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Non tutto è perduto se esiste ancora un briciolo di dignità

di Francesco Lamendola - 18/01/2008

 

 

 

E poi dicono che non è vero che gli Italiani hanno un cuore grande così.

Calunnie, vili calunnie.

Non è vero che siamo diventati insensibili, che abbiamo perduto la nostra umanità. Sappiamo ancora commuoverci e provare solidarietà nei confronti degli infelici.

Lo si è visto in Parlamento, quando il guardasigilli Clemente Mastella ha annunciato le proprie dimissioni perché colpito da una "enorme ingiustizia": il provvedimento giudiziario degli arresti domiciliari per sua moglie. Ancora non sapeva, poverino, di essere lui stesso iscritto sul registro degli indagati, per il reato di concussione: come la sua gentile signora.

Fremeva, era sconvolto. Ha consegnato, senza leggerla, la relazione sulla giustizia italiana, in cui parlava sostanzialmente bene della magistratura; e ha pronunciato invece un vibrato atto d'accusa contro quella parte della magistratura che non perde il vizio imperdonabile di indagare sulle faccende poco limpide dei potenti.

La voce gli tremava, gli occhi furbi e mobilissimi gli scintillavano ancora più del solito; sembrava in preda a un profondo turbamento, a un cimento morale decisivo: uno di quelli nei quali un personaggio pubblico deve saper mostrare di che stoffa è fatto.

E si è dimesso.

In aula, a un silenzio partecipe è subentrato un clamore vivissimo, rigorosamente by-partisan. Dai banchi della sinistra a quelli della destra, passando ovviamente per quelli del centro, era tutto uno sbracciarsi, un applaudire, un gridare, uno scalmanarsi per manifestare nel modo più sentito la propria simpatia umana e la propria solidarietà politica al ministro della Giustizia, vilmente perseguitato.

Eh, sì, è proprio ora di farla finita con questi giudici forcaioli, che osano avanzare sospetti contro l'incorruttibilità intemerata dei nostri uomini politici. Come si fa, non diciamo a spiccare avvisi di garanzia, ma anche solo ad avanzare il minimo dubbio nei confronti di una classe politica così nota, in patria e all'estero, per il suo altissimo senso dello Stato, per la sua dedizione totalmente disinteressata al bene del Paese, per la sua infaticabile laboriosità e dedizione al dovere? E che questo sia vero, lo prova il fatto che sotto le feste di Natale erano tutti lì, in Parlamento, a lavorare per il bene comune. Proprio in extremis, infatti, prima che l'anno si chiudesse, hanno ancora fatto in tempo a votare e approvare un decreto di fondamentale importanza per il futuro dell'Italia: un congruo aumento di stipendio per tutti gli onorevoli della seconda Repubblica. Tutti d'accordo, nessuno escluso: compresi i partiti "nuovi", sorti dalla cosiddetta rivoluzione di Mani pulite, con drastici obiettivi moralizzatori. Qualcuno si ricorda ancora di quel parlamentare leghista - correva l'annus Domini 1992 - che agitò in aula un cappio con tanto di nodo scorsoio, ad indicare l'intransigente  volontà di giustizia, se necessario anche sommaria, nei confronti dei corrottissimi signori della tarda "era Craxi"?

L'onorevole Mastella, crediamo, deve essersi sentito commosso da tali e tante manifestazioni di incondizionata solidarietà per il vile attentato commesso da qualche giudice scriteriato ai danni della onorabilità della sua signora.

Il solo Fini, come al solito, non si è lasciata sfuggire l'occasione per ricordare che "altri" prima del guardasigilli, erano già stati infangati da quella parte della magistratura che, da anni, sta conducendo una campagna di odio contro la sua parte politica, ispirata dalla sinistra. Ma mettiamoci nei suoi panni: come resistere alla tentazione di sfruttare almeno un pochino, politicamente, il brutto capitombolo del ministro Mastella? Sarebbe stato come chiedere a un orso affamato di restare impassibile davanti a un bel favo di miele dorato.

A parte ciò, crediamo che da moltissimo tempo - da anni, certamente - non si sia verificata una simile convergenza fra i due poli contrapposti, una così vibrata compattezza, un senso tanto battagliero di unità e di ritrovata comprensione reciproca.

Del resto, quali sono i reati ipotizzati a carico dei coniugi Mastella e di una ventina di loro amici dell'U.D.E.U.R.? Concussione, pressioni di vario genere, ricatti politici finalizzati a collocare i propri amici ai vertici di qualche apparato amministrativo locale? Ma via; sciocchezze. Del resto, anche il fatto che la signora Mastella sia la vice-presidente del Consiglio regionale della Campania è irrilevante. Così come è una pura coincidenza che il mondo intero stia parlando dello scandalo delle 100 mila tonnellate di rifiuti che la regione Campania non riesce a smaltire (e non certo da oggi), e che le immagini di quelle montagne di spazzatura abbandonate sulle strade stiano facendo il giro del globo. Insieme alle immagini della folla che brucia i cassonetti delle immondizie, che assalta le forze dell'ordine, che tenta di spedire al creatore sette vigili del fuoco, dopo averli attirati intenzionalmente in una trappola.

Certo, tutte queste cose son successe, e continuano a succedere, in Campania; ma che c'entra tutto questo con la vicenda giudiziaria e morale dei coniugi Mastella? È vero che Ceppaloni, il loro feudo politico, non è sulla Luna o su Marte, ma proprio lì, nella  Campania sommersa dai rifiuti e sconvolta dalla guerriglia dei teppisti; ma si tratta di una mera coincidenza. Tutto il mondo, si sa, è paese: e la vicenda delle immondizie strabocchevoli e degli assalti della camorra, poteva benissimo capitare, poniamo caso, a Berna o a Stoccolma, o magari a Londra. Non è vero?

Del resto, nel passare al contrattacco circa il problema delle montagne di rifiuti, il sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, ha sostenuto che la sua regione, per anni, ha ricevuto le scorie altamente inquinanti delle industrie del Nordest; e adesso, guarda un po', Veneto e Friuli non hanno voluto nemmeno sentir parlare di prendersi una parte della spazzatura partenopea. I soliti razzisti polentoni, come volevasi dimostrare.

E intanto l'Italia se ne va a tocchi. La morte dello Stato, iniziata l'8 settembre del 1943, ha ripreso a marciare inarrestabilmente verso il fatale capolinea.

Ovunque prevalgono interessi corporativi, si scatenano faide di potere, si rivendicano diritti e si pretendono privilegi e impunità; ovunque si parla del bene comune e si dà, intanto, l'assalto ai forzieri del pubblico denaro; ovunque lo stesso, desolante spettacolo di furbizia egoista, di ipocrisia camuffata da rettitudine, di incompetenza macroscopica spacciata per alta professionalità.  Risorgono i micro-nazionalismi, i regionalismi feudali, i campanilismi esasperati e fegatosi. A Cagliari si scatena la guerriglia urbana perché arriva la spazzatura di Napoli; i comuni di montagna del Veneto vogliono andarsene col Trentino Alto-Adige, per usufruire delle agevolazioni dello statuto speciale, ma il Trentino dice no a quelli poveri (come Lamon) e dice forse, vedremo, a quelli ricchi e straricchi, come Cortina d'Ampezzo. Nel frattempo, a Milano, i Cinesi si scatenano e alzano la bandiera rossa per protestare contro i vigili urbani che osano multare i loro autoveicoli. E così via, fino alle realtà locali più modeste, ma che sono pur sempre la spia di un malessere ormai diffuso: come quelle scuole venete in cui qualcuno vorrebbe che si esponesse il Leone di San Marco nelle singole aule, mentre una parte dei docenti sono sul piede di guerra per impedirlo.

Dove stiamo andando? Dove ci porterà tutto questo?

E intanto avanza la crisi economica che non fa sconti, con le famiglie che costrette a campare con 1.000 euro al mese; i pensionati che fanno debiti al supermercato, per comperare un po' di spesa; la siccità che ogni estate, da vari anni, mette in ginocchio l'agricoltura; la speculazione edilizia che si mangia ogni giorno un po' di verde, e gli incendi della mafia e della camorra che distruggono gli ultimi boschi; gli alimenti sempre più inquinati, che causano malattie.

E nessuno ha colpa di nulla.

Né della recessione, né della speculazione edilizia, né degli incidenti sul lavoro (di cui circa 1.000 ogni anno sono mortali), né degli incendi, né dell'inquinamento.

La nostra classe politica, in simili frangenti, ha ben altre cose cui pensare: come aumentarsi ulteriormente lo stipendio e far quadrato intorno al perseguitato Mastella. Ci sarebbe da ridere, se non fosse da piangere.

E tuttavia, abbiamo il dovere di essere ottimisti: l'ottimismo della volontà, del coraggio, della speranza per i nostri figli. Non possiamo permetterci il lusso di abbandonarci al pessimismo, anticamera della rassegnazione. Essere rassegnati vuol dire già essere sconfitti. Bisogna ricordarsi che se,  nonostante l'immensa insipienza della sua classe dirigente, l'Italia non si è ancora sfasciata del tutto, vuol dire che le brave persone ancora prevalgono, benché possa sembrare il contrario. Il  fatto è  che un albero che cade, nella foresta, fa più rumore di cento alberi che crescono; eppure sono questi ultimi che portano la fede nel domani.

Un esempio di dignità ci è venuto, proprio in questi giorni, dal Parlamento.

 

"Caro Presidente, con la presente, rassegno le mie dimissioni da Senatore della Repubblica".

 

Così inizia la lettera di dimissioni del senatore triestino Willer Bordon (non importa di che partito sia, a noi non interessa). E prosegue:

 

"(il mio non è un atto di rassegnazione) ma una testimonianza di chi sente il dovere di difendere le istituzioni dalla deriva di sfiducia che investe la politica. (…) Non si avverte la dimensione da tsunami dell'ondata che sta per riversarsi complessivamente sul ceto politico e sulle sue istituzioni. Anche il sistema politico, e al suo interno l'organizzazione dei partiti, lungi dal correggere queste tendenze, si costituisce come un sistema di rendite, spesso difese da prassi consolidate, connotate dal privilegio quando non dall'illegalità. (…)

"Una parte dell'attuale classe dirigente politica già vi era presente (quando entrai in Parlamento, ventun anni fa, nel 1987) ed è rimasta sostanzialmente la stessa, costituendo oggi un vero e proprio 'tappo' al ricambio generazionale…"

 

Bravo Bordon: parole dignitose, e un gesto disinteressato.

Peccato che a dimettersi siano i galantuomini, mentre i cialtroni rimangono ferocemente abbarbicati al potere, finché gli resta un fiato di vita.

Così quel "tappo" diventa sempre più inamovibile; e gli Andreotti sono ancora in grado di salvare o far cadere i governi. Non possono più governare, ma possono impedire che altri esercitino un governo qualsiasi. E poi, che la nave se ne vada pure in malora sugli scogli: l'importante è che al timone non ci sia qualcuno che pretende di emanciparsi dalla sudditanza feudale nei loro confronti. Qualcuno che, governando un po' meno peggio di come hanno fatto loro per decenni, faccia vedere al mondo che qualcosa di meglio era realizzabile.

Per un Bordon che si dimette (e che avrebbe fatto meglio a rimanere), ci sono schiere di inquisiti che non si dimetteranno mai e poi mai, e che solidarizzano l'un altro non appena le loro marachelle richiamano l'attenzione di qualche magistrato. Ci sono ministri della Giustizia che iniziano il loro mandato varando un indulto che mette a piede libero migliaia di detenuti, molti dei quali per reati finanziari (per pura combinazione, intendiamoci!), e che lo chiudono lanciando feroci accuse contro i magistrati affetti da irresponsabilità e mania di protagonismo.

La classe politica attuale è quella che è, inutile farsi illusioni.

Piuttosto, bisogna puntare sui giovani. Rifondare i valori, la morale, il senso della responsabilità, la competenza, l'onestà, il rispetto della parola data, il valore del sacrificio; soprattutto, il rispetto degli altri e di se stessi.

Ripartendo da zero.

Perché la generazione degli adulti di oggi ha fatto fiasco, clamorosamente. Tutto quello che può fare, prima di sparire, è di fare in modo che la nuova generazione non sia troppo appesantita dal fardello delle colpe dei padri.

E poi, coraggio. Chi vivrà, vedrà.