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La danza che cura: riflessioni nel corso di una ricerca della danza indiana Bharata Natyam

di Cristina Valle - 16/01/2008

Fonte: didaweb

 



Trovare il giusto accordo tra utilizzo dinamico del corpo ed equilibrio della mente rappresenta spesso un problema. Quando, nel corso della mia ricerca e pratica della danza indiana Bharata Natyam, mi sono trovata ad affrontare questa dicotomia, ho realizzato quanto il corpo sia uno strumento importante e quanto la
crescita interiore abbia come presupposto fondamentale una confidenza profonda con questo nostro strumento.

Il corpo, infatti, è tanto più sano quanto più si è in grado di conoscerlo e gestirlo, per cui quanto più si riesce a farlo tanto più si crea una situazione di benessere.

Nel momento in cui ci si pone come obiettivo la salute dell'individuo, poi, occorre anche considerare il rapporto con ciò che ci circonda ed il modo in cui si utilizzano o si trascurano il corpo e le sue potenzialità.

I gesti che compiamo nella vita quotidiana, ad esempio, sono spesso meccanici ed automatici: riprendere il controllo su di essi significa entrare in contatto con gli elementi che usiamo ogni giorno, caricandoli di un preciso significato.

I gesti compiuti con attenzione, infatti, fanno sì che il mondo interiore entri in sintonia con quello esterno, armonizzandosi con la natura e le sue leggi, ed è proprio attraverso la danza, ritenuta una disciplina del corpo e della mente, che è possibile raggiungere non solo quella salute ed armonia dei movimenti a cui tutti
aspiriamo, ma anche liberare un corpo trascurato e vincolato da preconcetti e cattive abitudini.

Tuttavia, se è vero che possiamo attribuire ad ogni stile di danza risultati di ordine pratico, come rafforzare il proprio corpo, affrontare situazioni difficili ed acquisire agilità e scioltezza, esistono però discipline che più di altre migliorano lo stato di salute generale grazie ad un effetto fortemente terapeutico.

Nell'ambito della danza indiana Bharata Natyam, originaria dell'India meridionale, ad esempio, si parla proprio di compiere gesti caricandoli di una nuova consapevolezza e non più in maniera distratta, oltre a mirare a trasfigurare e a perfezionare la personalità umana.

Attraverso il linguaggio gestuale di questa danza la personalità della danzatrice può subire mutamenti, trasformandosi in qualunque dio, demone o individuo essa impersoni.

Questo concetto di danza o, più precisamente, di "danza sacra", che permette alla danzatrice di superare la condizione umana e, attraverso gesti precisi e codificati, di identificarsi con la divinità che sta interpretando, favorisce il raggiungimento di un nuovo stato di coscienza e l'instaurarsi di una più completa armonia
tra corpo e mente.

Secondo la tradizione indù, infatti, è possibile operare cambiamenti nell'organismo, persino a livello cellulare, influenzando il sistema neuro-vegetativo, i ritmi cardiaci e respiratori, oltre ad ottenere la padronanza della muscolatura liscia che normalmente, a differenza di quella striata sfugge al controllo umano, grazie alla danza e a
particolari posizioni del corpo chiamate mudra. Per questo motivo, la danza è fiorita unitamente alle estenuanti pratiche ascetiche di coloro che praticano lo yoga, come lunghi periodi di digiuno, rituali, esercizi di controllo del respiro e di introversione assoluta.

L'asceta per eccellenza, sempre per la tradizione indù, è considerato il dio Siva, il quale è ritenuto anche il Signore della Danza e colui dal quale questa antica forma d'arte ha avuto inizio.
Le leggende, secondo le quali la danza non è che un rito che appartiene esclusivamente alle divinità, spesso considerate abili danzatori, sono innumerevoli e, del resto, la danza è collegata tradizionalmente alla nascita del mondo.

Il fatto che questa disciplina sia unita alla nascita dell'universo e delle sue creature e che rappresenti il prototipo dell'attività di creazione, si può spiegare forse con il fatto che la danza possiede funzioni cosmogoniche in grado di risvegliare energie latenti, paragonabili a quelle che diedero origine al mondo. Questo,
tuttavia, non è il solo collegamento che si può trovare tra l'utilizzo della danza a scopo terapeutico ed il fatto che essa sia consuetudinalmente legata alla generazione dell'universo: l'armonia e la precisione dei movimenti, infatti, rispondono alla necessità di riportare ordine nel caos che una malattia, come d'altronde il
periodo che precede la creazione, rappresenta.
Attraverso gesti simbolici e rigorosamente codificati, inoltre, l'individuo malato può essere ricondotto ad un periodo mitico, ossia proprio all'inizio del mondo, soddisfando così il costante bisogno dell'uomo di realizzare gli archetipi.

Ogni danzatore, quindi, in un certo senso, simboleggia e ripropone
costantemente questa attività creatrice, che egli compie nella
gioia. Il mondo, infatti, secondo la cultura indù, non è stato
creato una volta per tutte e, il tempo, anche se può apparire un
paradosso, non ha avuto inizio in un determinato momento
dell'eternità ma, al contrario, l'attività creatrice si snoda
ininterrottamente.

Inserendosi in quel perpetuo flusso che sorge incessante dai
primordi ad oggi e lasciandosi investire da quelle energie
rigeneratrici in grado di proteggere e guarire dalle infermità,
l'uomo non può che trarne vantaggio.

Dal momento che gli effetti fisiologici della danza sembrano essere
simili a quelli che procura il piacere, l'atto di danzare presenta
effetti narcotizzanti e stimolanti al tempo stesso, assicurando
benessere, felicità e sollievo in colui che lo esegue.

Grazie all'effetto che provocano il ritmo serrato e un movimento
costante ed intensivo, e cioè grazie alla produzione di endorfine,
non è raro che aumentino la resistenza e la soglia del dolore e che
diminuiscano lo sforzo fisico e mentale. La validità e l'efficacia
curativa della danza e della musica, però, si accompagnano,
soprattutto in India, dove religione, arte e medicina sono
indissolubilmente legate, al loro aspetto sacro: l'aspetto
terapeutico non rappresenta, dunque, che una conseguenza di una
cerimonia religiosa atta a propiziare la divinità con la migliore
delle offerte, quella realizzata con il proprio corpo.

Il campo di azione entro il quale i danzatori si muovono, allora,
diventa uno spazio privilegiato, separato magicamente dal resto del
territorio. In questo spazio, qualitativamente diverso, il sacro si
manifesta mediante una rottura di livello che permette la
comunicazione tra mondo umano e mondo divino.

Nel momento in cui si è introdotta la danza all'interno di gruppi
psicoterapici e, in particolare, nel corso dei primi tentativi
europei di utilizzo del Bharata Natyam a scopo curativo, si è tenuto
conto dell'aspetto sacro di questa disciplina, seppure ponendo in
primo piano la sua capacità di prevenire e curare malattie e
rinforzare l'organismo. I movimenti ritmici e lo stato di
esaltazione che pervade il danzatore e che lo conduce in uno stato
di coscienza considerato diverso dal normale e su un livello
differente rispetto all'esperienza quotidiana, producono anche un
notevole allentamento delle tensioni psichiche.

D'altronde, questa non è che l'emulazione di metodi di guarigione
indù antichi per cui tradizioni intere di sacerdoti inducevano,
attraverso la danza, psicosi di massa o stati ipnotici. Questo tipo
di suggestioni di gruppo o individuali venivano utilizzate nel
momento in cui si riteneva che agenti soprannaturali fossero una
delle cause principali della malattia; agenti che si pensava fossero
indipendenti dalla volontà dell'individuo, come demoni o spiriti
malefici, trasferendo quindi la responsabilità dell'accaduto a
creature soprannaturali dette raksasa, che era possibile propiziare
con opportune offerte e libagioni.

Allo scopo di indurre stati alterati di coscienza con funzione
terapeutica in un contesto rituale, viene utilizzata la musica, la
quale svolge un ruolo fondamentale nel coordinamento motorio della
danza stessa; attualmente, nella maggior parte dei corsi di danza-
terapia e nei casi di malattia mentale in particolare, alcuni
terapeuti sono soliti accompagnare l'identità dei soggetti con l'uso
del movimento e del ritmo in un percorso di espressione,
comunicazione e socializzazione. Il sistema ritmico indiano,
estremamente sofisticato e basato su sistemi di note e melodie
chiamate raga, è, a questo proposito, particolarmente adatto ed
efficace in quanto, associando le varie note a differenti tipi di
emozione come la paura, la gioia, l'amore, la quiete e la serenità,
tiene in considerazione non solo l'effetto gradevole all'orecchio e
quindi prettamente estetico, ma soprattutto l'efficacia rituale e
terapeutica che consiste nel provocare sensibili cambiamenti
nell'ascoltatore e nel porlo a contatto con una realtà trascendente.

Durante il primo tentativo di usare il Bharata Natyam a scopo
terapeutico in un centro di salute mentale di Madras, nel 1984, il
metodo utilizzato è stato quello di associare un suono a ciascuna
delle posizioni di danza: secondo quanto riporta Benedicte Bouquet
des Chaux (1987), il gruppo di ragazzi psicotici che partecipava
all'esperimento doveva memorizzare i suoni e i movimenti per poi
cantarli ogni volta in coro. Gli obiettivi che ci si prefiggeva
erano quelli di aiutare i ragazzi a migliorare la capacità di
coordinazione, la consapevolezza della loro unità interiore, la
concentrazione, la capacità di adattamento ed i rapporti sociali.

Una simile esperienza è stata anche realizzata nel 1985 in due
ospedali francesi, dove si è impiegata la danza Bharata Natyam a
scopo terapeutico su adulti schizofrenici. Nei corsi organizzati
dal "Centre de Thérapeutique Expressionelle" dell'ospedale Esquirol
di Saint Maurice e dall'Ospedale Wagram di Parigi, i partecipanti
erano liberi di essere semplici spettatori o di unirsi al gruppo di
attività, al termine del quale erano invitati a mettere per iscritto
le loro impressioni e ciò che avevano compreso. Il terapeuta
proponeva ai pazienti di riprodurre movimenti di danza che egli
stesso eseguiva a ritmo di musica. Ognuno, era poi invitato, a
turno, a fare da esempio agli altri. Questo metodo, che si basa
sull'imitazione, ha lo scopo di valorizzare la persona che serve da
modello, la quale, sentendosi osservata da tutto il gruppo, detiene
anche temporaneamente il "potere" che le delega il terapeuta.

Anche allo scopo di fornire ai malati una migliore organizzazione
sul piano psichico, i terapeuti introdussero, inoltre, un supporto
sonoro basato sul sistema musicale indiano ed eseguito con il tala,
uno strumento a percussione.

I pazienti tentavano, così, di riprodurre la sequenza ritmica con i
battiti dei piedi, secondo tre velocità, poiché riproducendo con i
piedi o con le mani combinazioni ritmiche complesse, essi giungevano
a una strutturazione mentale che comportava sia un lavoro di
coordinazione che di dissociazione di tutte le parti del corpo.

Ogni gesto, infatti, tracciando linee precise in una rigorosa
costruzione spazio-temporale, permetteva ai pazienti di avere sempre
precisi punti di riferimento.

Lo schizofrenico, del resto, secondo i terapeuti, è portato a
ristrutturare e ridurre lo spazio secondo rigide linee di simmetria,
comportamenti ripetitivi e compulsivi.

Talvolta, poi, le costruzioni deliranti di un individuo
schizofrenico obbediscono alle stesse leggi delle nostre costruzioni
matematiche e delle nostre figure simmetriche: non a caso si parla
di "geometrismo" degli schizofrenici riferendosi, in modo
particolare, proprio alla strutturazione dello spazio.

Inoltre, i gesti simbolici che si inscrivono nello spazio patologico
dello schizofrenico riproducono certi archetipi delle antiche
religioni. Questo ha portato autori, come V.L. Grottanelli, a citare
in proposito la legge di regressione secondo la quale la malattia
mentale sgretolerebbe gli strati più recenti del pensiero, facendo
talvolta emergere le immagini della magia primitiva o delle
religioni antiche, risvegliando gli archetipi addormentati.

Attraverso l'utilizzo di simboli e forme primitive, dunque, la danza
indiana può, secondo i terapeuti, contribuire alla ricostruzione
dell'identità perduta nella malattia mentale. Oltre all'azione
catartica e liberatrice dal punto di vista emozionale che la danza
come attività espressiva può, anche se solo temporaneamente,
produrre, vi è inoltre la possibilità di rappresentare un valido
strumento di comunicazione non verbale per esprimere l'immaginario e
lo stato d'animo di soggetti psicotici, bloccati sull'uso della
parola.

È possibile, quindi, affermare che l'individuo malato, posto
all'interno di un sistema rigidamente codificato e che riflette
l'ordine cosmico, non attivi soltanto un meccanismo di rivelazione
dei contenuti inconsci e di allentamento delle tensioni psichiche
del malato stesso, ma riesca anche a rigenerarsi, dal momento che la
validità terapeutica della danza dipende soprattutto dal fatto che i
linguaggi non verbali possiedono una maggiore universalità ed
efficacia.

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(Da "Anthropos & Iatria" - anno 2 - n° 2, 3,1998 - De Ferrari editore )