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Il rifiuto permanente

di Andrea Bottalico - 08/01/2008

 
“..Bisogna ricominciare daccapo, però da un’altra parte”.
Gyorgy Lukàcs

Stanco. Controvoglia mi vesto ed esco a piedi, è una sera di novembre. Un venerdì sera più caldo del solito. Esco. Attraverso strade semibuie, laggiù dei lampioni sparano luci giallognole che rendono tutto così finto assolato. Un lucido infrangersi della luce sull’asfalto grigio delle strade. Quei palazzi nuovi, tristemente in riga, sono dipinti di un colore acido.
Cammino, digerisco. Ai miei lati sui muri scritte d’amore d’odio e di dolore, sul ciglio della piazza cumuli di spazzatura nera, ingiallita da quelle lampadine assonnate, spazzatura dei giorni passati, cartoni e resti freddi imputriditi; sullo sfondo, il volto squadrato del Rione.
Mi avvicino al solito bar, quasi fiero eppure triste, della mia condizione di spettatore.

Annuso. Nell’aria un fastidioso odore di bruciato. Qualcuno verso quel isolato avrà dato fuoco ad un cassonetto.
“Fanno passare pure la voglia di respirare!” diceva un vecchio seduto fuori ad un bar il giorno prima. I baffi grigissimi, i capelli pure, il volto annerito e rugoso, se ne stava lì a sorseggiare il suo undicesimo caffè.
Penso. La necessità di guardarsi alle spalle di quelli che camminano avanti a me infastidisce.
Respiro con malessere, contro volere inalo un brutto sapore di plastica bruciata, intorno a me convive la perplessità dinanzi alle nuove macerie, la ricchezza arrogante di paese, un’angosciante rabbia repressa. Non posso essere l’unico in questa maledetta serata di novembre a sentire una puzza che lacera le narici, macera la testa ed i suoi miseri pensieri, reprime l’anima.

Fuori a quel bar in doppia e tripla fila sono parcheggiate macchine di lusso, e ragazze con tacchi a spillo simulano una serena schizofrenia.
Tutto ad un tratto si alzano folate di un forte vento…
“Peggio del terzo mondo…”
Qualcuno addirittura osa paragonare la condizione di queste maledette province ai lontani paesi d’ Africa o d’Asia, come se Caserta e le sue periferie isolate fossero simili ai paesini o i villaggi intorno a Nairobi, della Somalia, del Bangladesh. Troppo facile, spostare l’attenzione laddove gli occhi non arrivano a guardare.

Non basta il surreale immaginario dei cassonetti bruciati, non basta definire emergenza qualcosa che va avanti da 16 anni, non basta la continua strumentalizzazione da parte delle istituzioni, non basta il lassismo: bisogna anche sopportare l’indignazione delle baldracche impellicciate, dei signorotti e dei loro figli in merito all’enorme scandalo che generano i cumuli di rifiuti per le strade. Si continua a definire l’affare dei rifiuti come un’emergenza, ma ormai è permanenza. Sembra quasi inutile dirlo.
Cos’altro rappresenta questo scempio se non il paradosso evidente del nostro tempo!. Come se l’immagine dei rifiuti per strada ponesse dinanzi ad occhi distratti un problema altrimenti nascosto tra le campagne, sotto terra, nell’aria, ovunque intorno a noi.

2 gennaio 2008
Due giorni dopo Caserta puzza ancora. Da casa mia alla stazione sono numerosi i resti della spazzatura bruciata durante la notte di San Silvestro. Certi cumuli sono ancora fumanti. Delle lattine argentate resistono all’incendio, il vetro va in frantumi. Tutto il resto si dissolve, lasciando per terra chiazze nere impastate tra i resti del capitone e del baccalà mangiato al cenone. Ricorda i polmoni neri, rattrappiti, di un anziano fumatore incallito. Disteso sull’asfalto dei marciapiedi, sembra il vomito andato a male proveniente da uno stomaco di un gigante. Proprio l’altra notte l’ ho sognato. Un gigante che sovrasta la città e vomita dalla sua enorme bocca tutto ciò che marciva da giorni nel suo immenso ventre.
Il passante cerca di non guardare, evita. Sposta lo sguardo su qualcos’altro. Un negozio con i saldi…Una donna anziana imprecando Sant’ Anna a bassa voce attraversa la strada verso il marciapiede opposto.
Giorni prima del capodanno qualcuno aveva cosparso su tutti i rifiuti ammassati ai bordi delle strade una sostanza bianca, chi dice sia calce, chi dice sostanze per non far incendiare i sacchetti.
Ebbene, non ha funzionato.

La scena che si ripeteva dopo le due di notte tra le strade della città era apocalittica. Enormi colonne di fuoco sprigionavano un fumo denso, nerastro, mentre il traffico delle macchine si dirigeva con lentezza.
“Che ci vuoi fare? ormai ci si è abituati”..
Non è facile stimare il numero di cassonetti incendiati, sui giornali dicono di cento interventi dei vigili del fuoco nella notte scorsa solo tra Caserta e Maddaloni. (*) Nei giorni successivi sono stati bruciati altrettanti cassonetti soprattutto nelle province accantonate ai lembi delle città. Non è semplice valutare il danno perpetuato. I giornali locali parlano di test da effettuare ai cittadini “per analizzare il contenuto di diossine e metalli pesanti nel sangue”..

Ne riparleranno con le solite strumentalizzazioni da quattro soldi i politici, quando le prossime generazioni di queste terre resteranno sfigurate dal cloracne, come trent’anni fa a Seveso. (**) Ne riparleranno quando le donne incinte saranno costrette ad abortire, quando davvero si inizierà a strappare capelli dalla testa per l’incredibile aumento dei tumori, quando nasceranno animali già morti, quando creperanno uomini e donne senza una diagnosi. Tutto ciò sta già avvenendo, in sottofondo, nel silenzio assordante confuso tra i suoni degli allarmi e dei clacson di questa città. 





(*) http://www.nazioneindiana.com/2008/01/08/il-rifiuto-permanente/#more-5125
(**) http://www.boscodellequerce.it/