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Il non senso del potere

di Stenio Solinas - 10/01/2008

Ho fatto un sogno. Ho sognato che gli intellettuali italiani che avevano magnificato il Rinascimento napoletano di Antonio Bassolino, prendevano la penna e firmavano un manifesto in cui lo invitavano a dimettersi. Da Francesco Rosi a Ettore Scola, passando per Dacia Maraini, una lenzuolata di registi e scrittori, filosofi e musicisti, attori... Non un manifesto politico o ideologico, niente di tutto questo, ma la semplice constatazione che chi non ha saputo amministrare può avere anche le sue brave ragioni, ma deve comunque saper dare l’esempio e lasciare quel potere che non ha saputo e/o potuto usare.

Tutto qui, semplicemente, una prova di senso civico, un’assunzione di responsabilità. Ho fatto un sogno. Ho sognato che gli italiani del nord, del centro e del sud prendevano carta e penna e scrivevano una lettera al presidente della Repubblica nella quale gli chiedevano di convincere il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino a rimettere il mandato. Una lettera educata nella forma, ma ferma, in cui si esponeva un pensiero che può sembrare banale, ma che è invece alla base del rapporto fra una comunità nazionale e i suoi rappresentanti istituzionali: fiducia, rispetto degli impegni presi. Ho fatto un sogno.

Ho sognato che mentre gli intellettuali firmavano e gli italiani scrivevano, il presidente Bassolino li batteva sul tempo e lasciava il suo posto. Senza polemiche, senza accuse al tale ministro o al tale sindaco, al partito X o alla delinquenza organizzata Y. Soltanto una dichiarazione in cui, proprio per aver negli anni lavorato a costruirsi un’immagine di efficienza, di pulizia e di serietà, nel momento in cui questa si rivelava fallace non poteva che prenderne atto e regolarsi di conseguenza. A volte, se si pensa di non essere l’unico responsabile di un degrado, ci vuole più coraggio ad andarsene che a restare...

Il nostro è uno strano Paese e il rapporto fra governati e governanti è più strano ancora. Il disprezzo dei primi nei confronti dei secondi è palpabile, e dagli anni Sessanta in poi ha provocato una serie di corto circuiti che non vanno sottovalutati, dalla contestazione al terrorismo, alla scomparsa della cosiddetta Prima repubblica. Ma quello che lascia più sgomenti è l’irresponsabilità e la logica da casta, svincolata da qualsiasi controllo, che anima quest’ultimi, una sorta di armata di cosacchi accampata sul territorio e che vive un’esistenza parallela... Si potrà obiettare che ogni popolo ha la classe dirigente che si merita, ma questo non è sufficiente a spiegare la realtà. C’è qualcosa di più e di più sottile e riguarda l’incapacità, o la non volontà, di chi dirige a espletare le proprie funzioni.
Se chi governa non ha il senso dello Stato, come si può pensare che lo Stato abbia un senso? Nel dramma di Napoli e della spazzatura che la sommerge e la soffoca c’è tutto questo, e qualcos’altro ancora. Per esempio, l’essere arrivati al capolinea di quell’idea di «diversità» su cui la sinistra italiana, a partire dalla fine degli anni Sessanta, basò la propria differenziazione e il proprio successo, l’idea di una sanità morale da contrapporre a una insanità politica, italiani contro italioti...

Nel 1975, trenta e passa anni fa, quando Napoli ebbe il suo primo sindaco comunista, Maurizio Valenzi, quell’idea si era talmente radicata che persino un autore non retorico come Eduardo de Filippo pensò di cambiare il finale della sua Napoli milionaria, rendendolo ottimistico. Insomma, «’a nuttata» non aveva più «da passa’», «’a nuttata» era passata... Si è visto. È anche questo che rende quel primo sogno da cui siamo partiti ingenuo quanto impossibile. Perché significherebbe ammettere che in un quarto abbondante di secolo l’intellighentia italiana che si faceva vanto e scudo della propria diversità, non ha capito niente, non ha visto niente e ha giustificato tutto. L’importante era che non governassero gli altri, come poi governassero i suoi era secondario e relativo. Il falò di rifiuti che brucia Napoli, lascia in cenere il nostro sentimento nazionale e lo fa nel peggiore dei modi. Nessun esponente del governo ha sentito la necessità e il bisogno di trasferirvisi, di condividere una tragedia e una vergogna. È solo un proliferare di comitati e di commissari straordinari, l’incapacità a capire che a volte bisogna rischiare la faccia per legittimamente poter affermare di averne una.

Qui sono tutte maschere di gomma, travestimenti buoni per ogni stagione. Piange il cuore vedere una città, una capitale, sprofondare nella sporcizia, perché significa anche negarle quel senso dell’onore, del decoro e del rispetto che fa dei suoi abitanti degli esseri umani e non una massa abbrutita. Ma forse ancora più ammorbante è il balletto delle responsabilità che come una stanca tiritera avvolge questa tragedia, l’incapacità a tacere, il gusto parolaio di dire la propria su tutto, la vergognosa irresponsabilità con cui si afferma oggi quello che fino a ieri si era negato, lo sgomitare per avere sempre e comunque una visibilità, perché solo apparire, alla fine, è ciò che conta e interessa. È anche questo che rende quel nostro terzo sogno puerile e un po’ ridicolo. Pensare a un politico che lasci sua sponte il potere che ha costruito e usato con mano di ferro, è un’eresia.

Il professionismo che ne è alla base ha finito con l’eliminare qualsiasi elemento etico, qualsiasi spinta ideale, qualsiasi libertà intellettuale. E quindi Bassolino resterà al suo posto. «Perché solo io?» è il mantra che lo tiene attaccato alla poltrona. Quanto al sogno degli italiani del nord, del centro e del sud, forse è l’unico su cui, stando così le cose, varrebbe la pena di impegnarsi perché diventi realtà. Sarebbe bello se, per esempio, questo giornale se ne facesse in qualche modo garante, una sorta di posta centrale di una protesta doverosa, di tramite con la più alta carica dello Stato. Non per un fine di parte o ideologico, ma per quello che per tutto questo articolo abbiamo cercato sommessamente di dire: rispetto, fiducia, dignità. Nel caso che lo riguarda, Bassolino non è più solo o tanto un politico in carne e ossa, ma l’immagine di ciò che la politica non dovrebbe più essere. Assenza di senso. Quanto al Rinascimento, si sarà capito che abbiamo già dato.