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La guerra delle cifre (e la realtà di centinaia di migliaia di morti causate dall'occupazione USA)

di Christian Elia - 10/01/2008

Secondo uno studio dell'Oms, da marzo 2003 a giugno 2006, sono 151mila le vittime della guerra in Iraq
Il calcolo del numero delle vittime del conflitto iracheno, iniziato a marzo 2003 e tutt'ora in corso, sta diventando una battaglia nella battaglia. Secondo uno studio del governo iracheno, in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), pubblicato oggi dal New England Journal of Medicine, sono 151mila i decessi per morte violenta in Iraq dal marzo 2003 al giugno 2006.
 
un obitorio irachenoBalletto, macabro, di cifre. La cifra, già di per sé inquietante, si discosta di molto da quella di Iraq Body Count (Ibc), network di ricercatori universitari britannici e statunitensi, che viene ritenuta la fonte più attendibile rispetto al conteggio delle vittime del conflitto iracheno. Secondo Icb sarebbero circa 87mila le vittime civili della guerra da marzo 2003 a oggi. Quindi la somma, ottenuta basandosi sul censimento dei morti tenuto dalle ong locali e da fonti giornalistiche sul posto, non solo è molto inferiore a quella calcolata dall'Oms, ma copre anche un periodo più lungo di quello analizzato dall'agenzia Onu.
“Sono state intervistate 9345 famiglie in mille tra città e villaggi sparsi in tutto l'Iraq. Secondo i dati che abbiamo raccolto, le vittime di morte violenta nel periodo specificato vanno da un minimo di 104mila a un massimo di 223mila: per questo fissiamo in 151mila la proiezione della nostra stima”, ha spiegato a PeaceReporter Emma Ross, funzionario dell'Oms. “Abbiamo formato 400 funzionari del ministero della Sanità iracheno e li abbiamo poi seguiti nel loro lavoro con il nostro personale in loco che supervisionava le attività degli intervistatori e analizzava i dati raccolti”.

una donna irachena piange un parenteStatistiche difficili. Ma per quale motivo, dall'inizio della guerra, è così difficile ottenere cifre credibili che non si discostino tanto le une dalle altre? “Il lavoro è stato molto duro, a causa delle condizioni d'insicurezza nelle quali si muoveva il personale”, spiega la dottoressa Ross, “inoltre, in tutto il mondo, il modo più sicuro di elaborare questo genere di statistiche è quello di analizzare i registri dei decessi, di solito gestiti dalle infrastrutture sanitarie, ma in Iraq il sistema è collassato per lungo tempo e questo ha reso inaffidabili i dati registrati. Meglio le interviste allora, che permettono di elaborare proiezioni”. Cosa pensa della differenza fra le cifre dell'Oms e quelle di Ibc, che è stato ritenuto per anni la fonte più affidabile?
“Il lavoro di Ibc è eccellente”, risponde il funzionario dell'Oms, “loro si basano sulle testimonianze oculari di cooperanti e giornalisti e sui dati pubblicati sui media internazionali. Questo ha permesso loro di certificare tutte morti 'sicure', ma di ottenere una cifra totale molto sottostimata, anche perché i media non riportano tutte le vittime del conflitto. Secondo le nostre ricerche, solo una vittima su tre viene registrata dai mezzi d'informazione. Questa puntualità non può essere applicata all'Iraq, dove l'unico modo di avere una stima credibile è quello di applicare dei modelli statistici per elaborare delle proiezioni. In particolare, nel modello di Ibc, restano fuori i combattenti e senza di loro il dato si abbassa sensibilmente”.

il logo dell'omsMetodi diversi per un unico dramma. Il metodo di ricerca applicato dall'Oms, basato sulle interviste, ricorda quello della John Hopkins University e dell'università al-Mustansiriya di Baghdad che, a metà del 2006, hanno calcolato in circa 600mila le vittime del conflitto in Iraq nello stesso periodo analizzato da voi. Cosa pensa di quello studio?
“I dati di quello studio erano elaborati solo sul tasso di mortalità in generale, non sulla natura violenta del decesso. Questa è una discriminante importante per calcolare il numero di vittime in relazione al conflitto”, spiega la dottoressa Ross. “Inoltre il nostro spettro d'indagine è stato più ampio, sia nel numero campione delle famiglie che in quello dei luoghi di residenza, in modo da equilibrare i dati di zone più colpite come Baghdad e i dintorni della capitale, o della provincia di al-Anbar, con quelli di zone meno violente. Raccogliere i dati nelle città più colpite dalle violenze non può che elevare le percentuali”.
Per il momento Ibc non ha replicato ai dati della ricerca dell'Oms, come non lo ha fatto neanche la John Hopkins University, almeno fino al prossimo rapporto.