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La parrocchia dei laicisti che fa concorrenza alla Chiesa

di Vittorio Macioce - 15/01/2008



Parlare del Papa, di questi tempi, è faticoso. Il treno da Reggio Emilia
arriva in ritardo. La ragazza lavora in una casa editrice che pubblica
roba buona di filosofia della scienza. Di solito, lei, è intelligente.
Questa volta no, non è la giornata giusta. La colpa sembra sia di
Ratzinger e di qualcosa che ha a che fare con il battesimo degli
animali. È da mezz’ora che va avanti con questa storia. «Hai sentito il
Papa?». «No, di solito non chiama». «Il Papa ha detto che gli animali
non vanno in paradiso». «E allora? Tu non credi nel paradiso». «Non è
questo. Sta riportando la Chiesa al Medioevo». «Ma gli animali non hanno
l’anima. Mica parlava degli indios, parlava di cani, gatti, pappagalli,
mucche».

La ragazza è stizzita, immusonita e quando questo accade di solito
sragiona. «Ratzinger non ama gli animali». «Non è vero. Ha anche un
gatto». «Ma non lo capisce».
A questo punto è meglio chiudere la conversazione, ma il sospetto che la
storia, qui, stia diventando grottesca e paradossale è quasi una
certezza. Sarà colpa dell’aborto, delle famiglie gay, dell’eutanasia,
del sesso, dell’Aids, dei preservativi e degli embrioni vivi e morti, ma
il vecchio spirito laico si sta rintanando nel fondamentalismo laicista.
Mimmo Lombezzi, grande autore televisivo, su un blog laicista racconta
l’invasione degli ultracorpi. «I Ratzy-boys stanno già conquistando
tutti i salotti e i posti di comando in tv, proponendo dibattiti e
programmi sui valori. È per questo che sto scrivendo una fiction a basso
costo su Torquemada. Diario di un inquisitore. Penso di proporla a Gori,
ma ho anche contattato Endemol».

Il dubbio è che i profeti del pensiero debole, in fondo in fondo,
abbiano nostalgia di una bella ideologia forte, qualcosa di messianico e
pesante come il marxismo. E forse hanno bisogno di un nemico. Ratzinger
in questo è perfetto. Molto meglio lui di Wojtyla, che con quel talento
istrionico da attore e con il carisma della sofferenza umana era
spiazzante. Un saggio di Richard Dawkins, un biologo di Oxford, può
essere considerato la bibbia dei «laici fondamentalisti». Il titolo è
The God Delusion. È la corrente di pensiero di chi condanna non solo la
fede in un Dio, ma anche la tolleranza nei confronti di chi ha un credo
religioso. Il sogno è questo: «La ragione riuscirà a soggiogare la
superstizione, l’intelligenza avrà la meglio sulle illusioni e saremo in
grado di tenere a bada la demoniaca tentazione della fede».

La fortuna è che non tutti sono come Dawkins. Neppure Piergiorgio
Odifreddi, che pure indossa il vestito laicista come bandiera, come
identità forte, come religione della ragione, si spinge fino alle tesi
di Oxford. Il radicalismo laico italiano si limita a difendere alcune
roccaforti del Novecento. Non vuole riaprire il discorso su alcune
questioni umane, molto umane. Non vuole ridiscutere alcune leggi che
hanno a che fare con la vita e con la morte. Basta leggere la «messa
laica» di Eugenio Scalfari o le profezie sul medioevo prossimo venturo
di Roberto Vacca.

E, soprattutto, tutti sono stanchi di sentire le prediche di Ratzinger
sul relativismo. Gian Enrico Rusconi, filosofo della politica, rivendica
con chiarezza questo punto: «Essere laici (come tutti zelantemente
dicono di essere) significa non proiettare la propria identità su quella
degli altri ma accettarle tutte - e saperle governare saggiamente. È un
compito difficile, naturalmente. I clericali sono maestri
nell’approfittare delle divisioni interne. La questione laica potrebbe
esplodere in modo incontrollabile e distruttivo più di quanto non si
sospetti».

I laicisti vedono la Chiesa come un nemico ingombrante, che parla troppo
di etica e politica, e mette fuori il naso dalle sagrestie. La Chiesa va
bene quando raccoglie i suoi fedeli in preghiera, balla e canta con i
Papa boys e regala un po’ di cristianesimo new age a questo mondo senza
identità. Se la Chiesa fa la Chiesa, e predica, e difende, con in mano
il Vangelo, la vita, la fede, Dio, l’uomo, la liturgia e anche un paio
di millenni di storia, allora è in fuorigioco. Invade. Si occupa di cose
terrene. L’errore del Papa teologo è voler ridefinire i confini del
cattolicesimo. Si chiama identità e, forse, arriva dopo una lunga crisi.
Benedetto XVI è la Chiesa che parla alla Chiesa. E questo gli crea
turbolenze diplomatiche. È un Papa scorretto, anche politicamente.

La disfida della Sapienza è il fotogramma di questa resistenza laicista.
Ratzinger è stato invitato dal rettore a tenere una «Lectio
magistralis». Un gruppo di docenti di fisica scrive una lettera per dire
che non lo vogliono. La colpa del Pontefice è aver citato in un testo
del 1990 una provocazione del filosofo laico e ribelle Paul Feyerabend
su Galileo. L’accusa è oscurantismo. È tutto assurdo. Feyerabend è un
filosofo della scienza quasi rivoluzionario. Il Papa in fondo può citare
chi vuole e mettere il filo spinato negli atenei è un calcio al ventre
di Voltaire.
«Ogni posizione non laica - scriveva Pierluigi Battista, parlando dei
saggi di Viano e Teodori - viene vista come il parto di un complotto di
tonache e gli avversari politici sono dipinti come schiavi di
un’indecorosa libidine di genuflessione». Come si è arrivati a tutto
questo? Come si è arrivati a istituire a Venezia un premio per il
miglior film laico? E la giuria è l’Unione dei laici e degli agnostici
razionalisti. Ecco. Siamo circondati. I cattolici ritrovano l’identità,
gli islamici minacciano l’Occidente, i super laici venerano la dea
ragione. Viene voglia di rimpiangere gli austeri cappotti di Malagodi.