dell'assistenza di tecnici governativi, alle indispensabili riparazioni materiali e alla rimessa in efficienza degli strumenti di lavoro e delle attività produttive; il secondo circa quattro volte più numeroso del primo e comprendente la grande maggioranza delle donne e dei ragazzi nel mese successivo, all'inizio della buona stagione.(4)

L'isola di Tristan da Cunha sorge dalle acque dell'Atlantico meridionale, a 37° di lat. Sud e a 12° di long. Ovest, ed è stata scoperta nel 1506 dall'ammiraglio portoghese che le diede il suo nome. (5) Ha una forma ellittica ed è dominata dalla mole di un cono vulcanico che spinge la sua vetta a 3.239 metri d'altezza s.l.m, e che, prima dell'eruzione del 1961, era creduto estinto. Le coste sono rocciose e strapiombano in mare da diverse centinaia di metri d'altezza, con la sola eccezione della costa nord-occidentale, ove sorge l'unico villaggio con case di pietra lavica e tetti di paglia, chiamato Edimburgo. Anche le altre isole dell'arcipelago: Inaccessible, Nightingale e Gough, sono rocciose e dirupate. Nonostante la latitudine elevata, il clima è di tipo oceanico temperato-fresco con temperature relativamente costanti (media attorno ai 17°), con fortissimi venti occidentali e giornate tempestose. Le numerose colonie di pinguini rafforzano l'impressione che si tratta di una terra sub-antartica; sono presenti anche numerose specie di uccelli, tra le quali alcuni passeracei sono esclusivi dell'isola. Popolata stabilmente solo dal 1816 (in coincidenza con la prigionia di Napoleone a Sant'Elena), Tristan viene formalmente annessa alla Gran Bretagna solo nel 1876, dopo che il suo status giuridico è rimasto a lungo incerto. Non esistono collegamenti regolari con il mondo esterno e una importante risorsa economica è la pesca delle aragoste, specie dopo l'installazione - nel 1942 - di uno stabilimento sudafricano per la loro lavorazione, distrutto poi dall'eruzione. Si praticano inoltre l'agricoltura - patate, grano, orticoltura - e l'allevamento di ovini e suini. I primi naviganti che la vistitarono l'avevano chiamata Isola della Desolazione, forse per il suo clima severo e già quasi sub-antartico, forse per i numerosi naufragi verificatisi nelle sue acque pericolose, infestate da orche e squali: la Julia, nel 1817, la Emily nel 1835, la Joseph Somes nel 1836, la Ralph Abercrombie nel 1968, la Czarina nel 1872, la Mabel Clark nel 1879, la Edward Victory nel 1880, la Henry Paul nel 1882, l'Italia nel 1890, la Allan Scaw nel 1893, la Glen Huntley nel 1898 e la Kobenhavn nel 1928.

Ma vale la pena di soffermarsi sulle condizioni di vita degli isolani prima che il tragici fati del 1961 li scaraventassero a contatto con il mondo tecnologico. Si tenga presente che i cognomi idsolanoi sono solo sette e che tutta la popolazione è strettamente imparentata, poiché gli apporti dal mondo esterno, dopo il XIX secolo, sono stati rarissimi.

"Nella vita tranquilla degli abitanti di Tristan da Cunha vi fu una frattura quando l'eruzione dell'autunno 1961 li costrinse a lasciare la loro isola e a trasferirsi in Inghilterra, da cui rientrarono alle loro abitazioni solo otto mesi più tardi, cessato il pericolo. Perla quasi totalità degli abitanti questo fu il primo contatto con le grandi città e la loro vita tumultuosa, che essi comunque hanno rifiutato per ritirarsi nuovamente nella loro patriarcale esistenza, pressoché immutata da quando, circa un secolo e mezzo fa [queste note sono del 1971], le prime famiglie si installarono nell'isola.

"Fra i giovani però la non breve parentesi ha lasciato tracce: dischi e registratori li hanno seguiti nella loro piccola patria insieme a un abbigliamento alla moda, ben diverso da quello semplice e trascurato con cui l'avevano lasciata. È presumibile quindi chela vita della piccola comunità non abbia ritrovato facilmente il ritmo abituale nelle piccole case di pietra, dall'aspetto molto simile alle case coloniche scozzesi delle Western Isles, con il tetto coperto da fasci di erbe (lino della Nuova Zelanda), che crescono alte e fitte nei giardini, delimitati e riparati  da muretti di sassi a secco. […] La semplicità dell'esistenza comporta a sua volta l'austerità dei costumi, impregnati di una religiosità che tocca la sostanza delle cose: a Tristan nessuno si è mai reso colpevole di crimini e non vi è mai stato bisogno di prigione.

"Fino all'esodo del 1961 gli abitanti dell'isola conoscevano la televisione e le automobili solo attraverso fotografie.  L'unico veicolo a Tristan da Cunha era un trattore, in appoggio ai cari a buoi dalle piccole, solide ruote piene, che servono al trasporto lungo le brevi strade in terra che collegano i due punti di sbarco, accessibili in alternativa secondo la stagione, e il villaggio coni campi di patate, che costituiscono il nutrimento base degli abitanti, insieme al pesce e agli uccelli marini, di cui soprattutto vengono raccolte le uova. La pesca, fruttuosa quando il mare è calmo, costituisce anche uno dei pochi svaghi, in aggiunta alle partite di biliardo e alle danze del sabato sera, in cui i giovani, dopo l'esperienza inglese, hanno portato una ventata di modernità, che non mancherà certo di estendersi alla mentalità e alle esigenze di questo piccolo, felice, ma chiuso mondo isolano." (6)

Ad ogni modo, gli aspetti più interessanti della società di Tristan da Cunha sono il tendenziale egualitarismo socio-economico, dato che il reddito degli abitanti più o meno è uniforme, e il rifiuto esplicito di ogni forma di autorità imposta dall'esterno, tanto da far parlare di un vero anarchismo pratico alquanto pronunciato. Prima di passare al romanzo di Hervé Bazin, cediamo la parola a uno studiosi francese, X. De Crespigny, autore di una interessante monografia sugli abitanti di questa che si può considerare come la comunità umana più isolata del mondo:

"Gli abitanti di Tristan sono famosi per la loro abilità nel costruire barche e per il modo, più cooperativistico che autoritario,. Co il quale il gruppo lavora insieme. Costruire le barche è uno sforzo collettivo che viene intrapreso con delicatezza e abilità. Consumati maestri di quest'arte sono i Lavarello - il primo lavarello era un ingegnoso costruttore. Solo lo scheletro della barca è di legno, data la scarsità di questo materiale. Il resto della barca è fatto di pelle di foca, tela o persino con i vecchi sacchi della posta, tesi accuratamente sull'intelaiatura. La prima barca costruita da lavarello fu ingrandita con l'ingrandirsi della famiglia. La barca fu quasi totalmente ricostruita sfruttando i pezzi principali della barca precedente.

"I barcaioli di Tristan da Cunha sono emotivamente legati alle loro barche. Sulle imbarcazioni non esiste comandante, gli ordini sono rari, e impartiti con calma. Senza istruttori e senza una gerarchia ogni rematore semplicemente capisce il compito che deve svolgere, e lo esegue. I marinai forestieri, abituati alla disciplina e ai comandi energici si stupirono di fronte all'apparentemente facile padronanza degli abitanti di Tristan da Cunha nei confronti del mare capriccioso e spesso maligno che circonda la loro isola rocciosa.

"Gli avvenimenti più traboccanti di vita dell'anno, ai quali partecipa quasi ogni abitante dell'isola, sono il 'viaggio delle mele', quando gli abitanti di Tristan da Cunha vanno a raccogliere le mele nei frutteti dall'altra parte dell'isola, e la traversata annuale conosciuta come 'la raccolta del grasso', in marzo o aprile. Tra grandi scherzi e risate, gli abitanti di Tristan da Cunha remano per circa 25 miglia fino all'isola Nightingale dove si accampano di notte e vanno a caccia di petrelli ricchi di grasso durante il giorno. Fanno ritorno dopo due settimane con le barche cariche di olio e di grasso. La 'raccolta del grasso' è come una vacanza, quasi un avvenimento religioso. È inconcepibile per un abitante di Tristan da Cunha di restarne estraneo.

"A partire dal 1948 le autorità britanniche hanno autorizzato l'amministrazione locale a programmare delle riforme e a trasformare l'economia di Tristan da Cunha dal suo stato di precaria sussistenza in un assetto più redditizio. È stata costruita una fabbrica per l'inscatolamento dei gamberi, nella quale gli isolani lavorano molte ore per un piccolo compenso in denaro.

"Un anno e mezzo in Inghilterra non ha mancato di modificare gli abitanti dell'isola, i giovani in particolare. Radio e giradischi sono diventati simboli di stato sociale e i fertilizzanti ora si acquistano mentre prima si scalavano le pericolose pareti della montagna per raccogliere lo sterco di vacca. Ma la mentalità affaristica dell'Europa preoccupa gli abitanti dell'isola, anche se li mette in grado di comprare beni superflui. Lavorare sotto un padrone li inasprisce, e odiano l'idea di un contratto: sembrava loro naturale prendersi pochi giorni di vacanza per curare le patate o curare un amico a rifare il tetto; se un giorno non ci si sente di lavorare, sicuramente ci si può far sostituire da un figlio o un fratello; niente infine può far rinviare la 'raccolta del grasso'.

"Il modo di vivere degli abitanti entrò drammaticamente in urto con il nuovo stato di cose creato dagli inglesi nel 1969, quando ai dipendenti della fabbrica di gamberi in scatola non fu permesso di assentarsi dal lavoro per partecipare alla 'raccolta del grasso'. Gli abitanti dell'isola entrarono in sciopero. La loro società costruita su basi egualitarie li rendeva ostili alla gerarchia e i nuovi regolamenti, le nuove restrizioni urtavano contro i loro principi fondamentalmente anarchici. Ma a Tristan da Cunha anarchia non significa mai disordine o agire in disprezzo di ogni legge e l'unico poliziotto - una novità introdotta dall'Inghilterra - non sembra essere necessario in un'isola che non ha mai visto, in tutta la sua storia, neppure una rissa. Molti ricordano i diciotto mesi passati in Inghilterra, in seguito all'eruzione del vulcano, come un'epoca di 'corruzione'. La violenza vista nelle strade di alcune città inglesi era qualcosa che non potevano capire.

"Le autorità si sono infine rese conto che gli abitanti di Tristan da Cunha avrebbero conservato i loro ideali di eguaglianza e di anarchia. Ora i contratti dei lavoratori della fabbrica di pesce sono flessibili. L'amministrazione della fabbrica indice assemblee, ma gli abitanti dell'isola non hanno cambiato il loro comportamento, e al momento del voto solo con molta cautela le mani seguono una mano già alzata. Senza dubbio alcuni giovani vorranno andarsene dall'isola, ma ciò è già avvenuto in tutto il corso della storia di Tristan da Cunha. È probabile che un battagliero comitato di abitanti rimarrà sull'isola e conserverà le tradizioni." (7)

 

 

 

Tale, dunque, lo scenario e tale il canovaccio del libro di Hervé Bazin: uno scenario e un canovaccio che sembrano uscire direttamente dalla letterarura pre-romantica di fine 1700 e inizi 1800, da Paul et Virginie di Bernardin de Saint-Pierre ad Atala di Chateaubriand, incentrata sul contrasto fra natura e civiltà ed elaborata sul mito rousseiano che l'uomo è tanto più innocente, virtuoso e felice quanto più è lontano dalla seconda e vicino alla prima. Il romanzo incomincia con la prima scossa, al principio di agosto 1961, preavvertita dal bestiame, che giunge a sconvolgere la vita tranquilla degli isolani, un miscuglio di Inglesi, Italiani, Danesi, Americani e Ottentotti, discendenti delle numerose navi che hanno fatto naufragio in quelle acque nel corso dell'Ottocento. Poi, ai primi di ottobre, l'eruzione del vulcano Reine Mary e la drammatica fuga degli abitanti sul vicino isolotto disabitato di Nightinghale, ove esistono - per fortuna - dei capanni costruiti in precedenza per la dimora temporanea dei pescatori di Tristan.

"È finita. Ci sono voluti due mesi per capire di cosa si trattava, sono bastate ventiquattr'ore per tirare le somme.

"All'alba, stupito di aver potuto dormire con la testa su una cassetta, indolenzito,  terrorizzato all'idea che le pile del radiotelefono  si fossero scaricate, Don prova a mettersi in contatto con il Tristania.

"- Ho appena ricevuto Freetown - dice Lash, senza alcuna intenzione di far dello spirito. - Parlavano dell'eruzione. Stanotte, accidenti a tutta la vostra banda di ghiri, visto che non riuscivo a parlarvi, ho dato l'annuncio a Città del Capo.

"Imbarcare dalla costa occidentale, dove le correnti formano sulla scogliera a picco una continua risacca, non è stato possibile. Un tentativo, punito con un immediato ribaltamento del canotto, ha terrorizzato i responsabili che hanno dovuto decidere  di riattraversare l'isola e imbarcarsi alla spiaggia piccola, vicino allo Stanziamento. Di qui una nuova lunga marcia, rallentata dai ritardatari. Arrivati vicino al villaggio il fumo, che sommergeva la metà delle case, ha fatto esitare la colonna. Bisognava passare a qualsiasi costo, e più della metà sono passati di corsa. Alcuni, correndo il rischio di finire arrostiti, hanno avuto il coraggio di rientrare in casa a prendere viveri, con la scusa che a Nightingale sarebbe mancato il cibo fino all'arrivo della Regia marina. Ma il brontolìo del vulcano ha scoraggiato i refrattari, che parlavano di rimanere a loro rischio  e pericolo. Per fortuna a est il mare era praticabile e quattro scialuppe, cariche ai primi viaggi di donne e bambini, son potute scivolare fino alle sciabiche, senza altri incidenti oltre qualche valigia perduta e un po' di docce gratis. Infine, dopo un paio d'ore , è venuto il turno degli uomini. Ultimo si è imbarcato il medico, dopo aver preso le sue foto storiche.

"- In ogni modo, il mio periodo era finito - ha detto.- Dovevo partire in questi giorni e, potete credermi, non vedevo l'ora. Ebbene, stavolta potete anche non credermi, pur di non vedere questo spettacolo fare un'altra firma.

"nessuno ribatté. I vogatori avevano l'occhio asciutto, il braccio fermo sul remo; e fra di loro c'era Tony, che il venticinque non avrebbe sposato Blanch. Tutti guardavano di fronte a sé il cratere  in formazione la cui bocca vomitava nero  eruttando boli di lava che colavano rosseggiando  viscosi. Sotto, sul mare, una schiera  di canotti vuoti, uniti in fila indiana, aspettavano i pescatori. I cani abbandonati  abbaiavano sulla spiaggia.  Alcuni albatri volteggiavano fuori di portata  lanciando gridi acuti.  Don finalmente è esploso:

"- È il colmo! Della gente che per un secolo è stata priva di tutto, che cominciava a bastare a se stessa, e proprio  a questo punto quello che sta lassù… insomma, proprio a questo punto decide di cacciarli via dalle loro case.

"Trenta colpi di remo, in cadenza perfetta.  Poi si sente l'agronomo che a voce bassa dice:

"Comunque, tanto di cappello! In qualunque altro posto, sai che panico avremmo visto?

"Walter si concede un sorriso. Poi tutti sono rimasti in silenzio fino alle sciabiche che dondolavano, già stivate, e donde i marinai lanciavano i cavi per ormeggiare le scialuppe.

"È finita. Nightingale che porta, non si sa perché, il nome dell'usignolo e invece assomiglia piuttosto alla gobba di un cammello, Nightingale, verso la quale ogni anno i ragazzi  gareggiavano in una corsa che in qualche modo era divenuta la loro patente di coraggio, è apparsa, con le sue tavole di roccia liscia sulla quale si dondolano gli sfenisci e si appiattiscono  le foche, con i suoi prati  colmi di nidi. Le donne sono rimaste  a dormire a bordo, alla rinfusa, dove hanno potuto. Gli uomini, ripresi i remi,  sono andati a passare la notte nelle capanne di fortuna  dove, di solito, si ammucchiano i puzzolenti  sacchi di guano; niente allegri, certo, ma un po' distesi dopo l'annuncio di lash, lanciato all'ultimo momento dall'alto del barcarizzo:

"- Via radio a Città del Capo.  La Tijsadane ha superato il Léopard e sarà qui domani.

"E il giorno dopo, effettivamente, la Tijsadane si è trovata puntuale all'appuntamento, ha imbarcato tutti, compresi Simon  e una ventina d'uomini, ai quali  si è dovuto proibire di restare 'per far la spola e andare a curare le bestie e i campi fra una calmata e l'altra'.

"- Avete perduto tutto - ripeteva Don - ma dovete rallegrarvi di essere vivi.

"Frattanto il piroscafo inghiottiva i bagagli, comprese le scialuppe di tela, divenute dei portafortuna, e ripartiva subito, solcando quel mare  che i marinai di Tristan - i più audaci del mondo - non avevano mai visto tanto dall'alto e così sottomesso a una macchina umana.

"La Tijsadane fila, mentre, sgombrati i saloni di questo piroscafo di linea di novemila tonnellate, il cui modesto lusso sembra loro esagerato, stupefatti di esserci, inebetiti, i nuovi passeggeri si affacciano al bastingaggio. Il capitano e l'equipaggio olandese sono stati più che amichevoli. Ma alcuni argentini impomatati, alcuni camerieri sudafricani aggrottano le sopracciglia. Tre damigelle di Bloemfontein coi loro sederini sculettanti sbirciano questi semiselvaggi dall'incarnato scuro, dai calzerotti di lana cruda che si dice filata in casa dalle comari in scialletto,con il  fazzolettone e vestiti e maniche in eccedenza. Ma che importa? Gli isolani, senza degnare di uno sguardo le gambe inguainate di seta delle tre ragazze, non volgono loro più della schiena." (8)

Questo  brano ci permette di apprezzare le qualità letterarie di Hervé Bazin: uno stile sciolto e naturale, un lessico semplice, un'istintiva avversione per i toni ad effetto. La scena, di per sé estremamente drammatica, di una comunità isolana che deve abbandonare a precipizio la sua terra natale sotto l'incalzare di una natura infuriata si trasforma in un quadro pacato e a tratti perfino ironico, con quelle ragazze sudafricane sculettanti e smorfiose che guardano gli isolani di Tristan come fossero scimmie allo zoo. Eppure si tratta di una partenza, forse definitiva, di una intera comunità; di una comunità arcaica verso l'ignoto del mondo moderno; di uomini e donne che, di una vita di lavoro, han potuto salvare appena qualche valigia, e anzi ne hanno perse alcune in mare. Se qualche lacrima spunta sulle loro ciglia, noi non la vediamo; se qualche fazzoletto viene agitato verso l'isola che si allontana all'orizzonte, non ne rimane traccia sulla pagina di Bazin, tersa e nitida come uno specchio. Per la partenza di Lucia, Agnese e Renzo sul lago di Como, Manzoni ha scritto una pagina di poesia in prosa ("Addio, monti sorgenti dall'acqua, ecc.); per la partenza di quasi trecento persone che non sanno neanche se la loro isola - non diciamo le loro case - resterà in superficie o se scomparirà, sprofondando nel mare, lo scrittore francese suggerisce una pena contenuta di cui ha quasi pudore, e che lascia trasparire solo da indizi quasi evanescenti.

Uno dei capitoli più interessanti del libro è quello in cui Bazin mette a confronto il dramma dell'evacuazione di Tristan da Cunha con le reazioni della stampa e della televisione nel mondo "civile"; e lo fa con la tipica ironia del moralista, intendendo per 'moralista' quel particolare tipo di saggista, metà filosofo e metà letterato, saggio e al tempo stesso venato di bonario pessimismo, così caratteristico della cultura francese, da Montaigne a Pascal, su su fino ad Eric Rohmer e ad Émile Cioran. L'ironia di Bazin, comunque, non è rivolta verso gli isolani di Tristan, il cui dramma intimo è anzi seguito con uno straordinario senso di pudore, ma verso la presunzione, l'autocompiacimento e l'ipocrisia del mondo 'civilizzato', che in essi si specchia facendo la ruota come un pavone, per cercare nel loro smarrimento temporaneo un improbabile attestato di validità dei suoi riti e miti basati sulla ragione utilitaria e strumentale. Tra l'altro, nel seguente brano si comprende il significato el titolo del libro: gli isolani di Tristan da Cunha sono definiti "i beati della Desolazione" non perché, roussoianamente, essi siano l'equivalente, nel secolo XX, el mito settecentesco del 'buon selvaggio', bensì perché un presuntuoso giornalista inglese definisce "beata disgrazia" la loro forzata evacuazione dall'isola natìa, scommettendo inoltre che, entro sei mesi, saranno loro medesimi a definirla tale. Insomma una versione laica e scientista del concetto manzoniano (e cristiano) di "provvida sventura": certo, l'eruzione del vulcano e la fuga i massa sono eventi dolorosi; ma vedrete, ne nascerà un gran bene: anche questi negletti figli della civiltà potranno apprezzare le meraviglie della tecnica e della società del benessere, spreco e criminalità compresi; e tutti vivranno felici e contenti. L'ironia di Bazin nei confronti delle magnifiche sorti e progressive è graffiante e nemmeno tanto dissimulata.

"Per questo pianeta 'infestato d'uomini', migliaia dei quali muoiono ogni giorno di fame in Africa, di incidenti sulle strade d'Europa, di malattie tropicali, di vaiolo, di bombe al napalm in Asia, la fine di un'isola sperduta, dalla quale tuttavia hanno trovato scampo sani e salvi i neanche trecento abitanti, non è niente. Sul posto non c'era la televisione, per ricavarne un film impressionante. La stampa di tutto il mondo è sommersa da tragedie ben più poetiche. Addio, Tristan, e che ora i pinguini se la sbrighino da soli.

"Per gli inglesi, che giocano ai quattro cantoni per il mondo, la cosa è naturalmente el tutto diversa. Province, paesi interi, nel grane riflusso della marea bianca che tira in secco i mesi più lontani dell'Impero, ne perdono tutti i giorni. Ma un'isola, sulla quale è issato l'Union Jack e sventola nei vapori dello zolfo… O mito, risvegliati! Ilvecchio sangue, allungato con l'acqua di mare, nelle vene del gentleman armato d'ombrello ha fatto appena un giro. La B. B. C. e la I. T. V. concedono a Tristan l'onore dei loro programmi almeno una vlta al giorno. I giornali di Cardiff vogliono notizie di padre Klemp, che è gallese. Quelli dell'Ulster si preoccupano per la famiglia Isley, originaria di Belfast. I giornali di Edimburgo usano di questi titoli: 'L'agonia della nostra piccola sorella'. La Società perla propagazione della fede è assediata da telefonate, lettere, proposte. Mobilita il 'buon cuore', esaltato da questa edificante dichiarazione, trasmessa da un corrispondente di Città del Capo:, e rilasciata da Agatha Loness, leader delle donne e vessillifera:

"- In tutto questo io vedo la mano di Dio. Lui ha voluto che lasciassimo l'isola. Lui veglierà su di noi.-

"Le associazioni femminili fungeranno da complici della provvidenza. Il tono della stampa aumenta di temperatura; si direbbe che si tratti dell'esodo degli Ebrei dall'Egitto, diretti alla terra promessa. Nelle scuole fanno componimenti su Tristan. Il governo stanzia dei crediti: fortuna insperata. Si scatena uno di quegli slanci di carità collettiva che, passando dall'indifferenza per milioni di diseredati, si riversa improvvisamente su pochi sfortunati.

Gli articoli, i notiziari radio si susseguono. 'Essi' sono a bordo di una nave olandese. Tristi ma rassegnati, 'pieni di gratitudine verso la Madre Patria', sono arrivati a Città del Capo, dove hanno scoperto le automobili, gli aerei, le biciclette, i grattacieli, le poste e i telegrafi, i semafori, le insegne al neon; tutto un mondo sconosciuto, pieno d'incanti. Logicamente, si preoccupano di spiegare, avevano sentito parlare di tutto questo: ricevevano delle riviste, sulle quali fantasticavano, ma nello stesso modo nel quale noi leggendo un romanzo di fantascienza sogniamo gli abitanti di un altro pianeta. Essi se lo figuravano con qualche reticenza, questo universo mitico e strano. I rotocalchi si compiacciono di eventi terrificanti; i funghi atomici, le rivolte, i delitti, i disastri aerei, le guerriglie, le catastrofi di tutti i generi e la potenza stessa di questo mondo infernale - poderoso, forse, proprio perché infernale - li allontanavano da noi. Ora essi vedono, toccano; si accorgono anche che, nonostante tutto, 'fuori' esistono la gioia, i fiori, la bontà e le bambine che sorridono. Questo, forse, è proprio ciò che li stupisce di più, insieme a un certo numero di istituzioni che a noi sono familiari e delle quali essi non sospettavano né l'esistenza né le funzioni: la dogana, ad esempio, o la polizia. Ma è la folla delle grandi strade che ha strappato a un vecchio l'esclamazione più sorprendente.

"- Non sapevamo di essere così in pochi! -

"Walter, via telefono, è apparso improvvisamente da tutte le parti; così come la foto di due cuccioli sottratti al massacro dei cani; massacro d'altronde parziale, perché molti si sono salvati. Sono stati i marinai del Léopard che (rispettando i gatti, grazie a Dio) hanno auto l'incarico di compiere il massacro per proteggere gli animali da cortile e il bestiame, quando . il venerdì 13 - sono sbarcati sull'isola deserta con la missione di strappare alla lava, nell'ambito del possibile, gli oggetti di valore, fra i quali l'armonium della regina, reclamato dai suoi fedeli sudditi. Anche il vulcano fa la sua comparsa sui giornali; questa orrenda cosa (ma che ha il pregio di essere l'unico vulcano britannico in attività) è stata fotografata con tutte le angolazioni dall'ufficiale che non ha avuto paura di affrontare da vicino il turbine violento di una terza eruzione. Il personaggio di primo piano è la piccola Margaret, l'ultima bimba nata sull'isola, che si può vedere dappertutto fra le braccia di sua madre, Cecily Grower, e che sembra sussurri le sette parole della leggenda: - Ora io vi affido il mio avvenire.-

"Il più elle volte Margaret ha per corrispettivo il cocco di Kate Isley, anche lui presentato in grembo alla madre, la quale dichiara, intenerita: - Durante il terremoto si è divertito un mondo. Batteva le manine e gridava: - Ancora! -

"naturalmente le benedizioni e gli elogi elargiti alle autorità per il loro sangue freddo  e quelli prodigati agli isolani  per il loro coraggio sono stati  resi piccanti con qualche critica. È difficile trovare un responsabile da accusare di negligenza, quando la causa della catastrofe è un vulcano. Quindi l'infamia è riservata ai sismologi. A Hyde Park, dall'alto di un panchetto, un libero pensatore ha avuto il coraggio di proclamare:

"- L'aver riunito i superstiti nella cattedrale di Città del Capo, l'indomani del loro arrivo, per ringraziare il Signore di averli 'risparmiati', è stata una sinistra commedia. -

"Un cronista, profondendosi in attestazioni di stima per il ministro sudafricano degli Interni, che non ha avuto paura di infrangere alcune disposizioni dell'apartheid per concedere i permessi provvisori di soggiorno, stigmatizza l'attegiamento di molti suoi concittadini che si sono affrettati a ricordare che 'questa gente non è interamente bianca' e che li hanno subito soprannominati i 'Bourbon-White'.

"Altri si chiedono se l'Inghilterra era il posto migliore per riambientare questi liberi figli della natura. Perché non li hanno portati invece alle Falkland? Perché non a Sant'Elena, dalla quale teoricamente dipendevano?

"Ma in ogni caso quelli che saranno i reali problemi dei 'rimpatriati', ribaltati da un secolo all'altro, non turbano i penpensanti.

"Invece il Southern Post - per il quale Hugh questa volta è stato sostituito dal capo in persona, trattandosi di un'occasione degna di far scomodare quest'ultimo - riassume bene la situazione. Dopo aver annunciato una grande conferenza su Tristan, che si sarebbe tenuta il sabato seguente al museo geologico di Southampton, con la proiezione di diapositive prese al mare e spedite per via aerea, dopo aver ricordato che un grande ricevimento civico è previsto per il 3 novembre nel salone stesso della nave all'arrivo degli isolani, partiti il giorno venti da Città del Capo in classe turistica (cosrto del viaggio, si precisa, centocinquantotto sterline a testa), sullo Stirling Castle, Philip Hackett conclude soddisfatto:

" - Certamente sbarcheranno in preda alla nostalgia e molto disorientati per ciò che sta loro succedendo. Ma quando si pensa a quella che era stata la loro vita e alla vita che li aspetta qui, si è tentati di dir loro: beata disgrazia! In questo momento non ne sarebbero certo convinti, ma sono disposto a scommetterci: fra sei mesi saranno loro a dircelo.-"(9)

Invece non è così; anzi gli isolani, con pochissime eccezioni, decidono di rientrare non appena possibile sul loro scoglio sperduto nell'Atlantico meridionale, a mezza via tra l'estuario del Rio de La Plata e il Capo di Buona Speranza. Solo quattordici decidono di restare in Inghilterra, più altri otto che, essendo morti durante l'esilio, vi resteranno per sempre; però nel frattempo sono nati alcuni bambini, sicché la popolazione dell'isola tornerà ad essere circa quella di prima. È una decisione sofferta, quella del ritorno a Tristan, eppure presa serenamente e in piena consapevolezza,: non dettata semplicemente dalla nostalgia per la vecchia società patriarcale ed anarchica, o dalla paura per la tremenda complessità di quella tecnologica. Alcune usanze del mondo 'moderno' seguiranno i rimpatriati fin laggiù: ma, nel complesso, hanno avuto modo di fare i debiti raffronti e hanno concluso che vale la pena di scegliere la vita semplice e spartana a contato con la natura, piuttosto che quella - pur seducente, almeno per taluni aspetti - dell'Europa del tardo XX secolo. Ed è con questo spirito di semplicità e di fiducia in se stessi, pur con qualche ombra di perplessità e di sofferenza, che avviene il ritorno all'isola amata; e in un clima festoso, ma senza trionfalismi, un po' come gli Ebrei al ritorno dall'esilio babilonese:

"Monti e colline vi acclameranno

e tutti gli alberi dei campi vi batteranno le mani." (10)

Anzi, perfino un giornalista londinese, Hugh, vinto dal fascino strana che emana da quegli uomini e da quelle donne coraggiosi, decide di seguirli a Tristan, percorrendo all'inverso il percorso, fisico e spirituale, che essi hanno dovuto effettuare dopo il drammatico sfollamento dell'ottobre 1961.

"Altrettanto improvvisamente il cielo s'era aperto. Il bollettino meteorologico, d'accordo con i vecchi, prevedeva una bella settimana. Hugh era sempre con tanto d'occhi, entusiasta di trovare una elle ultime basterne sballottata su un campo da una coppia di buoi e carica di concime, e contemporaneamente un po' più lontano un trattore arancione, col tubo di scappamento fumante, che trascinava una tonnellata di pietre. Le patate in fiore, le zucche che stavano spuntando, di un giallo ancora verdastro, le cipolle e i cavoli si offrivano alle zappette elle sarchiatrici. C'erano ancora alcuni asini, col pelo folto e la banda nera sul dorso, una fascina caricata sul basto; sui vecchi tetti di stoppia si arrampicava qua e là barba di Giove dai lunghi fiori e nelle case così incappucciate erano ancora all'opera alcune cardatrici e le filatrici indugiavano sui filatoi. L'obice-gong, dipinto di rosso, era ancora al solito posto; al solito posto le donne e i vecchi, che conoscevano i punti migliori per buttare la lenza a piombi, quella che si tiene in mano per un capo, e il cui filo, vibrando, dice se il 'cinque dita' [una varietà di pesce dell'isola; nota nostra] che vi mangerete a pranzo è rimasto preso all'amo.

"La domenica prima c'era stata alla chiesa di Saint mary la solita adunanza, un'ottantina di persone, delle quali circa una metà bambini, riuniti nella corale. La mattina del lunedì le donne, alcune in motoretta, erano andate all'opificio; le barche a motore erano uscite, ognuna portandosi una fila di canotti, una per ogni pescatore, per andare a buttare le reti a bilancia nei giusti fondali e tornare, un'ora prima del tramonto, per travasare il bottino nelle casse di ghiaccio sollevate energicamente dalla gru di Priestman. Hugh era perplesso. Quei pochi chilometri quadrati attorno al vulcano, quel paese di Lilliput, così piccolo che con dieci passi lo si poteva percorrere tutto, così faticoso da penetrare che i preti di una volta dopo tre anni di permanenza lo lasciavano spesso alzando le spalle, che cosa era veramente? Una speranza? Una presa in giro? Un modello in miniatura? O solamente il frutto del caso, o un'esperienza nell'impossibile, condannata a finire in un tempo più o meno breve, come quella dei Vichinghi del Vinland o degli sconosciuti sepolti sotto il mistero africano dei muri di Zimbabwe? Il medico era probabilmente di questo parere. Pieno di amicizia per i suoi assistiti, si confessava più commosso che irritato dalla loro cortesia stile giovane esploratore, dal miscuglio di avveniristico e di antiquato, ma poi diceva, con il formalismo del medico:

"- Sono dei sottosviluppati, tra i quali l'introduzione dello zucchero e delle marmellate ha prodotto lo steso effetto che ha prodotto presso gli eschimesi. Provi un po' ad aprire la bocca di uno di questi isolani, e gli guardi i denti: sono o falsi o guasti. Londra gli ha mandato un odontoiatra e un dietologo, affascinati dalla possibilità, rarissima, di mettere in atto una terapia su un gruppo. In omaggio alla scienza, alla quale vuole in tal modo dimostrare la sua gratitudine, l'isola si metterà a dieta, razionerà i glucidi, sperimenterà dei medicinali. Il risultato, nessuno lo può prevedere. Ma ci sono aspetti più gravi. Un eugenista ha dichiarato che per ogni generazione sarà necessario un apporto di sangue nuovo nella misura del dieci per cento. Immigranti non ce ne sono: il vulcano fa paura. E non ci sono più i naufraghi, che assicuravano un minimo di esogamia. Tiri lei le conclusioni. Se non si fa per gli uomini quello che si è dovuto fare per il bestiame, non posso garantire quello che sarà questa razza fra cinquant'anni.

"Che rimane di tutto questo pessimismo, il martedì, di fronte alla festa? Simon, interrogato, ha risposto: - Beh! Abbiamo sempre risolto i nostri problemi. Il disastro del millenovecentosessantuno si è trasformato in un vantaggio. Vedrà che, per evitare la minacia della quale parla il dottore, il sud sarà colonizzato. Forse anche le isole.- I ragazzi vanno a Nightingale, come hanno sempre fatto: i settembre a raccogliere le uova, in gennaio per il guano e i pulcini, in marzo per l'olio, e per dare la caccia agli uccelli grassi prima dell'invernata e della migrazione verso il nord.

"La bandiera, che serve anche da manica, si stira nella direzione buona, tesa da un venticello che schiaccia la maretta contro la riva e rinfresca il mare percorso da refoli. Il gong risuona in continuazione. Tutto il villaggio è un'altra volta sulla d