Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Introduzione storica alla questione palestinese

Introduzione storica alla questione palestinese

di Enrico Galoppini - 14/01/2008

 
 
 
 
 
 

Tra i molti trabocchetti disseminati lungo il percorso di chi aspira a comprendere il senso di una tragedia come quella che investe da più di un secolo la Palestina ce n'è uno che riguarda il modo stesso di definirla: la «questione palestinese».
Quanti libri, saggi e articoli sono dedicati alla «questione palestinese»?
Eppure, a ben considerare, la questione è davvero poco «palestinese», poiché - a parte l'insipienza, la corruzione e la collusione col nemico dimostrate da parte delle «élite» palestinesi - la pianificazione e l'organizzazione di quel che si è finora tradotto in distruzioni, esodi e massacri ai danni dei palestinesi (1) avviene anche perché esiste un'altra «questione» irrisolta, da ben più antica data rispetto a quella «palestinese».
E' la «questione ebraica», di cui si sono occupati in ogni tempo e luogo capi di Stato, ideologi, religiosi, filosofi e letterati…
Una «questione» che sembrava avviata a risolversi con la «emancipazione» assicurata in Europa dalle «rivoluzioni borghesi» della metà dell'Ottocento, e che invece il sionismo, giustificatosi proprio in quel torno di tempo come «soluzione» alla «questione ebraica», ha contribuito a portare nuovamente alla ribalta e a rendere, apparentemente, irrisolvibile (2).
Il problema - è inutile girarci attorno - è di convivenza all'interno del genere umano.
Sì, perché una volta assunto il paradigma per cui esistono «loro», «gli eletti», «i prescelti dal Signore» (nel bene e nel male) tra i quali vige l'imperativo di «far quadrato», ed esistono «gli altri», i «gentili» che sono odiati, e verso i quali è incoraggiata l'applicazione di una doppia morale discriminatoria, viene innescato il germe del razzismo, di cui oggi tanto si parla a sproposito e per partito preso.


Una volta capito questo, si capisce anche che il problema non è nemmeno il giudaismo in sé, quanto un paradigma molto semplice tanto spietato suscettibile d'innumerevoli configurazioni, se solo si pensa al fanatismo esclusivista delle ideologie otto-novecentesche.
E l'aver affermato ciò è il primo merito di un libro di Dagoberto Bellucci, "Introduzione storica alla questione palestinese", Noctua edizioni (3).
Il secondo aspetto è l'aver fatto piazza pulita sull'equivoco - diffuso «a sinistra» - per cui il sionismo non avrebbe alcun rapporto con la religione del giudaismo; ma se solo si riflette sul fatto che i primi ideologi del sionismo furono dei rabbini, si ridimensiona il peso delle componenti «laiche» e «socialiste» sopravvalutato per confondere le acque e tirare dalla propria parte un certo pubblico «occidentale».
L'obiettivo del sionismo, invece, è sempre stato Gerusalemme (4).
E che poi esistano dei rabbini anti-sionisti è un altro paio di maniche, ma è un problema tutto interno al giudaismo o, se vogliamo, ai monoteismi.
Su questo non vogliamo rovinare la sorpresa al lettore e rimandiamo al libro di Bellucci nel quale si evince la capitale importanza dell'elemento messianico nel sionismo.


Tutte queste cose le aveva comprese Giovanni Preziosi (1881-1945), direttore de «La vita italiana» (un mensile che Vilfredo Pareto in una lettera a Maffeo Pantaloni definì come fondamentale per capire la storia politica italiana dell'anteguerra e del periodo bellico), il quale incessantemente denunciò, sin dagli esordi, i pericoli per la pace mondiale insiti nella costituzione del «mandato» speciale britannico sulla Palestina e del «focolare nazionale ebraico», e che per viltà ed opportunismo la maggioranza dei grandi «intellettuali» si è sempre guardata dal citare senza dipingerlo come un pazzo invasato (5).
Bellucci, citando alcuni passi «profetici» dello stesso Preziosi (6), mostra giustamente d'infischiarsene della canea che, per molto meno, viene scatenata contro tutti quelli che non si genuflettono di fronte all'odierno vitello d'oro della politica internazionale ed interna a ciascuno Stato «occidentale».
Quello che esige continue, rinnovate e mai bastevoli «scuse», «dichiarazioni d'amicizia» e via ruffianeggiando (7).
Mandare il cervello all'ammasso (o far finta di mandarlo) è la regola aurea di tutti coloro che tengono così tanto alla loro poltrona dall'ignorare l'insanabile contraddizione insita nel loro ostentato «stare con Israele» (8) e l'antirazzismo da essi stessi predicato ed eretto a dogma del galateo politico-sociale del cosiddetto «Occidente», la cui intima ideologia - l'ho già affermato altrove - è oramai il sionismo (9).
Che è aspetto - va sottolineato - più complesso del «complotto ebraico», perché ogni attento osservatore sa che se la Palestina è ridotta a «questione» lo si deve all'interesse convergente delle superpotenze di ieri e dell'aspirante «potenza unipolare» di oggi e del suo codazzo, mentre è altrettanto evidente che se un domani più o meno prossimo sorgerà un mondo multipolare, o, addirittura, il baricentro si sposterà verso Russia, India e Cina, quello che a tutti gli effetti è un agente perturbatore del vicino oriente arabo-islamico andrà inevitabilmente ai saldi di fine stagione, senza nemmeno quell'immane bagno di sangue («ebrei a mare», ecc.) che i pappagalli della propaganda sionista - forti del «ricatto olocaustico» - agitano come ricatto morale contro ogni ipotesi di naturale revisione dell'attuale assetto vicino-orientale (10).


Il libro di Bellucci, lungi dal voler costituire una parola definitiva sull'argomento, ha tuttavia il pregio di focalizzare l'attenzione sulla radice della «questione», dalla quale è nata una mala pianta, quella della zizzania perenne nel genere umano (11), nel vicino oriente (vedi le guerre scatenate per ritardarne uno sviluppo autonomo e lo Stato di polizia interno ai vari Stati vicino-orientali giustificato dalla «guerra a Israele»), ma anche all'interno delle varie società, se solo si pensa all'azione corrosiva e ben reclamizzata dei prezzolati del sionismo a caccia di «cattivi» (politici, storici, letterati, ecc.) da additare al pubblico ludibrio quando i popoli europei, e specialmente i loro settori produttivi, anziché dividersi inutilmente tra «veglie per Israele» e «presidi (pacifisti!) filo-arabi» dovrebbero pensare a vivere in realtà orientate secondo i loro naturali interessi geopolitici e non ridotte a ruote di scorta di un treno impazzito lanciato dai pupari del sionismo che più prima che poi andrà a schiantarsi contro il muro delle menzogne storiche, politiche e religiose da essi stessi propalate.
Se, dunque, dopo la lettura del testo di Bellucci si avrà chiaro che non ha senso parlare di «questione palestinese», vorrà dire che questo libro è stato compreso.

Facciamoci caso: tutte le denominazioni delle varie «questioni» nascondono i loro principali responsabili.
Abbiamo una «questione irachena» che si protrae tra embarghi ed invasioni dal 1990, ma non si afferma la cosa più scontata: che trattasi di un aspetto della «questione americana», a sua volta parte della più ampia «questione occidentale».
Di quell'«Occidente» che, per secoli, differenti orientamenti religiosi e politici anche in contrasto tra loro hanno inteso comunque interpretare come «faro della civiltà» e che alla fine si è ignominiosamente risolto nell'adesione al sionismo e nella fede nei suoi dogmi.
Fatevi furbi, la «questione», oggi, è il sionismo.

Enrico Galoppini


Note
1) Confronta E. Galoppini, «Sul terrorismo israeliano», «Eurasia», 1/2005, pagine 219-228 (recensione dell'omonimo libro curato da Serge Thion, (traduzione italiana) Graphos, Genova, 2004).
2) Si tratta della stessa idea sostenuta da Piero Sella, «Prima d'Israele», Edizioni dell'Uomo Libero, Milano, 1996.
3) Dagoberto Bellucci è autore, tra gli altri, di «Islam e globalizzazione», Il Cerchio, Rimini 2003; «Conoscere l'Islam. Le basi della dottrina sciita», Il Cerchio, Rimini 2005.
4) Maurizio Blondet, «Il tempio e i tempi ultimi», EFFEDIEFFE.com
5) Unica eccezione di rilievo: Renzo De Felice, Giovanni Preziosi e le origini del fascismo (1917-1931), in «Rivista Storica del Socialismo», numero 17, settembre - dicembre 1962, pagine 493-555.
6) Il quale, già all'epoca, denunciava l'ingiustificabile sovrarappresentazione dell'elemento ebraico in più settori, come quelli del giornalismo e delle professioni. E', né più né meno, quello che avviene oggi, con l'aggravante dell'esistenza di uno Stato eretto a base territoriale del sionismo di cui individui mimetizzati dietro un'onomastica poco nota a più rivestono a tutti gli effetti il ruolo di portavoce ufficiosi.
7) Si è giunti alla tragicommedia di governanti che, mentre l'esercito israeliano distrugge il Libano, tremano al pensiero di sentirsi dare dell'«antisemita» e perciò si lanciano in sperticate lodi della «democrazia israeliana», in inviti a «moderare la forza», in affermazioni plateali del «diritto di esistere di Israele», ecc., mentre l'opposizione (!) denuncia la «debolezza» delle posizioni dei partiti di governo reclamando maggior impegno nella «difesa d'Israele». Viene da chiedersi se tutti costoro si rendono conto dello spettacolo pornografico propinatoci, ma forse, troppo impegnati a coltivare la «memoria», non hanno tempo per occuparsi dell'attualità che offre situazioni che è saggio «dimenticare» alla svelta.
8) E. Galoppini, «Difendere Israele». Regola numero 1: stravolgere la realtà, «Aljazira.it», 14 luglio 2006 (ora alla seg. url: http://www.aginform.org/israel10.html).
9) E. Galoppini, «Stato d'Israele» o «Entità Sionista?», «Eurasia», 3/2006, pagine 185-195.
10) E. Galoppini, «La tragedia dei palestinesi: la fine della ragione e il trionfo dell'ingiustizia», Aljazira.it, 13 giugno 2006.
11) Ogni popolo che non fila dritto secondo i «diktat» del sionismo diventa immediatamente «antisemita», dunque «impuro», per cui gli vengono scatenate contro vere e proprie campagne d'odio e di discredito (vedi i casi degli austriaci, dei romeni, dei polacchi, degli ungheresi, ecc.) che sconfinano nel razzismo puro e semplice.