La merce ideale
di Paolo Brunetti - 04/01/2006
Fonte: carmillaonline.com
Brevi riflessioni economico/politiche come indispensabile visione d’insieme per comprendere i processi di privatizzazione dei servizi, a cominciare dall’acqua e dai rifiuti. Intervento al convegno di Bedonia (PR) del 3 dicembre 2005 su "La gestione pubblica dell'acqua"
IL PROBLEMA CHE ASSILLA CHI COMANDA È L’AUMENTO DEL PIL
Le feste di Natale sono prossime e il sistema si prepara a una orgia di vendite. Le città si riempiono di luci, per indurre nei “consumatori” l’euforia che li spinge ad acquistare oltre i loro bisogni. Non sono infatti i bisogni che spingono i consumi, se non in misura insignificante per il buon funzionamento del sistema, ma la forzatura delle vendite.
Ma le feste non bastano per l’aumento del PIL.
C’è la costrizione alle mode. Le città si sono riempite di negozi di abbigliamento non perché ci si deve vestire, ma perché dopo qualche mese i vestiti sono diventati vecchi; non sono logori o rattoppati, anzi sono quasi nuovi, ma i consumatori, soprattutto giovani e giovanissimi, vengono indotti ad acquistarne sempre di nuovi. Prendete il sistema Benetton, che ha fatto scuola. I maglioni prodotti sono sempre gli stessi, con qualche piccola variazione, ma cambiano i colori e quelli dello scorso anno non sono più di moda. Ogni anno lo staff della Benetton prepara una linea di colori, sottoposta ad un gruppo di consumatori tipo sparsi per l’intero globo, dal Messico al Giappone passando per Treviso. Una volta studiate le reazioni, si inizia la produzione e la distribuzione a tutti i negozi franchising. Nei magazzini della casa madre, enormi depositi di maglie e maglioni senza colore sono pronti ad essere spediti, previa colorazione, a quei negozi che hanno esaurito la prima spedizione. Il tutto gestito da un sistema computerizzato che si serve di robot per prelevare, far lavorare, imballare e spedire la merce.
Un altro esempio lo fornisce una società italiana: per costituire una joint venture con una società commerciale giapponese ha dovuto dimostrare di essere in grado di fornire, nel tempo di quindici giorni, nuove linee di calze e calzettoni per seguire i mutevoli gusti dei consumatori, rilevati attraverso sofisticati sistemi di valutazione degli orientamenti dei teen agers giapponesi.
L’innovazione del prodotto è uno dei modi con cui si inducono i consumi anche se molto spesso si tratta di innovazioni del tutto apparenti.
L’esasperazione delle vendite è divenuta necessaria per la sopravvivenza del sistema produttivo, ma paradossalmente la sua capacità di produzione aumenta ancor più dei consumi.
Prendiamo l’esempio della industria editoriale. Il presupposto della sua esistenza, oltre che del suo sviluppo, è la possibilità di produrre e vendere sempre di più, ma perché ciò sia possibile occorre che solo una minuscola minoranza di coloro che comprano libri e riviste li leggano, perché se leggessero tutto quello che comprano, la velocità di acquisto calerebbe fino a provocare il tracollo del settore. Provate a riflettere sulla lettura dei giornali. Ogni acquirente dedica alla scorsa dei giornali dai dieci ai venti minuti al giorno, a meno che non si tratti di qualcuno che non ha nient’altro da fare. Per mantenere la tiratura i giornali devono non informare, ma creare nel cliente il desiderio di comprare il giornale che ovviamente non avrà tempo di leggere. Per vendere bisogna creare una relazione identitaria con il ‘non lettore’ che comprerà l’idea che il giornale gli ha fornito di se stesso (vedi ‘La Repubblica’) e poiché anche questo non basta più il giornale porta libri, videocassette, cd, dvd ed altri ammennicoli. Ci sono nelle case degli italiani, dei tedeschi, degli inglesi, dei turchi ecc. decine e decine di libri, videofilm e chissà altro che nessuno avrà mai il tempo di leggere o di vedere. Ci sono persone che hanno accumulato qualche centinaio di film, per vedere i quali dovrebbero stare otto ore al giorno davanti al monitor, per più di un mese.
In Italia si stampano ogni anno circa 50.000 libri, quasi centocinquanta al giorno comprese le domeniche e le festività. Di questi più della metà non arrivano nemmeno nelle librerie, ma finiscono direttamente al macero per dar vita alla stampa di nuovi libri. Degli altri qualche migliaio hanno effettivamente mercato, in maggioranza vendono qualche centinaio di copie, gli altri restano sugli scaffali da pochi giorni a qualche mese per essere ritirati e ricominciare da capo il ciclo “produttivo”.
La tenuta dei consumi è diventato l’assillo dei governi.
I crucci di Bush in questi giorni sono le vendite di Natale, non la guerra in Iraq. Dovrà dedicare qualche tempo per apparire in tv mentre fa shopping in un grande magazzino, come qualsiasi buon americano. Chi non ricorda i patetici spot del governo Berlusconi per spingere ai consumi: quel signore che ha fatto la spesa e per strada tutti lo ringraziano come se avesse compiuto il proprio patriottico dovere di sostegno della economia italiana?
La pubblicità è divenuta una delle industrie più importanti del paese, le offerte delle grandi catene di distribuzione fanno a gara ad offrire sconti, tre per due, due per quattro, tutto si vende a rate e le banche sembrano pronte a finanziare ogni tuo acquisto. Ma l’economia stenta a riprendersi, segno che la vendita delle merci prodotte non è sufficiente. La Germania sembra che se la cavi meglio soltanto perché è riuscita, diversamente da noi, ad esportare di più, compensando la stanca dei consumi interni. La crisi delle fabbriche di auto è generale (si pensava che la General Motors salvasse la Fiat e invece non ha salvato nemmeno se stessa!); si cerca di rimediare con la rottamazione di imperio delle vecchie auto, con la scusa che inquinano.
Bisognerebbe aumentare la spesa militare, un mercato non soggetto a crisi, e che consentirebbe di finanziare in modo massiccio la ricerca tecnologica: ma l’Unione Europea non trova l’unità necessaria per armarsi; il Giappone, invece, anche per questo, ha cambiato la costituzione. La bilancia commerciale degli Stati Uniti è attiva nel solo settore della esportazione di tecnologie, che sono il sottoprodotto del budget militare per la ricerca delle cosiddette nuove armi (il budget militare degli USA è grande più del doppio della somma dei bilanci militari di tutti gli altri Stati). Uno dei sogni dell’euro è che se divenisse moneta di riserva accanto al dollaro, con gli eurosterili (chiamiamo così quei soldi che si terrebbero nei forzieri della Banca Europea se diventasse moneta di riserva) si potrebbe finanziare la ricerca militare e civile in misura confrontabile con gli Usa. Un rimedio “fantastico” e peggiore del male.
La stagnazione dei consumi dal punto di vista del capitalista è la stagnazione del profitto. Il capitale si è perciò messo in cerca di nuovi territori. La globalizzazione si è rivelata una arma a doppio taglio. È stata usata contro i lavoratori dei paesi avanzati il cui potere e i relativi salari, all’interno della produzione e soprattutto della grande fabbrica erano giunti a un livello intollerabile (ricordate Profitto Zero il grido di dolore del padrone Fiat nei primi anni ‘70?). Ma la globalizzazione ha fatto crescere a dismisura le grandi economie capitalistiche asiatiche che ora tengono per il collo il Tesoro americano e tolgono il sonno ai capitalisti europei coi loro bassi salari e l’accesso a tecnologie di avanguardia.
Il capitalismo italiano sta cercando una merce ideale il cui consumo non sia soggetto alla volubilità dei consumatori e alla concorrenza internazionale dei paesi emergenti, e soprattutto che non sia sostituibile con altri consumi. Continuerà a produrre le sue merci, ma altrove, dove i salari sono bassi e gli operai non hanno ancora la possibilità di lottare per più salario e meno orario.
Ma i capitalisti italiani non possono competere:
a) con la potenza tecnologica di Usa, Giappone, Cina e ormai anche India;
b) con i bassi salari dell’est europeo e del sud est asiatico.
Essi sono quindi alla ricerca di nuove merci, e, come gli antichi baroni feudali, puntano sullo sfruttamento del territorio e dei suoi abitanti, trasformando in merce i fondamenti della loro esistenza: L’ACQUA, L’ARIA, L’ENERGIA, I RIFIUTI, L’ISTRUZIONE, I TRASPORTI, LE RELAZIONI UMANE (LEGGASI ANCHE TELECOMUNICAZIONI), LA SALUTE, LA MORTE.
Ed ecco così che la Fiat si getta sull’elettricità, Benetton sulle autostrade, Pirelli sulle telecomunicazioni…
Brevi riflessioni economico/politiche come indispensabile visione d’insieme per comprendere i processi di privatizzazione dei servizi, a cominciare dall’acqua e dai rifiuti. Intervento al convegno di Bedonia (PR) del 3 dicembre 2005 su "La gestione pubblica dell'acqua"
La vita stessa, dall’inizio alla sua fine, diventa merce…
Prendiamo la morte. Negli anni passati per porre fine allo scandaloso sfruttamento dell’angoscia e del dolore che colpiva i parenti dei defunti, vennero costituite delle agenzie comunali per i servizi cimiteriali e per le onoranze funebri. Si pose un freno allo sciacallaggio diffuso negli ospedali dove stazionavano gli agenti funebri, avvisati da compiacenti operatori sanitari di ogni decesso avvenuto o prossimo. Con l’avvento del servizio pubblico i costi delle onoranze funebri si ridussero notevolmente. Le agenzie calarono di numero e di prezzi.
Ebbene oggi su questo mercato, in nome della privatizzazione, si riproietta l’ombra del profitto e morire diventa un lusso o un debito. Ma dal punto di vista del mercato, quale merce migliore, se tutti dobbiamo morire ? Non c’è moda che cambi questo tipo di merce, non c’è tigre asiatica che possa turbare con prezzi bassi questo mercato, nessuno può rinunciare ai servizi funebri.
A Bologna (faccio un esempio a me vicino ma ciascun cittadino europeo può applicarlo al luogo in cui vive) fu il sindaco Dozza a volere l’agenzia comunale di onoranze funebri, che i suoi successori hanno ceduto ad Hera, una SpA per ora controllata (un controllo sempre più formale e non di sostanza) dalle amministrazioni pubbliche, ma quotata o in via di quotazione in Borsa.
A Bologna sempre ad Hera è stata conferita l’azienda del gas che, nel 1948, il Sindaco Dozza aveva municipalizzato, riscattando a caro prezzo gli impianti di una società privata, per porre termine alle esose tariffe del libero mercato. Ad Hera sono andate anche il servizio dell’acqua e della nettezza urbana. Quando Hera avrà bisogno di fare profitti come richiesto dagli investitori privati (e dal fatto stesso di essere una SpA che, per legge, DEVE guadagnare!) e per sostenere le proprie quotazioni di Borsa, avrà in mano tutte le carte per alzare le tariffe dei vari servizi, come è già avvenuto in altri paesi. Ancora una merce ideale: chi può rinunciare al gas nelle case d’oggi, chi potrà rinunciare all’acqua domestica, alla raccolta dei rifiuti, alla pulizia delle strade?
Questi che un tempo erano beni comuni, adesso sono diventati beni privati (merci) e chi li possiede ha nelle mani la vita delle persone (e intanto gli spazi dell’immaginario e della creatività sociale vengono occupati dal Calcio e dalle Soap opere televisive, ove i Talk show si sostituiscono alle assemblee dei cittadini… e ai nostri problemi quotidiani si risponde così solo in un mondo virtuale).
Analogo discorso vale per le abitazioni, per i trasporti, per la scuola: due parole su quest’ultima. Quando si blatera di autonomia degli istituti scolastici si omette di accennare che la diversificazione potrebbe portare a una privatizzazione di fatto, con scuole eccellenti, per frequentare le quali occorre pagare supplementi di vario genere (laboratori, gite di istruzione, stages, sussidi didattici ecc.) Quanto al tema delle abitazioni meriterebbe un discorso ampio che si potrebbe riprendere in altra occasione.
Secondo il progetto GATT (che va bene a destra e sinistra, a Prodi e a Berlusconi) tutti i servizi devono essere privatizzati: dai cimiteri ai pubblici macelli, agli acquedotti, alle opere pubbliche, agli impianti sportivi, ai rifiuti e persino ai parcheggi. La nostra vita sarebbe condizionata dal pagamento di pedaggi di ogni genere a favore di privati capitalisti, che tali sono anche quando si presentano come società per azioni di proprietà di enti pubblici. Le società per azioni, per il diritto privato, sono in tutto eguali alle persone reali.
La nostra vita è così diventata un’attività a pagamento.
MA LA QUALITÀ DELLA VITA NON DIPENDE DAL PIL
In alcuni paesi del terzo e quarto mondo le popolazioni sono state costrette dalla sete a sommosse cruente, poiché il prezzo dell’acqua privatizzata era superiore alla capacità di pagarlo da parte dei più poveri. Ancora non arriviamo a tanto nella nostra “civilizzata società”, ma chi può dirlo?
Le forme di resistenza a questo processo di mercificazione della vita in tutti i suoi aspetti, vedansi i Comuni e le realtà sociali che lottano contro la privatizzazione dei servizi idrici o l’installazione di quelle autentiche fabbriche di veleni che sono gli inceneritori di rifiuti, o contro le devastazioni ambientali (per guadagnare 15 minuti su tre ore di tragitto!) causate dai folli progetti ferroviari dell’Alta velocità, o contro i TSO (trattamenti sanitari obbligatori) a favore dei profitti delle multinazionali farmaceutiche e contro la salute delle persone, o ancora le associazioni che si battono contro gli imbrogli di banche o istituti finanziari o assicurazioni, o infine contro le guerre infinite spacciate per missioni di pace, nei confronti di cittadini illusi e martellati da pubblicità ingannevoli sono tante, tantissime.
Ma sono disorganizzate, e, al momento, hanno soprattutto la valenza di una testimonianza.
Testimonianza della CONSAPEVOLEZZA di tanti - ma non abbastanza per cambiare lo stato di cose presente – di un profondo disagio esistenziale per i vincoli creati da questo modo di vivere, che riduce gli uomini a strumenti al servizio di una crescita economica che è solo crescita dei profitti di pochissimi.
Quella crescita economica che, al contrario, dovrebbe essere al servizio degli uomini e della loro felicità.
I beni essenziali non devono appartenere a nessuno.
Perché sono di tutti.
È sacrilego e contro natura l’esproprio che se ne sta facendo.
Andiamo avanti, dunque, continuiamo a resistere, con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà, affinché non si possa mai dire, di noi, che siamo stati complici, che abbiamo dato il nostro contributo a favorire gli interessi privati a danno del bene comune.
Ma come siamo arrivati al punto in cui siamo oggi, che dobbiamo difendere i beni comuni dalle avide mani delle privatizzazioni? e soprattutto che ne sarà dei nostri redditi se i salari e gli stipendi sono bloccati dall'euro, dal trattato di Maastricht, dalla concorrenza dei paesi a bassi salari, nella stessa unione europea, e sono attaccati dal continuo aumento delle tariffe del telefono, acqua, gas, trasporti, scuola e persino sepoltura? Alla fine degli anni settanta è partita la grande guerra contro la spesa pubblica: la Thatcher, Reagan. la politica dei sacrifici. Sono partite le privatizzazioni, vere e proprie regalie ai grandi gruppi finanziari. In Italia si è privatizzato più che nella Gran Bretagna della Thatcher. I risultati ? Disastri ferroviari, disastri ambientali, disastri sociali. Più poveri tra i lavoratori, più ricchi tra i ceti medi, più ricchissimi tra i pescecani.
Tutto questo è servito a rendere più efficiente il sistema paese ? No, tutto questo ha molto a che vedere con il tema del declino.
Una volta Umberto Agnelli disse che la produttività degli stabilimenti Fiat era uguale a quella delle fabbriche tedesche, ma la produttività esterna alla fabbrica era molto più alta in Germania, per questo ci battevano. In questi anni la situazione è certamente peggiorata. Il sistema ferroviario italiano è il peggiore d'Europa, il sistema stradale è ingorgato, gli acquedotti sono pieni di buchi, le scuole e le università sfornano studenti che si collocano agli ultimi posti nelle graduatorie internazionali, abbiamo tariffe elettriche telefoniche e del gas domestico più alte di quelle tedesche, francesi, inglesi, spagnole, in compenso abbiamo parlamentari e consiglieri più pagati d'Europa, magistrati e alti funzionari strapagati, le corporazioni e gli ordini professionali più potenti e intoccabili. C'è troppa spesa pubblica in Italia ? No c'è qualcosa di marcio in questo paese.
Se non si possono aumentare i salari per via dei vincoli sopra detti, si devono ridurre i costi che gravano sui salari. Le tasse scolastiche e universitarie, per esempio, sono
molto più alte che in Francia, meglio sarebbe che fossero sostenute interamente dalla spesa pubblica, così il costo dell'affitto dell'abitazione non dovrebbe superare il 20% di un salario medio, i trasporti pubblici dovrebbero essere gratuiti e così come una quota base delle forniture di acqua luce gas e telefono. In tal modo si potrebbero
contenere i salari senza ridurre il tenore di vita dei lavoratori. Chi vuole di più dell'essenziale lavori di più. Il problema non è il lavoro, ma la costrizione al lavoro.
Paradossalmente più forte è la costrizione più bassi sono i salari, o viceversa. Questo però richiederebbe una totale inversione di tendenza sul tema essenziale della spesa pubblica.
A partire dagli anni '70, si è scatenata la guerra del liberismo contro il Welfare State, al grido "C'è troppo benessere; Non ce lo possiamo permettere !". L'obiettivo ?
Rilanciare la produttività del sistema attraverso le privatizzazioni e il taglio della spesa pubblica sociale. In altri termini impoverire socialmente i lavoratori, mettendo a tariffa persino gli asili nido, per costringerli a meno scioperi e più sfruttamento.
La guerra contro la spesa pubblica non ha significato la sua riduzione, ma la sua destinazione a sostegno del capitalismo e della ricca borghesia: In Italia, come negli USA, i ceti abbienti hanno aumentato i loro redditi e i ceti non abbienti hanno diminuito i loro.
Il risultato non è stato l'aumento della competitività del sistema produttivo sul mercato mondiale, bensì l'esatto contrario, come prova l'aumento delle importazioni dall'Asia e dai paesi a bassi salari e la diminuzione delle esportazioni e la chiusura di tante fabbriche. Negli Stati Uniti, al centro del nostro sistema, lo squilibrio tra import ed export ha raggiunto la colossale cifra di 500 md di dollari.
Fu invece proprio l'espansione della spesa pubblica e del Welfare State a fondare il grande sviluppo economico degli USA e successivamente dell' Europa occidentale,
dopo la catastrofe economica del liberismo nel 1929 e la lunga depressione che ne segui.
Oggi siamo sull'orlo di una nuova catastrofe e soltanto il forte sostegno della Cina al Tesoro americano e al suo debito pubblico hanno impedito, finora, il ripetersi della
tragedia degli anni '30 che portò al nazismo e alla guerra mondiale.
Contro il liberismo, contro le privatizzazioni dei servizi pubblici, per il riscatto dei servizi regalati ai privati, per riportare la spesa pubblica a sostegno dei salari e non del capitale: una battaglia necessaria e urgente in ogni angolo del nostro mondo. Solo socializzando una serie di spese che oggi gravano sui salari, casa trasporti scuola ecc. sarà possibile sottrarre i redditi dei lavoratori dalla morsa che li stringe: da un lato l'euro e i trattati europei e dall'altro i bassi salari dei paesi emergenti.