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Le foreste, i gorilla e le stufe efficenti

di Marinella Correggia - 10/01/2008

 
Gli animali selvatici africani sono da sempre nel mirino dei bracconieri. Ma il loro habitat, anche quando si tratta di aree protette, è messo in pericolo da molti altri fattori: il taglio delle foreste, l'espansione delle aree agricole per produzioni alimentari e non, guerre, attività minerarie.
Ma non va dimenticato un altro problema, al tempo stesso umano e ambientale: la ricerca della legna da ardere. Le popolazioni rurali (e povere) ignorano i cartelli dei parchi nazionali e i divieti di ingresso in certe aree protette. Non è dunque strano che la Gorilla Organization (Go, www.gorillas.org) si interessi di stufe efficienti, microcredito e altri progetti per gli esseri umani. Go porta avanti l'eredità della celebre primatologa statunitense Diane Fossey che - prima di essere assassinata da bracconieri nel 1985 - visse per 18 anni nelle foreste del massiccio Virunga in Rwanda, facendo conoscere al mondo i gorilla di montagna, animali carismatici, purtroppo minacciati di estinzione.

Per Diane, il futuro di questi animali dipendeva strettamente dal benessere delle comunità umane rurali che vivono intorno ai parchi e vicino agli animali selvatici e che devono essere portate a sostenerli. E' la «conservazione basata sulla comunità», che deve rispondere ai bisogni umani, oltre che alla sensibilizzazione e all'educazione circa il valore della biodiversità. Ne parlava giorni fa il quotidiano inglese The Independent.
Gli abitanti dei villaggi vicini entrano nei parchi del Virunga, in Rwanda, Uganda e Congo per cercare acqua o miele selvatico; Go offre dunque un sostegno economico alla costruzione di cisterne per la raccolta della pioggia nelle scuole circostanti (evitando così ai bambini lunghi tragitti nella foresta, con i relativi pericoli per loro e disturbo ai gorilla), ma anche all'allevamento delle api fuori dalle aree protette. Soprattutto, quel che le persone cercano nelle foreste del Virunga è la legna da ardere. Qui l'aiuto di Go arriva in due modi: con piantagioni di alberi al di fuori del parco, e con la diffusione di semplici stufe chiuse che, realizzabili in loco, sostituiscono la tradizionale cottura a fuoco libero. Costo massimo equivalente a 15 euro, si risparmia l'80 per cento della legna. E si riduce la fatica della raccolta. E si evita l'intossicazione da fumo di donne e bambini, che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità nel 2007 ha provocato nel mondo la morte di 800mila bambini e 500mila donne per problemi respiratori.
Se il progetto stufe di Go è recente, altre soluzioni alternative sono proposte da tempo da organizzazioni come Solar Cookers International (www.sci.org) o Practical Action (www.practicalaction.org), l'ex Intermediate Technology Development Group ispirato dall'economista gandhiano E. F. Schumacher: cucine solari, stufe efficienti o cappe fumarie, seconda i contesti.

Go appoggia inoltre il reinsediamento delle vittime non volute della conservazione ambientale: quei nuclei di pigmei e batwa estromessi dai loro habitat tradizionali con la creazione di parchi nazionali. Rigettati anche dai popoli «non forestali», molti gruppi vivevano nella disperazione. In Rwanda, Go e organizzazioni africane hanno fornito loro terre, sementi, formazione, cure mediche e anche l'assistenza necessaria a fabbricare stufe efficienti per la cottura dei tradizionali, bellissimi vasi dai quali i batwa da sempre ricavano un piccolo reddito monetario.
Nel Congo Orientale, dove i gorilla delle terre basse sono a rischio di estinzione a causa delle attività minerarie (si pensi al famigerato, ambitissimo coltan) l'organizzazione intitolata a Diane Fossey si propone ora di introdurre cooperative di minatori artigianali con migliori condizioni di lavoro e la salvaguardia dell'ambiente.

Non basteranno questi piccoli progetti a salvare i gorilla e ancor meno le foreste africane, grandi protettrici del clima che secondo la Fao spariscono al ritmo di 4 milioni di ettari all'anno, due volte di più della media mondiale. Ma tutto aiuta.