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Nucleare: un vicolo cieco

di Giuseppe Onufrio - 11/01/2008

 
 
 
Messi con le spalle al muro dalla crisi energetica e dal riscaldamento del pianeta, molti politici italiani stanno scegliendo la strada più vecchia e banale per risolvere il problema: tornare al nucleare. Una proposta completamente fuori da ogni logica economica ed ecologica. Si parla addirittura di nucleare come “energia pulita”. Ma non si proferisce parola sul problema irrisolto delle scorie. Gli amici di Greenpeace ci spiegano perchè costoro si stanno infilando in un vicolo cieco.
 
L’industria nucleare civile ha oltre 50 anni. Dopo oltre mezzo secolo nel quale nei Paesi OCSE questa tecnologia ha assorbito ingenti risorse pubbliche di ricerca e sviluppo, nessuno dei problemi fondamentali è stato ancora risolto: non esiste una soluzione di lungo termine per la gestione delle scorie, non esiste una filiera che non sia utilizzabile anche per la produzione di bombe atomiche, la tecnologia “intrinsecamente sicura”, la cosiddetta quarta generazione, è ancora allo studio.
Si parla tanto di “Rinascimento nucleare” come se questi problemi fossero stati risolti.  La verità è che questo dibattito è legato soprattutto al fatto che nei mercati elettrici liberalizzati, come negli USA, il settore nucleare è in forte crisi per la mancanza di investimenti in nuovi impianti da circa 30 anni.
 
I costi
Rispetto alle fonti convenzionali il nucleare è più costoso. Lo dimostrano gli studi del MIT (2003), dell’University of Chicago che ha condotto per conto del Dipartimento per l’energia degli USA un ampio studio nel 2004. Lo confermano le stesse stime del DOE statunitense del 2007 che per i nuovi impianti che entrano in funzione al 2015 prevede un costo superiore dell’elettricità da fonte nucleare sia al gas che al carbone.
Le stime del costo del kWh per impianti che entreranno in funzione nel 2015 vedono il nucleare a 6,3 ¢/kWh contr i 5,5 ¢/kWh del gas e i 5,6 ¢ del carbone. E’ però interessante notare che  l’incentivo che il governo USA ha introdotto nel 2005 per i nuovi impianti nucleari (con fondi per coprire 6000 MW nuovi) sia oltre il doppio del differenziale calcolato dal DOE: 1,8 ¢/kWh.
Ma non è l’unico incentivo che il governo USA ha messo in campo per evitare che, con la progressiva chiusura dei reattori a fine vita e la mancanza di nuovi investimenti, il settore nucleare in quel Paese abbia un crollo verticale. Infatti si prevede anche un finanziamento a tasso agevolato per l’80% del costo di costruzione e una copertura assicurativa per le perdite dovute ai ritardi o ai problemi in fase di costruzione. Nonostante tutto questo l’agenzia di rating Moody’s ha recentemente dichiarato che solo una frazione del programma nucleare del governo verrà realizzata
 
Le stime e la realtà
Anche al di là di alcune incertezze di fondo irrisolte (come i costi di smantellamento delle centrali a fine vita e di sistemazione delle scorie), l’effettivo costo del kWh da nucleare dipende strettamente dai costi di costruzione, visto che i costi di capitale sono i 2/3 del costo totale dell’elettricità. Il costo totale di investimento a sua volta è strettamente correlato ai tempi di costruzione: un aumento nel tempo di costruzione porta a un incremento dei costi, anche perché aumentano gli interessi totali sul capitale prestato per costruire l’impianto. I ritardi della costruzione sono una costante dell’industria nucleare. Negli Stati Uniti su 75 reattori nucleari i cui costi erano previsti in  45 miliardi di dollari (34 miliardi di euro), quelli effettivi sono risultati di 145 miliardi di dollari (110 miliardi di euro), tre volte il previsto.
 
Il caso finlandese
La costruzione del reattore francese EPR in Finlandia (Olkiluoto-3) dell’azienda francese AREVA è stato presentato come una sfida per ridurre i costi di investimento, riducendo i tempi di costruzione a 5 anni a fronte di una media dei tempi di costruzione che tra il 1995 e il 2000 è stata di 116 mesi, quasi 10 anni.
Questa sfida è stata già perduta, con un ritardo accumulato di 25 mesi e l’ultimo annuncio lo scorso agosto riguarda la richiesta dell’autorità di sicurezza finlandese (STUK) di rinforzare la protezione del reattore in caso di incidente aereo. Il costo iniziale per i 1600 MW del reattore era stimato in 2,5 miliardi di euro successivamente corretto a 3,2 ma già oggi le stime del costo finale superano i 4 miliardi. Secondo il consorzio Elfi che raggruppa industrie finlandesi grandi consumatrici di elettricità, questi ritardi costeranno 3 miliardi di euro in più agli utenti. Per fare in fretta i lavori sono stati effettuati con leggerezza: 1500 circa i casi di non conformità registrati dallo STUK. Tra i punti più critici: a) la piattaforma di cemento che fa da base al reattore non soddisfa i criteri di qualità richiesti; b) la struttura di contenimento in acciaio era stata effettuata al di sotto degli standard di qualità da un subappaltatore polacco specializzato in pescherecci; c) le grandi condotte che uniscono il circuito primario a quello secondario non soddisfacevano i criteri di qualità e l’accessibilità per la manutenzione.
 
Lo shopping sovietico dell’ENEL
La questione della mancanza di investimenti nucleari riguarda anche l’ex blocco sovietico, dove ENEL sta effettuando uno shopping in tecnologie d’epoca. Nell’ambito dell’acquisizione del 66% della Slovenske Electrarne (Slovacchia) si prevede un piano di investimenti la cui parte più importante riguarda il completamento di due unità nucleari a Mochovce per 1,88 miliardi di euro per un totale di 880 MW: oltre 2000 euro al kW e se si considera anche la quota di capitale investito si arriva a circa 2700 euro/kW (il gas costa meno di 500 euro al kW).
Si tratta di due Vver 440/V-213, reattori ad acqua pressurizzata di tecnologia sovietica progettati negli anni ’70, la cui costruzione fu interrotta nel 1992 (separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca). Nel 1990 un reattore di questo tipo costruito nell’ex Germania Est a Greisfwald, entrato in funzione nel 1989 fu disattivato, mentre la costruzione di altre 3 unità di progettazione più recente, fu bloccata definitivamente.
In Finlandia due unità dello stesso tipo entrarono in funzione tra il 1977 e il 1980. Siccome all’epoca non si riteneva il livello di sicurezza adeguato, i reattori furono riprogettati aggiungendo un sistema di contenimento della Westinghouse e sistemi di controllo Siemens.  E questo accadeva 30 anni fa, ben prima non solo dell’incidente di Cernobyl ma anche di quello di Three Miles Island.
La centrale che ENEL si accinge a completare a Mochovce – che dovrebbe entrare in funzione nel 2011-12 – essendo già in parte costruita non potrà avere alcun sistema di protezione da eventi esterni: secondo le dichiarazioni ufficiali di ENEL la caduta di un aereo sulla centrale è altamente improbabile. Questa dichiarazione è stata ribadita a poche ore dalla diffusione del nuovo video di bin Laden lo scorso settembre.
Tra gli altri interessi all’est, ENEL sta puntando a Belene in Bulgaria alla costruzione di un altro reattore sovietico della filiera Vver 1000/320 – mai approvato in Europa occidentale  - sito in zona sismica: nel 1977 un terremoto uccise 200 persone in un raggio di 14 km da Belene. Un reattore dello stesso tipo funziona a Temelin nella repubblica Ceca, ed è da sempre fortemente contestato dall’Austria per ragioni di sicurezza.
 
Uranio risorsa limitata
Per concludere, vale la pena di ricordare come il nucleare, con le tecnologie commercialmente disponibili, sia comunque una risorsa assai limitata. Il nucleare copre circa il 16% dei consumi di elettricità che rappresentano il 6-7% dei consumi globali di energia primaria.  Le stime correnti danno una quantità di Uranio estraibile a costi economici calcolabili nell’ordine dei 3-3,5 milioni di tonnellate. Il consumo attuale è di circa 65-70.000 tonnellate annue e dunque il rapporto tra consumi attuali e riserve accertate non supera i 50 anni (anche se i nuovi reattori vengono costruiti con l’obiettivo di durarne 60).
L’idea di continuare a investire in tecnologie che utilizzino Plutonio – per superare i limiti della risorsa Uranio - è una perseverazione diabolica: il fallimento del Superphenix – progetto di reattore al Plutonio partecipato da ENEL al 33% scaricato sulle bollette - ha bruciato nel complesso 13.000 miliardi degli anni 80 e occorrono altri 2 miliardi di euro per lo smantellamento. E senza parlare dei rischi legati al Plutonio.
Il nucleare è un vicolo cieco.