C'è ancora aria di "Guerra fredda"? intervista a Massimo Fini
di Carlo Passera - 05/01/2006
Fonte: lapadania.com
Massimo Fini, cosa vedi dietro il braccio di ferro Russia-Ucraina? Non una bagattella tra vicini, dicono molti, ma il sintomo di come Mosca voglia riaffermare la propria influenza e, forse, anche un segnale inviato all’Europa... «Certamente la Russia, dopo anni di quiescenza, cerca e cercherà sempre più di riconquistare il proprio ruolo. Ha di fronte un’America estremamente aggressiva, le cui mosse - dalla guerra in Jugoslavia a quella contro l’Iraq - non possono essere gradite a Mosca. È giusta la strada intrapresa da alcuni Stati europei - come Francia, Germania e Spagna - che mira in qualche modo a far salire la Russia sul treno Ue, per farne un’alleata, in prospettiva di una maggiore indipendenza europea di fronte allo strapotere statunitense. È quest’ultimo, oggi, il problema dei problemi insieme al terrorismo; anzi le due cose vanno esattamente a braccetto». Quindi, tu dici: riconoscere la rinata potenza russa ma nello stesso tempo inglobarla nella più vasta costruzione europea. Interpreto bene? «Sì, occorre riconoscere la potenza russa rafforzando nel contempo quella europea, perché un’Ue davvero unita sarebbe un colosso non da poco, benché ancora deficitario sul piano militare. Oggi molto dipende dalla Gran Bretagna, potenza nucleare tradizionalmente legata agli Usa (e ci sono segnali di “stanchezza” e insoddisfazione in questo senso); se tale alleanza dovesse essere confermata anche in futuro, sa- rà a maggior ragione... ... utile stringere nuovi legami con una Russia divenuta per molti versi più europea di quanto non fosse prima, sia perché si è aperta al libero mercato, sia perché ha perso molti territori asiatici. Non dimentichiamoci che, prima della Rivoluzione d’Ottobre, erano strettissimi i rapporti tra la classe dirigente russa e, ad esempio, la Francia; mia madre è russa e nella sua casa si parlava francese, perché questa era la consuetudine nella classe dirigente». Tu dici: la Russia si affaccia oggi con maggior decisione all’Europa, è cambiata in senso occidentale. È vero, così come è vero che il nuovo accentramento dei poteri imposto da Putin era necessario per evitare il caos e il dominio oligarchico dell’era Eltsin. D’altra parte però, la supremazia del premier russo ha poco a che fare con la democrazia, e poi c’è ancora la questione cecena tutta da risolvere... «Il problema più rilevante è quest’ultimo. Il rospo più grande da ingoiare, in caso di alleanza con Putin, è la questione della Cecenia, un massacro che dura da secoli, ma che negli ultimi decenni si è ulteriormente aggravato con due guerre devastanti. Mosca pare non voglia mollare... Sarà un problema. Meno importanti, a mio parere, sono gli aspetti interni del Paese, anche perché dubito che la Russia potrà mai diventare uno Stato democratico all’occidentale». Come mai? «Perché ha una storia completamente diversa». Passami questo parallelo: vi sono ragioni geopolitiche forti per far entrare nel “circolo europeo” sia la Russia che la Turchia. In entrambi i casi, però, la Ue si allargherebbe a Paesi assai “problematici”, con questioni di democrazia interna ancora irrisolte, capaci cioé di “snaturare” l’intera costruzione europea. Perché, allora, la Russia sì e la Turchia no? «Perché c’è una differenza enorme: la Russia porta quasi esclusivamente vantaggi, la Turchia, invece, la paralisi politica e militare dell’Europa, essendo la longa manus degli Stati Uniti. Sulla scelta non ci possono essere dubbi». Senza contare che, a voler guardare anche all’aspetto culturale e sociale, la Russia è cristiano-ortodossa, la Turchia invece islamica... «Certo. Oggi le questioni religiose tornano a essere importanti, anche se le abbiamo ignorate nella vicenda bosniaca. Certamente l’appartenenza alla chiesa cristiano-ortodossa rende la Russia più vicina a noi; ma poi, c’è tutta una tradizione culturale russa alla quale ci siamo abbeverati, da Dostoevskij a Tolstoj. Per contro, non abbiamo mai letto uno scrittore turco, o almeno io non me ne ricordo. La Russia è anche Europa, soprattutto nelle dimensioni che ha oggi rispetto a quelle dell’Unione sovietica». Problema: oggi l’Europa, come al solito, si presenta quasi sempre in ordine sparso nelle trattative con Mosca; viceversa, Putin ha giocato d’astuzia, ha accresciuto il “peso specifico” del proprio Paese e oggi detiene le chiavi di buona parte dell’approvvigionamento energetico di cui noi abbiamo bisogno. Qualcuno dice: ci tiene ormai sotto scacco. «Dire che ci tenga sotto scacco mi pare eccessivo. L’Europa deve avere una politica estera comune e non può che basarsi sull’asse franco-tedesco, lì bisogna stare se si vuole che la costruzione abbia senso. Dev’esse un continente - per usare una formula che adopero da molti anni - unito, neutrale, armato e nucleare. Io aggiungo anche autarchico, ma è una mia opzione soggettiva». Tu dici: serve un asse tra Europa e Russia. E la Cina, l’altra grande potenza emergente? È destinata a scontrarsi, o allearsi a sua volta con Mosca? «Dipende da noi, da come sapremo trattare con la Russia. Neppure durante il comunismo i rapporti tra Mosca e Pechino furono buoni... Anzi, erano molto tesi ed è facile che lo siano anche in futuro, tra due superpotenze fianco a fianco che non hanno nulla in comune. Trovo probabile che si creino due grandi alleanze, quella tra Europa e Russia e quella tra Cina e Stati Uniti». Però Pechino avrà ogni convenienza a stabilire “regole di buon vicinato” con la Russia. Avrà bisogno di moltissime fonti energetiche, e dovrà acquistarle dalla Russia o dal mondo islamico... «Qualcuno pensa, in funzione anti-americana, a un asse euroasiatico che giunga fino alla Cina. Mi sembra difficile». E che ne dici, più fattibilmente, di un asse Mosca-Pechino, tra le superpotenze emergenti, in funzione anti-Nato? «No. Non penso che la Russia possa vedere l’Europa come proprio antagonista; credo, al contrario, stia cercando di staccarla dal legame atlantico». Mosca, Pechino ma anche Washington dovranno comunque fare i conti prossimamente col “caso” Teheran. Alcuni dicono che sarà la cartina di tornasole per verificare le “ambizioni imperiali” di Russia e Cina... «L’Iran è meglio lasciarlo stare, finché rimane dentro i suoi confini; è una realtà particolare, non è un qualsiasi Paese arabo, è la Persia. Sarebbe assolutamente folle attaccarlo: ha resistito all’urto degli Usa quello sputo che è l’Iraq, figurarsi l’Iran, un grande Stato fortemente motivato, che già aveva battuto Saddam Hussein nel 1985. Se allora si fosse lasciato fare, invece che impedire all’Iran la presa di Bassora, gli equilibri in Medio Oriente si sarebbero stabiliti già da tempo e “spontaneamente”. Non vedo alcun interesse da parte della Russia (i cui rapporti con Teheran non sono tesi, tutt’altro), ma nemmeno dell’Europa, a scontrarsi con l’Iran; l’Italia stessa ha una buona “frequentazione”, ricordo ad esempio che in questo momento i nostri soldati a Nassirija non rischiano nulla proprio perché sono protetti dai servizi segreti iraniani. Serve una politica di cautela e, se possibile, di amicizia: non abbiamo a che fare, come dice Bush, con uno Stato canaglia e una cultura inferiore; io ho studiato il Paese, anche le classi medie conoscono Moravia e Calvino, oltre che i nostri grandissimi, tanto per capirci. Non si può trattare l’Iran come la Corea del Nord o l’Iraq. È una grande nazione destinata ad avere influenza nell’area, come è giusto che sia; d’altra parte gli americani involontariamente le hanno offerto la migliore delle occasioni, distruggendo l’Iraq e consegnandolo in pratica - appena le truppe se ne andranno - agli sciiti filo-iraniani. È stato un boomerang, ma nello stesso tempo un atto di giustizia, perché Teheran aveva vinto la guerra contro Saddam Hussein». Ma perché mai la casalinga di Voghera dovrebbe guardare con favore a una potenza che, a quanto pare, fa ricerche sul nucleare (civile, ma forse anche militare) e minaccia l’esistenza stessa di Israele? «Perché mai la casalinga di Voghera deve temere le minacce verbali a Israele, i cui missili nucleari - che già esistono - sono però puntati su Teheran proprio mentre Ahmadinejad minaccia fuoco e fiamme? L’Iran è circondato da Paesi dotati dell’atomica: Israele, Pakistan, Russia, Cina. Io credo sia per il nucleare pacifico, ma anche in caso contrario mi sembra normale voglia mettersi alla pari coi suoi vicini. Ha tutti i numeri per diventare “superpotenza di area” - per ragioni geografiche e storiche - ma oggi è inerme; poi, si sa che l’atomica non può essere usata che come deterrente, ma aumenta il “peso” del Paese.... Ciò detto, non conosco le vere ragioni degli attacchi verbali di Ahmadinejad a Israele...». Si pensa a questioni di propaganda interna. «È probabile. Comunque non rappresentano nulla di concreto, per quanto Israele certo non sia amato da quelle parti. Quando sono stato in Iran, su ogni lampione c’era una sorta di manifesto che rappresentava un pasdaran col kalashnikov e dietro la scritta: “Israele deve essere distrutto”. È così, è l’immaginario collettivo iraniano. Peraltro, nel Paese vi sono anche comunità ebraiche». L’ultima grande potenza nello scacchiere asiatico è l’India. È anche’essa in forte crescita. Finirà nell’orbita cinese? «So troppo poco dell’India, Paese di assai difficile decifrazione, per dare una risposta alla tua domanda». Te lo chiedevo anche perché leggevo nei giorni scorsi le parole di Churchill: «Gandhi? Muoia pure di fame». «Questo è il sano realismo di Churchill che, per dire, non voleva il processo di Norimberga, e forse lì sbagliava i suoi calcoli. Non dimentichiamo che l’Inghilterra oggi è molto ridotta, ma è stata un grande impero e in tutti i Paesi del Terzo Mondo ha ancora questa fama. A Teheran si gridava: “Morte agli inglesi, morte agli americani”. Londra è detestata in quelle aree, perché è stata potenza colonizzatrice, con metodi efficaci ma brutali». Per concludere: con lo stesso realismo di Churchill, dovremo dire: “Benvenuto, Putin, e la Cecenia muoia pure di fame”? «Io non sono Churchill e mi schiero per l’indipendenza della Cecenia. Ma ciò significherebbe non agganciare la Russia...». Dunque le ragioni geo-politiche devono prevalere su quelle etiche e valoriali? «Per i politici, sì. Per la gente comune non dovrebbe essere così. Credo si potrebbe anche lavorare per un’uscita dalla questione cecena il più possibile indolore, con un accordo insomma. La cosa ulteriormente grave è che, adesso, l’indipendentismo ceceno ha assunto connotazioni islamiche, essendo tra l’altro l’Islam l’unica opposizione all’invadenza delle superpotenze industriali». È lo stesso processo che si è verificato in Palestina... «Certo. In Cecenia bisognerebbe chiudere presto la partita, anche se in gioco ci sono grandi interessi, petrolio in primis». |