Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Biodegradabilità e compostabilità delle bioplastiche

Biodegradabilità e compostabilità delle bioplastiche

di Massimo Centemero - 11/01/2008

 
Il Consorzio Italiano Compostatori ha lanciato il marchio “Compostabile CIC” per la certificazione dei manufatti biodegradabili. È stato individuato un test di disintegrazione su scala reale di manufatti biodegradabili secondo la norma UNI 10785 e alla fine del 2007 saranno rilasciate le prime licenze d’uso del marchio. Grazie a questa iniziativa, ci sarà maggiore chiarezza e sicurezza nell’impiego di bioplastiche. A vantaggio di tutti: cittadini, agricoltori e compostatori.

I materiali polimerici di sintesi, noti anche con il nome di plastiche, svolgono oggi un ruolo ormai fondamentale per la produzione di una vasta gamma di articoli di largo consumo e la ragione della loro diffusione va ricercata nelle loro elevate prestazioni e nei bassi costi di produzione.
Circa il 40% dei materiali polimerici oggi prodotto è utilizzato per ottenere imballaggi e la tendenza all’espansione è in crescita, soprattutto se vengono considerate anche le potenzialità dei paesi in via di sviluppo.
Attualmente il consumo di plastica pro-capite si attesta sui 10 kg l’anno, con la previsione di raggiungere i 100 kg entro fine secolo. La recente pubblicazione della società di consulenza britannica PCI Film Consulting, nell’edizione 2006 dello studio “The European Flexible Packaging Market”, effettua una dettagliata analisi sul mercato europeo degli imballaggi flessibili (film di polietilene, poliestere e polipropilene) utilizzati nel packaging e coverting. Dal documento emerge che nel 2005 il mercato dell’imballaggio in Europa Occidentale ha registrato una crescita del fatturato pari a circa un punto percentuale, raggiungendo un valore di 9,29 miliardi di euro e le esportazioni di imballaggi fuori all’Europa sono cresciute a 707 milioni di euro (7% della produzione totale). Tra i principali problemi che affliggono il settore è segnalato il persistere di una sovra capacità produttiva, combinata con una rapida crescita dei costi delle materie prime. Le previsioni indicano, per i prossimi anni, una diminuzione della domanda nei mercati più maturi dell’Europa occidentale, attenti agli aspetti ambientali dell’imballaggio, che potrebbe però essere compensata da una maggior richiesta di packaging flessibile da parte dei nuovi paesi dell’Est Europa.
Sono proprio gli aspetti legati all’inquinamento, l’attenzione sull’impatto ambientale generato dagli imballaggi (problemi di dispersione, costi di raccolta, di trasporto e di riutilizzo come materia prima seconda), la gestione come rifiuti post-consumo ed infine la prospettiva di una crescita mondiale dei consumi e del costo delle fonti non rinnovabili, che stanno spingendo l’industria della plastica verso nuovi sistemi per ottenere polimeri non più da processi di sintesi bensì dall’utilizzo di materiali biologici in grado di degradarsi in modo naturale nell’ambiente.
Nel 2003 in Europa il mercato delle plastiche (incentrato principalmente sul consumo di imballaggi) derivate da petrolio superava i 40 milioni di tonnellate annue (con un tasso di crescita del 4- 5%), mentre quello delle bioplastiche possedeva una quota di sole 35-40.000 t/anno mentre nel 2001 era stato di sole 25.000 t. Le potenzialità di crescita del settore risultano molto elevate e la previsione è che in Europa saranno utilizzate fino ad 1 milione di t BPs nel 2010 e fino a 5 milioni nel 2020.
La European Bioplastics Association, l’associazione europea dei produttori di polimeri biodegradabili, ha stimato che per le bioplastiche il mercato potenziale europeo si aggira intorno a 4 milioni di tonnellate, vale a dire il 10% dei consumi continentali di materie plastiche. Per fronteggiare la domanda di bioplastiche risulterebbero però necessari investimenti nell’ordine dei miliardi di euro per la creazione di una capacità produttiva adeguata, ed il tutto dovrebbe essere accompagnato da interventi normativi in grado di sostenere la crescita della domanda e dell’offerta, così come sta avvenendo per il settore dell’energie rinnovabili.
L’associazione segnala, inoltre, che nel 2005 i costi dello zucchero e dell’amido (materie prime per la produzione di bioplastiche), sono stati inferiori a quelli delle materie prime di origine petrolchimica, e che in questi anni è anche cresciuto il numero dei produttori di plastiche di origine naturale e ciò ha innescato una maggiore concorrenza che porterà ad ulteriori diminuzioni nei costi di produzione.
Un esempio di introduzione delle BPs nel mercato proviene dalla Sainsbury’s, terza catena britannica nella grande distribuzione, la quale si appresta a confezionare circa 500 prodotti con bioplastica, con l’obiettivo di ridurre di 3.500 tonnellate il consumo annuale di plastiche di origine petrolchimica. A regime, il programma interesserà ogni anno circa 150 milioni di vaschette e confezioni - oltre a film protettivi, etichette e retine - destinati a contenere prodotti freschi e cibi pronti, che saranno rimpiazzati con nuovi imballaggi prodotti con bioplastiche compostabili.
Circa la metà della frutta biologica utilizzerà già dai prossimi giorni i nuovi packaging, quota che salirà all’80% entro il gennaio del prossimo anno.
Nel settembre 2007 lo stesso avverrà per tutti i cibi pronti commercializzati nei punti vendita nel Regno Unito. Attualmente sul mercato si trovano polimeri naturali oppure modificati (biopolimeri sintetici). I primi derivano da materiali di origine vegetale e quindi rinnovabili come:
- l’amido di mais (Mater-bi prodotto da Novamont, Sorona e Hytrel a base di PDO che la DuPont lancerà nel 2007) e di patate (Solanyl prodotto da Rodenburg Biopolymers);
- l’acido polilattico (Natureworks PLA prodotto da Huhtamaki Oyj) ottenuto dalla fermentazione degli zuccheri;
- i poliidrossialcanolati (PIA) sono macromolecole sintetizzate da batteri gram+ e gram- (Terramak prodotto da Unitika);
- la cellulosa e i suoi polimeri.
I secondi di origine sintetica derivano da alcuni poliesteri, da alcune poliesteriammidi, da alcol polivinilico (come l’Hydrolene prodotto da Idroplast S.r.l e il Gohsenol prodotto da The Nippon Synthetic Chemical Industry Co., Ltd.)
Esistono numerosi grandi produttori di plastiche biodegradabili quali, ad esempio, la BASF in Germania, la Nature-Works negli Stati Uniti, la Novamont in Italia.
Le applicazioni delle BPs riguardano diversi settori; sul mercato, infatti, si trovano sacchetti, imballaggi, pneumatici, componenti per l’interno delle automobili, protesi biomedicali, come biocomposti in associazione a fibre vegetali in sostituzione della fibra di vetro); nel settore agricolo sono commercializzati come vasetti per piante, supporti per il lento rilascio di feromoni o fertilizzanti, teli per la pacciamatura.
Una prima misura positiva per questi materiali è scattata in Germania1 nel maggio del 2005 con l’esenzione delle bioplastiche dal pagamento dei contributi per i rifiuti di imballaggio e l’esclusione del recupero (per il riciclaggio o l’incenerimento) per almeno il 60% del prodotto consegnato, deroghe che dureranno per un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2012. Al contrario, in Italia il settore dei BP, non beneficia di alcun tipo di aiuto pubblico, neanche di forme di defiscalizzazione analoghe a quelle previste per il biodiesel. Un emendamento ad una legge di orientamento agricolo, passato in prima lettura all’unanimità al Parlamento francese l’11 ottobre 2005, stabilisce che dal 1 gennaio 2010 in Francia non potranno essere venduti o distribuiti sacchi e imballaggi in plastica non biodegradabile anche se successivamente è stato rivisto riducendo l’obbligo ai soli sacchetti di plastica.
Anche in Italia (Legge Finanziaria 2007) si prevede di “individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della
commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario”.
Come già anticipato gli imballaggi ottenuti dalle BPs hanno la prerogativa di essere biodegradati in elementi con peso molecolare inferiore grazie ad agenti fisici e chimici la cui azione combinata, insieme a quella di microrganismi esistenti in natura, consente di produrre anidride carbonica e acqua oppure anidride, acqua, metano e biomassa cellulare.
Tra i processi attualmente più adatti alla gestione post consumo delle bioplastiche, il compostaggio rappresenta sicuramente la soluzione migliore.
Realtà ormai consolidata per il trattamento dedicato esclusivamente a materie organiche biodegradabili (con l’esclusione di plastiche e altri materiali recalcitranti la degradazione), il compostaggio può essere realizzato anche con l’utilizzo di materiali in BPs che dimostrino però di avere caratteristiche di decomposizione simili alla sostanza organica.
Unitamente agli aspetti di riduzione dello scarto organico da avviare a discarica (cfr D.lgs. 36/2003), l’ingresso degli imballaggi biodegradabili nel comparto del compostaggio permetterebbe di ottenere un prodotto finito di qualità (rilevabile diminuzione della frazione di inerti indesiderati) e parallelamente di contenere il quantitivo di sovvallo in uscita dall’impianto, il cui destino rimane quello oneroso della discarica. Nella fattispecie, l’attività di standardizzazione italiana ha prodotto una serie di norme (UNI 10785:1999, UNI EN 13432:2002) che specificano le caratteristiche di compostabilità degli imballaggi realizzati con BPs (biodegradabilità, disintegrabilità, qualità del compost).
Esistono in europa due marchi che certificano la compostabilità di un prodotto realizzato a partire da BPs: il marchio “OK compost Home” della società belga di certificazione Vinçotte può riferirsi a compostabilità in ambito domestico. Per quanto riguarda il compostaggio industriale, il marchio maggiormente diffuso in Europa è quello presente in Germania della DIN Certco.
Dal luglio 2006 anche in Italia il Consorzio Italiano Compostatori presenta un Marchio per la compostabilità e dal maggio 2007 il CIC è in grado di iniziare un percorso di certificazione e di rilascio del Marchio ad aziende che si sottopongono al programma di certificazione di Certiquality.
Esaminando il contenuto delle norme sopra citate, emerge chiaramente come i requisiti (biodegradabilità, la disintegrazione e la qualità finale del compost) e le procedure per definire la compostabilità siano comuni ad entrambe.
Mentre per la determinazione della biodegradabilità e della qualità del compost ci si riferisce a ben precisi standard (ISO, EN, UNI, ecc.), per quanto riguarda la disintegrazione si rileva però la necessità di definire nel dettaglio le condizioni di prova, fornendo al laboratorio di riferimento un vero e proprio protocollo di prova.
A tale scopo il Consorzio Italiano Compostatori si è impegnato ad implementare lo standard attuale di riferimento (EN 14045 :2003. “Evaluation of the disintegration of pakaging materials in practical oriented tests under defined composting conditions”), proponendo un test di disintegrazione su scala reale per i manufatti biodegradabili (prodotti con BPs conformi alla UNI 10785:1999 O ALA en 13432:2002) come i sacchetti per la raccolta differenziata della frazione organica2.
Il CIC dopo un lavoro sperimentale di messa a punto di metodiche standard per la compostabilità degli imballaggi (sacchi per la raccolta differenziata, shoppers e altri manufatti realizzati a partire dalle bioplastiche) ha depositato un marchio di prodotto “COMPOSTABILE”. La possibilità di estendere con questa certificazione il concetto di compostabilità dei manufatti costituiti da bioplastiche, rappresenta un obiettivo di grande
interesse per chi sostiene il compostaggio. E’ chiaro come l’uso di materiali veramente compostabili favorisca il compostaggio di qualità e, viceversa, la diffusione del compostaggio possa rappresentare uno stimolo alla diffusione di prodotti compostabili ovvero effettivamente riciclati.


Massimo Centemero, agronomo, ha operato dal 1991 al 2005 presso il Gruppo di Studio sul Compostaggio della Scuola Agraria del Parco di Monza. È coordinatore del Comitato Tecnico del CIC.

NOTE:
1 La “German Packaging Directive -VVO” recepisce la Direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994 sugli imballaggi e sui rifiuti d’imballaggio.
2 “Proposta di metodica per la determinazione su scala reale della compostabilita’/disintegrabilità dei manufatti biodegradabili”. Ecomondo 2006. Atti dei Seminari. Maggioli Editore. 46-50