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La crisi di liquidità e la crisi di sistema

di Nicola Acocella* - 10/01/2008

 
L'articolo di Joseph Halevi su il manifesto del 27 dicembre titolato “Le banche centrali sono al capolinea”. solleva interessanti questioni che vale la pena di chiarire ed approfondire. L'articolo concerne il carattere risolutivo dei recenti interventi delle principali banche centrali nei paesi capitalistici. Con tali interventi esse hanno aperto nuove linee di credito alle banche in difficoltà a seguito della crisi di alcune istituzioni creditizie che finanziano l'acquisto di case. Per queste nuove linee di credito vengono accettate anche garanzie che praticamente mancano di valore: i titoli di debito emessi in relazione ai prestiti cosiddetti subprime, ossia ai prestiti che già nel momento in cui sono nati manifestavano una minore esigibilità.

La tesi sostenuta è che tali interventi non costituiscono una soluzione del problema, ma rappresentano un puro incentivo alle banche stesse (ed anche ai beneficiari dei loro prestiti) ad adottare comportamenti rischiosi (da cui l'espressione incentivo al «rischio morale», ampiamente usata nel gergo degli economisti).
Il problema, infatti, secondo Halevi non consiste nel puro manifestarsi di una crisi di liquidità, nei confronti della quale il prestito di ultima istanza delle banche centrali sarebbe risolutivo, ma in una crisi di sistema.
Se si trattasse semplicemente del fatto che alcuni mutuatari possono risultare insolventi, rischiando di trascinare con la loro insolvenza imprese finanziarie e non finanziarie in una serie di fallimenti a catena, l'intervento con il quale le banche centrali assicurano alle banche la disponibilità di liquidità sarebbe risolutivo, almeno per l'occasione. Nel lungo periodo, però, emergerebbe il rischio che un simile intervento avrebbe incentivato comportamenti poco responsabili, moltiplicando con molta probabilità le situazioni dalle quali scaturisce la necessità dell'intervento stesso. Ciò di cui ha bisogno il mercato per uscire da una crisi sistemica è la scarsa fiducia, non la liquidità, di cui ormai abbonda.

Fin qui il pensiero di Halevi, che ho riassunto nei suoi elementi essenziali e che ritengo sia degno di approfondimenti sul piano sia analitico che di politica economica.
Sul piano analitico, la crisi sistemica sembra derivare dal fatto che, per un insieme di circostanze (che possono ripresentarsi), negli anni scorsi il sistema finanziario ha cercato di forzare alcuni vincoli - o situazioni di fatto - del sistema (in particolare, la sperequata distribuzione del reddito, che condanna una parte delle famiglie a bassi livelli di consumo, anche di beni durevoli come la casa) cercando di stimolare il consumo stesso, oltre che l'investimento, attraverso riduzioni del tasso di interesse. Ne è stato stimolato l'acquisto di case anche da parte delle famiglie relativamente povere, che non hanno considerato - o alle quali non è stato prospettato - il rischio connesso con futuri probabili aumenti dei tassi di interessi. Il sistema finanziario ha voluto moltiplicare i finanziamenti ricorrendo alla loro mobilizzazione attraverso la cartolarizzazione di quelli già concessi - ossia, con la trasformazione dei crediti in titoli mobilizzabili - ma in forma tale da accrescere l'opacità del sistema. Ossia, da ridurre le informazioni sul grado di solvibilità dei soggetti che avevano ricevuto finanziamenti.

È chiaro, dunque, che le banche centrali - come sostiene Halevi - non possono ricostituire ciò che il sistema non ha, ossia la fiducia nella solvibilità di tutti i crediti concessi. Non possono farlo perché la fiducia è stata violata in tutto un insieme di circostanze, che vanno dalla concessione di credito ai meno abbienti alla finanza creativa che riduce la trasparenza circa l'esposizione al rischio di insolvenza.
A fronte di ciò i rimedi non possono che curare i sintomi della crisi, con il sostegno alle banche in difficoltà, prima, ed una più attenta vigilanza sulle modalità e sui criteri di concessione di credito, poi.
La cura sintomatica può non risultare sempre efficace, ma - a differenza di quanto forse pensa Alevi - dà tempo e spazio alle banche ed altri operatori di leccarsi le ferite e di rimettere la casa in ordine.

*Ordinario di Politica economica e finanziara dell''Università di Roma, La Sapienza