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Il gulag buono

di Massimo Gramellini - 18/01/2008

Il Sessantotto è finito. Almeno in Germania, dove i servizi sociali hanno condannato un adolescente intrattabile a trascorrere nove mesi in un campo di rieducazione. Nessun lager. Semmai un gulag, visto che il piccolo bullo è finito in trasferta a Sedelnikovo, caratteristico villaggio siberiano a 55 gradi sotto zero e senza acqua calda, dove potrà sfogare i suoi bollenti spiriti spaccando la legna necessaria a non morire congelato.

Vogliamo dirlo? Finalmente una misura di sicurezza che mira davvero al recupero del condannato. Da un carcere, nove volte su dieci, sarebbe uscito con il diploma di delinquente professionista. E anche le misure alternative non avrebbero scalfito più di tanto la sua balordaggine. Mentre un’esperienza estrema di disagio fisico è come l’aratura del campo: incide in profondità. Solo dentro i nuovi solchi si potranno gettare i semi della compassione e del dialogo che, lanciati adesso, rimbalzerebbero sopra la crosta, andando sprecati.

C’è già chi, obbedendo stancamente agli schemi del secolo scorso, ha bollato questo provvedimento come fascista. Gli si potrebbe rispondere che a essere fascista non è mai la durezza in sé, ma la durezza ingiusta, prevaricatrice e arrogante. Fra i tanti modi di voler bene a chi fa del male, quello di sottoporlo a uno choc naturale che gli consenta di rimodellarsi il carattere è forse il più adulto e sincero di tutti. Perciò in Italia, terra di finti buoni e di ipocriti autentici, non si applicherà mai.