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Le brigantesse: un mondo tutto da scoprire

di Fernando Ricciardi - 10/01/2008

 



“Tutto è poesia nella donna, ma in essa dorme un oceano che bisognava porre in moto, ed invece si volle che restasse come la quiete superficie di un lago”. Con questa frase di Pietro Calà Ulloa si apre il bel libro di Valentino Romano, giornalista e valente ricercatore, da anni impegnato nello studio del ribellismo contadino e nella storia del sud. “Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del Sud (1860-1870)” questo il titolo del volume che la casa editrice ‘Controcorrente’ di Napoli ha saputo realizzare, come suo costume, in elegante veste tipografica. Eleganza, però, non disgiunta dal contenuto che va a gettare una luce viva e intensa su di un argomento che è stato sempre trascurato, più o meno scientemente, da chi si è prodigato nel corso dei decenni, in maniera più o meno interessata, a ricostruire le vicende storiche del nostro paese. Quale ruolo hanno interpretato le donne in quel virulento fuoco che infiammò le regioni dell’Italia meridionale nel drammatico decennio post-unitario e che troppo semplicisticamente è stato ribattezzato come ‘brigantaggio’? Furono pallide comprimarie, vissute per lo più all’ombra dei loro uomini oppure soltanto ‘drude’, donne di malaffare come vennero bollate dai conquistatori scesi dal nord? O, invece, hanno vissuto quel momento in maniera passionale, partecipativa, esponendosi in prima persona e pagando assai caro il prezzo del loro ardimento? Il corposo volume di Valentino Romano (320 pagine con due inserti a colori, prefazione di Edoardo Vitale e introduzione di Raffaele Nigro), vuole rispondere proprio a questi interrogativi. E lo fa con i documenti (imponente l’apparato bibliografico e archivistico), con le testimonianze, con i dati di fatto, senza indulgere a sentimentalismi di sorta o a visioni distorte della realtà. Lo fa raccontando ciò che è avvenuto nelle lande desolate del Mezzogiorno tra il 1860 e il 1870, senza nascondere alcunché ma, anzi, andando a scavare a fondo nelle vicende che hanno visto protagoniste indiscusse le ‘brigantesse’. Non una visione parziale, dunque, edulcorata, artefatta, sfacciatamente partigiana, ma una storia diversa, più vera, più aderente alla realtà. Una storia che non è quella che ci hanno raccontato i vincitori, piena di menzogne, di bugie e di clamorose montature. Una storia che va controcorrente. Così come ‘controcorrente’ marcia quella coraggiosa casa editrice napoletana che del raccontare accadimenti scomodi, nascosti dalla storiografia dominante, che nessuno vuole trattare, ha fatto la sua strada maestra. Ma addentriamoci più a fondo nell’analisi del libro. Da che mondo è mondo le donne hanno sempre condizionato, nel bene o nel male, la vita dell’uomo. E non bisogna certo ritornare ad Eva che offre la fatidica mela del peccato ad Adamo per convincerci dell’inequivocabile assunto. Né bisogna credere che esse abbiano sempre svolto la serafica missione di angelo della casa e del focolare, attente soltanto alle monotone faccende domestiche. Niente di più sbagliato e di inesatto. Vi sono state donne, infatti, che si sono distinte anche in ambiti tipicamente maschili. Come quando i contadini del Sud presero le armi contro i Piemontesi che avevano invaso ‘manu militari’ il Regno di Napoli. Non c’era banda di briganti, piccola o grande, in cui il capo non avesse al suo fianco una donna; donna che seguiva dappertutto il suo uomo, anche quando si trattava di partecipare a marce estenuanti, nottate all’addiaccio, assalti e scontri a fuoco. Era, insomma, la donna del capo e, in quanto tale, andava rispettata, ossequiata e persino temuta. Vestita con abbigliamento tipicamente maschile, pantaloni, camicia, gilet e cappellaccio, con al cinturone pistola e pugnale, incuteva timore agli stessi briganti che pure non erano degli agnellini. A volte erano molto più risolute e determinate dei loro compagni, con una tempra che destava, nello stesso tempo, ammirazione e spavento. Nella storia del brigantaggio post-unitario si incontrano parecchie di queste donne. Molte caddero a fianco del loro uomo; altre affrontarono un lungo periodo di carcere duro, senza mai rinnegare la scelta fatta. Una pagina tanto triste quanto poco conosciuta; è il dramma di donne disperate che, mettendo da parte il ruolo tipico della rassegnazione, hanno avuto il coraggio di seguire i loro uomini sulla montagna, svolgendo un ruolo attivo nella dilagante rivolta contadina. Valentino Romano, con straordinaria perizia, è riuscito a identificare tantissime di queste donne. E dopo una breve premessa storica si è gettato a capofitto e senza risparmio nell’impresa. Il suo impegno è stato premiato ben oltre le più lusinghiere aspettative. Il materiale raccolto era così corposo e variegato che ha pensato di suddividerlo in due distinte sezioni: nella prima racconta “cento storie di brigantesse”, delineando imprese e accadimenti che appartengono ad interpreti per lo più noti, conosciuti, che hanno fatto anch’essi la storia dell’insorgenza post-unitaria. A seguire una lunga parte dedicata a quello che Romano, con termine appropriato, ha ribattezzato il “popolo senza nome”: è il variegato universo delle fiancheggiatrici, delle manutengole, della manovalanza più spicciola e più umile del cosiddetto brigantaggio. L’autore, dunque, ha aperto una finestra su un mondo in gran parte sconosciuto, ancora tutto da investigare e da scoprire. Un mondo fatto di “donne derise, oltraggiate, disprezzate, incarcerate, massacrate, dimenticate. Donne che hanno imbracciato il fucile, donne che hanno condiviso la vita alla macchia, donne che hanno nascosto e aiutato i loro uomini. Donne del Sud che hanno scritto una pagina proibita di storia. Spose, madri, sorelle, amanti: donne meridionali, donne dei briganti, guerrigliere. Brigantesse”. La storia, con un’energica sbianchettata, ha cancellato completamente queste tragiche e dolorose vicende, limitandosi a fare di tutta l’erba un fascio. E così quelle tante donne sono diventate ‘drude’, femmine da bordello, additate al pubblico ludibrio e alla più feroce esecrazione. Ecco un’altra pagina del nostro passato che andrebbe, quanto meno, ‘sistemata’ tenendo conto dei documenti di archivio e del reale svolgimento degli eventi. Cosa che Valentino Romano ha fatto. E lo ha fatto in maniera egregia, senza tentennamenti, facendo parlare soprattutto le carte. Quelle carte che molti vorrebbero chiudere a doppia mandata in un armadio o, peggio ancora, distruggere, inviare al macero. Un altro piccolo tassello è stato inserito nel suo giusto posto. Ci vorrà ancora tanto per completare il puzzle ma qualcosa, finalmente, si sta movendo. E’ partita, insomma, quella ‘operazione verità’ che ormai da più parti, persino nell’ingessato mondo accademico, è avvertita come una esigenza non più derogabile. E se ciò sta accadendo è anche merito di chi, mettendo da parte la ‘vulgata’ dominante, ha iniziato ad indagare a 360 gradi, senza rispetto per niente e per nessuno, incurante delle censure, degli anatemi e delle stroncature. Valentino Romano è riuscito in pieno nell’impresa. Tanti altri, ne siamo certi, sapranno e vorranno seguire il suo esempio.