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La salvezza del biologico è il localismo

di Lorenzo Belli - 15/01/2008

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Il settore dell’agricoltura biologica è sicuramente in pieno sviluppo in tutta Europa, anche se il suo tasso di crescita mostra  una flessione negativa, a causa della riduzione dei finanziamenti devoluti a queste produzioni dalle istituzioni europee.

L’Italia, è tra i vari paesi del vecchio continente quello in cui l’agricoltura biologica è più diffusa, anche grazie  a fattori ambientali, come l’immenso ed eterogeneo patrimonio agroalimentare, che favoriscono sistemi produttivi basati sulle caratteristiche di “salubrità” e “tipicità”.

In Italia resiste però il fenomeno del “biologico sommerso”, ossia l’insieme delle piccole aziende, che costituiscono la tipologia dimensionale più diffusa nell’agricoltura italiana, che  producono con metodi biologici ma che preferiscono alla costosa e spesso imperfetta strada della certificazione, la distribuzione dei propri prodotti attraverso mercati “informali”, come quelli locali o i gruppi d’acquisto.

Esiste quindi nella filiera biologica una strozzatura tra produzione e distribuzione. Un difetto strutturale dovuto alla natura del nostro sistema produttivo, fortemente frammentato e poco collaborativo, e a una distribuzione sempre più egemonizzata dalle grande multinazionali. Una via d’uscita è sicuramente una soluzione che faccia leva su due tipi di  fattori: quelli di natura politico-istituzionale e quelli culturali.

Per i primi è necessaria una riorganizzazione del sistema dei marchi di qualità, al momento reso confuso da continue deroghe, che ne hanno snaturato le finalità originarie, per renderli realmente uno strumento di sviluppo e di efficace penetrazione dei mercati. Riguardo al secondo tipo di fattori, anche il realizzarsi (certamente necessario) di una riorganizzazione del settore della distribuzione, che ponga un freno all’aggressività delle multinazionali e tuteli i piccoli operatori, risulterebbe un intervento sterile nell’affrontare le tendenze dell’economia mondiale, se non accompagnato da una decisa rivoluzione culturale che incida in chiave localista sulla domanda dei consumatori e sull’offerta dei produttori. La produzione e il consumo di prodotti alimentari legati al territorio che si abita collaborano a costruire l’identità culturale della propria terra, le sue caratteristiche naturali, la sua storia, la sua specificità.

Al contrario, scelte di consumo e di produzione che promuovano l’ingiustificata e indotta circolazione di beni su scala mondiale,  al solo fine di creare profitti, manterranno inalterata l’attuale situazione in cui i prodotti biologici si limitano ad essere una “nicchia” commerciale riservata a redditi medio-alti, e destinata ad estinguersi al modificarsi delle mode consumistiche e ad una ulteriore riduzione dei finanziamenti pubblici.

La strategia che permetterà al biologico, e a tutto l’agro-alimentare di qualità, di giungere ad una maturità è quello di trasformarsi in paradigma produttivo che parta dalla valorizzazione delle identità territoriali, non solo come strategia di marketing, strappando le dinamiche di produzione/consumo alle astratte ed effimere ragioni del Mercato per affidarle alla sovranità e alle necessità delle comunità reali.