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35 terre promesse. Emergenza indios

di Stella Spinelli - 19/01/2008

Emergenza indios: 76 morti ammazzati in un anno, 48 dei quali nel solo Mato Grosso do Sul
Emergenza indios: 76 morti ammazzati in un anno, 48 dei quali nel solo Mato Grosso do Sul, dove i guaraní vivono confinati in terre insufficienti per sostenere le loro tradizioni. Cifre da spavento e ancora parziali, che già superano del 58 percento quelle registrate nel 2006. Parola del Consejo Indigenista Misionero (Cimi) che ha in previsione di divulgare il conteggio totale delle vittime indigene in aprile, nell'ambito del report annuale sulle violenze sofferte dalle popolazioni native, fra attentati, minacce, suicidi e invasioni di terra.

anziana guaraníSenza frontiere. La causa principale dell'allarmante situazione in cui vive da anni lo stato amazzonico – che anche lo scorso anno fu teatro di 20 dei 48 omicidi a carico di persone indigene – è il “confino” in cui sono costretti a vivere i kaiowá, indigeni della famiglia guaraní. Per esempio, nella riserva di Dourados, 3mila ettari, vi abitano 12mila persone, per una media di un ettaro ogni 4 persone. E si sta parlando di un popolo nomade, che per tradizione non vive di agricoltura, che è abituato a vivere in spazi ampi, unica forma di vita che conosce. Costretto in spazi piccoli, implode. I guaraní, infatti, nonostante le riserve, si muovo continuamente, senza limiti di frontiere interne o internazionali imposte dai conquistadores. Sono circa trentamila in tutto lo stato del Mato Grosso do Sul, ma camminano anche per Paraguay e Argentina, dove anche sono numerosi, seguendo solo le loro leggi e le loro regole. Un modus vivendi che dà noia a molti, dalle altre popolazioni indigene ai coloni e proprietari terrieri, che reagiscono in forma spesso violenta per arginarne l'invadente spirito libero.
Per questo la Fundación nacional del indígena (Funai), organo governativo a cui compete gestire politicamente le popolazioni autoctone, si impegnò tempo addietro a creare 35 nuovi territori nel Mato Grosso do Sul, in cui regolarizzare il flusso dei kaiowá-guaraní, ma non ha mai mantenuto la promessa. E la tensione cresce.

bambino guaraníAgro-business. Assegnare più terra sembra, infatti, sempre più difficile. Nell'era del biocombustibile, quella regione è culla delle monocolture intensive di canna da zucchero, quindi anche 100 attari sono motivo di aspre discussioni, che spesso sfociano in omicidi mirati. Spinti dall'euforia dell'etanolo come sostitutivo della benzina, quindi ricchezza in barba all'oro nero, per un granello di terra si arriva a uccidere. L'agronegozio impera, e i governi locali ne sono totalmente succubi. Ovunque è canna da zucchero e quando va bene soja. Per i guaraní è desolazione. Molti di questi infatti si sono arresi e lavorano in condizioni miserrime come tagliatori di caña, restando fuori dalla comunità anche 70 giorni. “Quando ritornano portano con sé problemi di alcool e droga, indebolendo così il già fragile equilibrio interna della loro comunità”, ha spiegato a Ips Marcos Terena, presidente del Comitato intertribale e direttore del Memoriale dei popoli indigeni in Brasile. L'altra faccia del combustibile pulito tanto sbandierato dal presidente Lula e dal suo omologo Usa Bush. Nel Mato Grosso do Sul ci sono 11 fabbriche di zucchero e distilleria di bio-carburante e altre 30 sono in costruzione, ma la prospettiva è arrivare ad averne 60. L'impatto sui guaraní è ben immaginabile. È di novembre un episodio che la dice lunga sui rischi a cui va incontro un sistema simile: un'impresa di bio-combustibile da canna da zucchero locale è stata chiusa perché sottometteva ottocento lavoratori indigeni, trattandoli come schiavi.

bambina guaraníCome i Sem terra. Un sistema che crea un indotto senza vie d'uscita. Perché la mancanza di nuove terre assegnate loro dall'alto, spinge i guaraní a occupare con la forza i territori che considerano propri per diritto ancestrale, ispirandosi alla tattica dei contadini Sem Terra che lottano per la riforma agraria: creare accampamenti dal giorno alla notte. Da qui, gli assassinii mirati dei leader, per mano di sicari ingaggiati dai proprietari terrieri, ancora legati al modus operandi della vecchia oligarchia rurale brasiliana.
E le conseguenze non finiscono qui, c'è anche una sorta di epidemia depressiva che dilaga fra i giovani. La mancanza di terra e quindi di prospettive di vita ne porta molti persino al suicidio.