Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Silvio Zavatti filologo classico

Silvio Zavatti filologo classico

di Francesco Lamendola - 18/01/2008

 

 

 

 

 

La ricchissima e generosa personalità di Silvio Zavatti ricorda, per molti aspetti, quella di un uomo del Rinascimento, anzi di un uomo del mondo classico, di Roma o dell’antica Grecia. Il suo interesse a trecentosessanta gradi per il “fenomeno vita”, il suo desiderio struggente, vorrei dire il suo ardore dantesco

“ … a divenir del mondo esperto,

e delli vizi umani e del valore” (1),

 

unito al suo culto per una mens sana in corpore sano (lavorava nel suo studio fin dal primo mattino e con le finestre spalancate, anche in pieno inverno), ne fanno un tipo umano più vicino al modello antico, greco e romano, che non conosceva e anzi aborriva ristrette specializzazioni, miopi incasellature del sapere nonché una innaturale e rigida separazione tra la vita del viaggiatore-esploratore e quella dello scienziato da tavolino.

Tutti conoscono l’esploratore polare, pioniere delle ricerche geografiche e antropologiche in Artide e antesignano della presenza scientifica italiana in Antartide;  lo scrittore di libri ormai classici in ogni biblioteca polare che si rispetti (quali Il misterioso popolo dei ghiacci,  L’esplorazione dell’Antartide, I Poli, Dizionario degli esploratori), oltre che di centinaia di articoli, recensioni e contributi scientifici; il cartografo accurato e amorevole (Atlante Geografico Polare), il meteorologo, il geografo; il brillante divulgatore e autore di testi per la gioventù (I viaggi del capitano Cook, Viaggio all’Isola Bouvet); l’instancabile promotore culturale, sia a livello nazionale,  per sollecitare una presenza “ufficiale” italiana ai Poli, specialmente in Antartide, sia locale, con la fondazione  e la direzione, per ben 14 anni, della Biblioteca Comunale di Civitanova Marche (in provincia di Macerata).

Tuttavia non sono in molti a sapere che Silvio Zavatti, capitano di lungo corso nel 1937 e comandante in seconda su un veliero inglese che, nell’Oceano Indiano, naviga quasi in vista dell’Antartide, passata la burrasca della guerra (nelle cui fasi finali militò, lui di ideali mazziniani e democratici, nelle file della Resistenza), fra il 1947 e i primi anni Cinquanta fu quasi sul punto di imboccare una brillante carriera nel campo della cultura umanistica. Aveva abbandonato, infatti, la carriera di capitano marittimo per dedicarsi alla professione d’insegnante (di lettere; più tardi d’inglese presso il Liceo Scientifico di San Benedetto del Tronto) e fu preside, dal 1947 al 1952, dell’Istituto Magistrale Stella Maris di Civitanova Marche. In quest’ultima città si era trasferito da Porto Potenza Picena (dopo una parentesi come vice-sindaco della natia Forlì, nel 1945) e lì avrebbe fissato definitivamente la sua residenza.

La sua passione per la cultura classica risaliva agli anni dell’adolescenza. Diplomato nel 1937, come si è detto, presso l’Istituto Nautico di Ancona (era nato il 10 novembre 1917), aveva sentito spontaneamente il bisogno di completare la sua formazione culturale, studiando con ferrea volontà da privatista e presentandosi, nel 1940, a sostenere con successo l’esame di maturità classica presso il Liceo Classico Mamiani di Pesaro.(2) Era un uomo instancabile, fisicamente e intellettualmente; un esploratore entusiasta dei regni della cultura, oltre che di quelli della Natura; una di quelle infaticabili nature che si appassionano a tutto ciò che è nobile  e bello, che si gettano con passione in tutto ciò che richiede lavoro, dedizione e spirito di sacrificio; che non sono mai capaci di sedersi a riposare sugli allori, che hanno un vivissimo bisogno di aprirsi e di prodigarsi in sempre nuovi campi di studio e di attività.

Ed eccolo alla presidenza dell’Istituto Magistrale Stella Maris, appassionato dell’insegnamento da lui sentito sempre come una missione, un alto e fondamentale magistero (tratto caratteristico del suo carattere: l’amore per i giovani, per gli adolescenti, per i bambini). Accanto all’insegnamento e alle sue responsabilità di dirigente d’un istituto scolastico, alle cure per l’Istituto Geografico Polare (da lui fondato nel 1944), alla militanza politica nel clima della ricostruzione post-bellica (nelle file del Partito Repubblicano; poi come Indipendente di sinistra nelle liste del Partito Comunista Italiano: a ciò spinto, noi crediamo, anche dalla calda amicizia col generale Umberto Nobile, che risaliva agli anni d’anteguerra), trovava incredibilmente il tempo e l’entusiasmo per dedicarsi agli studi di filologia classica. E vi eccelleva, poiché ne aveva sia le competenze specifiche, sia, e ancor più, le doti di gusto e sensibilità estetica e in ultimo, ma non per ultimo, una meravigliosa capacità di chiarezza didattica ed espositiva.

Si occupava anche di poesia moderna, e segnatamente del suo grande conterraneo, Giovanni Pascoli; ma il poeta che forse sentiva a sé più congeniale fra tutti era il sommo Virgilio. E al V libro dell’Eneide di Virgilio dedicò, nel 1949, un pregevole commento che fu pubblicato dalla Casa editrice G. D’Anna, nella collana “Classici latini e greci commentati per le scuole”. Una fatica dedicata, ancora una volta, alla gioventù, per accostare gli studenti delle scuole medie superiori al mondo meraviglioso della poesia virgiliana. La Casa G. D’Anna era, ed è – occorre appena notarlo – una editrice benemerita nel campo delle lettere greche e latine, dotata di grande esperienza e universalmente riconosciuta fra le più autorevoli del settore. Il fatto che avesse giudicato il lavoro di Silvio Zavatti meritevole di pubblicazione, accanto a quelli – sempre dedicati alla filologia classica – di Bruno Lavagnini, di Gennaro Perrotta, di Augusto Serafini e, poco più tardi, di Athos Sivieri, per non citarne che alcuni, significa oltre ogni evidenza che il professor Zavatti possedeva tutti i requisiti per intraprendere una carriera di filologo classico di primissimo piano, se a ciò avesse potuto e voluto dedicare il meglio della sua passione di studioso.

Insomma, il commento al V libro dell’ Eneide non è stato l’excursus di un uomo di buona cultura classica, “imprestato” alla letteratura latina da circostanze più o meno fortuite, ma fondamentalmente un dilettante,  e sia pure di ottimo livello. Al contrario, è stato il primo capitolo di una brillante carriera di cultore delle lettere antiche, rimasto poi unico nel suo genere per l’insorgere, o meglio per il riaffiorare, di altri interessi culturali e scientifici, scaturenti comunque, quelli e questo, da una comune radice “umanistica” nel senso più alto dell’espressione, quello appunto che presupponevano i grandi uomini colti del passato.

Il volumetto Eneide, canto V (preceduto da una dedica alla madre dell’Autore  (“perché dal Cielo protegga sempre Anna e Franco", che testimonia la pietà filiale di Silvio Zavatti, la sua delicatezza d’animo e il vivo sentimento dell’amor familiare) inizia con una Spiegazione delle figure sintattiche e  retoriche e, poi, con una Introduzione che ricapitola le vicende del libro IV: la stanza in Africa e l’appassionato, infelice amore di Enea e Didone. Parlando di quest’ultimo, Zavatti giustamente osserva che

 

“il quarto libro dell’Eneide, dove la poesia latina trova la sua più alta espressione di sentimento, tratta l’Amore con una tale squisitezza di concetti e una tale nobiltà d’arte che gli antichi non avevano mai conosciuto.” (3) 

 

Segue il testo virgiliano, accompagnato con estrema perizia filologica e con profonda consapevolezza didattica  verso per verso, quasi parola per parola, con la costruzione sintattica dei passi più difficili: dove non sai se ammirare di più la competenza del latinista o la felice capacità di giudizio estetico del poeta.

Sì, perché Silvio Zavatti non amava soltanto i poeti: ne aveva egli stesso la sensibilità e i mezzi linguistici ed espressivi; ciò che si vede, del resto, in quasi tutta la sua produzione bibliografica e, spesso, anche in quella scientifica. Non ha saputo curare, con felice intuizione estetica, due pregevolissime antologie di poesia “primitiva”, una degli Eschimesi o Inuit ed una degli Indiani d’America? (4)

Ma torniamo a Virgilio.

La passione del geografo prorompe già dal primo verso,

 

"Interea medium Aeneas iam classe tenebat

                        certus iter fluctusque atros aquilone secabat",

 

laddove Zavatti annota: “Non mi sembra giusto tradurre, come molti fanno, medium iter = in alto mare, come dicesse medium aequor, ma nel punto mediano (del mare) intendendo con ciò che le rimanenti 19 navi di Enea erano giunte nel punto medio dell’attuale golfo di Tripoli, cioè a circa 50  miglia da Cartagine.” (5)

Interpretazione filologicamente originale, che solo a un capitano di lungo corso (verrebbe spontaneo osservare) poteva presentarsi alla mente con tale felice nitore (non sminuita dall’evidente refuso di “Tripoli” per “Tunisi”: Cartagine sorgeva presso le rive di quello che è oggi denominato golfo di Tunisi). Ma proseguiamo:

"moenia respiciens, quae iam infelicis Elissae

                           conlucent flammis…"

 

Si tratta della pira funebre su cui ardono i resti mortali della sventurata Didone, i cui bagliori rischiarano l’orizzonte al tramonto mentre le navi troiane, ignare della tragedia e tuttavia, in qualche modo, presaghe, filano veloci sul mare tempestoso. Ed ecco il commento di Zavatti, stavolta di natura estetica e non strettamente filologica:

 

“Che sfondo meraviglioso all’ultimo atto di questa tragedia d’amore! Il mare sconvolto dal vento di settentrione, il cuore dell’eroe oppresso dalla tristezza e i sinistri bagliori delle fiamme che rosseggiano, in lontananza, nel cielo gravido di nubi.” (6).

 

Un quadro: un vero scorcio pittorico dai colori incandescenti; e, quel che più conta, un quadro non indegno della sublime poesia virgiliana.

Potremmo continuare; ma non è questa la sede per seguire dettagliatamente l’intero commento al V libro; casomai (ci piacerebbe) riprenderemo il discorso a tempo e luogo. Ci basta, per ora, aver lasciato intravedere quale autentico godimento può trovare, in questo lavoro oggi poco noto del professor Zavatti, colui che ama Virgilio e la poesia classica; quale ricchezza di prospettive, quale profondità d’intuizione artistica vi si celano. E non poteva essere che così. Il  V libro dell’Eneide, “il più sereno del poema” (7), ove tra i ludi funebri in onore di Anchise spiccano per vivacità e freschezza incomparabile le immagini della gara navale, tutte scintillio d’onde e aroma di salmastro e splendore di luce mattutina e grida gioiose di rematori dai corpi sudati e tesi nell’atletico sforzo verso l’agognata vittoria, pur se inquadrate fra due scene altamente drammatiche (all’inizio la tempesta e le fiamme della pira di Didone, alla fine l’incendio delle navi e la tragica, silenziosa morte di Palinuro: due fuochi sinistri, due morti d’innocenti) meglio di tutti, a nostro avviso, si confaceva al carattere e alla sensibilità di Zavatti.

Perché solo un poeta può capire sino in fondo un altro poeta, e certe pagine poetiche più di altre sono in grado di stimolare i tesori di sensibilità che – direbbe Pascoli, altro autore amato dal Nostro – giacciono obliati in fondo al cuore d’ognuno di noi, ma solo pochi sanno rivelare pienamente. Quelli che hanno conservato entro di sé la freschezza gioiosa e stupita del fanciullino: e Silvio Zavatti è stato certamente (oltre che serio studioso e scienziato) anche questo: un uomo, cioè, capace di guardare al mistero della vita con lo stupore estatico, con la riconoscenza profonda di un fanciullo.

 

 

NOTE

 

1)        DANTE, Inferno, XXVI, vv. 98-99.

2)        Cfr. PIER LUIGI CAVALIERI, Silvio Zavatti e la Biblioteca Comunale di Civitanova Marche, volume a cura dell’Amministrazione Comunale di Civitanova Marche, 1990, p. 12 sgg.

3)        SILVIO ZAVATTI, Eneide, Libro V, Casa ed. G. D’Anna, Messina-Firenze, 1949, p. 1.

4)        Cfr. SILVIO ZAVATTI, Poesia eschimese, Editrice Missioni O.M.I., Roma, 1966; e Canti degli Indiani d’America, a cura di S: ZAVATTI, Ed. Newton, Roma, 1977 (rist. 2002).

5)        SILVIO ZAVATTI, Eneide, Libro V, cit., p. 3.

6)        Ibidem, p. 4.

7)        VIRGILIO, Eneide, a cura di ADRIANO BACCHIELLI, Paravia, Torino, 1963, p. 193.                                                                  

                                        

                                                                       

Articolo pubblicato sulla rivista "Il Polo" di Fermo, n. 3 del 2006, pp. 72-66, numero speciale contenente gli Atti del Convegno: "Silvio Zavatti. L'uomo e l'esploratore", a cura di Cesare Censi, tenutosi a Fermo nel novembre del 2005, in occasione del ventennale della scomparsa.