Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Gladiatori. I dannati dello spettacolo

Gladiatori. I dannati dello spettacolo

di Marco Managò - 19/01/2008

 

Gladiatori. I dannati dello spettacolo


Giunti Editori ha pubblicato un volume (nella collana “Atlanti del sapere”) in cui l’autore, Fabrizio Paolucci, ripercorre le motivazioni, gli accadimenti e le strategie di potere alla base dei noti giochi romani: i ludi gladiatorii.
Uno dei temi più controversi, a tale proposito, è nella ricerca del perché la civiltà del diritto, quella romana, si fosse invaghita di tali cruenti combattimenti, al punto di coinvolgere non soltanto la plebe ma anche i ceti più elevati.
La radicale diffusione sociale del fenomeno fu, ovviamente, oggetto delle strategie delle classi dominanti; uno strumento di condizionamento popolare attraverso la magnanimità di politici sovvenzionatori, tanto che Cicerone ne vietò l’esercizio, ai candidati, nei due anni precedenti le elezioni.
La Campania, e non l’Etruria, fu la regione che, iscrizioni e reperti funerari alla mano (IV sec. a.c.), disciplinò i munus, i giochi, svincolandoli dall’origine religiosa e sacrificale, e li trasmise al popolo di Roma.
La diffusione dei giochi, interessando larghe fasce di popolazione, in breve guadagnò spazi maggiori, dal Foro Boario al Foro Romano, a discapito di altre forme di intrattenimento tra le quali il teatro.
Affianco ai ludi presero corpo altre due esibizioni collaterali, quello della caccia alle bestie feroci (e spesso esotiche), venationes, e la condanna a morte attraverso l’impiego di animali, la damnatio ad bestias, per delinquenti, criminali, disertori e cristiani. La ricerca capillare, ben organizzata e spasmodica, di fiere e bestie feroci, fu tale al punto di minacciare la sopravvivenza di elefanti e leopardi.
Ciò che colpisce, nello sviluppo della trattazione, è l’impressionante analogia, espressa in molteplici aspetti, con i coinvolgimenti moderni delle masse e la loro distrazione sociale attraverso le competizioni calcistiche. I lauti guadagni dei giochi stimolarono i lanisti, gli allenatori dei gladiatori, e i procuratores (!), ossia gli osservatori delle reclute da avviare alla professione. Tali procuratores, spiega Paolucci “…si erano spartiti l’impero in zone entro le quali cercare sempre nuove reclute…”.
La possibilità di accumular sesterzi e fama incrementò le schiere degli aspiranti atleti, molti provennero anche dall’esercito; viceversa alcuni gladiatori furono impiegati nelle attività belliche.
Costi elevati, quindi, per i finanziatori dei giochi, specie in caso di rimborso ai lanisti per morte dell’atleta, eppur così remunerativi dal punto di vista del condizionamento politico (un po’ come i banchetti offerti dai candidati politici odierni), tanto che Ottaviano pensò bene di disciplinarne la gestione, recuperando un controllo statale altrimenti abbandonato a perigliose deviazioni.
Da sottolineare la scrupolosa preparazione atletica dei gladiatori in apposite strutture ben organizzate, le palestre gladiatorie.
Il programma dei ludi prevedeva, di norma, venationes al mattino, poi giochi, acrobazie e condanne a morte, per finire, nel pomeriggio, con lo scontro fra i gladiatori. Per suggestionare al meglio il pubblico e infiammarlo con accorgimenti studiati, i gladiatori indossavano armature e abiti che ricordavano le genti vinte dai romani: i galli, i traci, i sanniti.
Le tifoserie, in ogni caso, si differenziavano in sostenitori dei gladiatori con scudo piccolo e ammiratori di atleti con lo scudo grande; la rivalità tra tali tifosi non fu affar della plebe ma coinvolse anche gli imperatori.
La diffusione dei giochi provocò anche un’esigenza pratica: quella di avere strutture adatte per contenere gli spettatori, in cui la prerogativa essenziale fosse la visibilità e non l’acustica, come avveniva per i teatri. Nacquero, così, gli anfiteatri, a forma ellittica, propriamente suddivisi in diversi ordini di posti, secondo l’eterna esigenza gerarchica (specchio fedelissimo della società dell’epoca) e dotati di un incredibile numero di maestranze per il sostentamento della struttura e la realizzazione dei giochi stessi. Le province romane ne contarono quasi duecento in totale, segno ulteriore della romanizzazione e della lealtà alla città. Da notare, paradossalmente, come proprio a Roma, per diversi anni, non si costruissero strutture adeguate, al fine di non offrire il destro a potenziali focolai di ribellione.
E’ l’età imperiale a decretare il successo dei giochi gladiatori e lo testimonia la costruzione del Colosseo, nel primo secolo d.c. Di là dai noti meriti architettonici e funzionali, credo sia opportuno evidenziare la scelta ideologica del sito ove costruire il Colosseo: la zona in precedenza riservata alla domus neroniana, a determinare, così, un taglio netto con la tirannia e le pazzie di Nerone e simboleggiare una rinascita, una riappropriazione dello spazio dedicato al popolo.
Vespasiano, Domiziano e Tito realizzarono l’opera tra Celio, Palatino ed Esquilino, in stretta vicinanza con il Circo Massimo “…i due luoghi dove si svolgevano i ludi circensi e gladiatori e dove si manifestava, nel modo più corale, il consenso popolare nei confronti dell’imperatore”, scrive Paolucci. L’imperatore filosofo Marco Aurelio detestava tali giochi cruenti, però, per ragion di stato, ne consentiva lo svolgimento. Il figlio, Commodo, plurivittorioso gladiatore, era talmente entusiasta dei giochi tanto da vantarsene più delle azioni di governo; colpisce la diversa mentalità rispetto a Marco Aurelio e va menzionato il tentativo degli storici di dubitare decisamente della paternità.
Il tramonto dei giochi, dal II secolo d.c., fu irreversibile, nonostante l’organizzazione di molti munus da parte di privati per ottenere le grazie dei propri concittadini; soltanto la venatio continuò ad affascinare il pubblico e a riempire gli spalti del Colosseo.
La sera precedente i combattimenti, i gladiatori, in genere, erano ospiti dei finanziatori dei giochi ed erano a disposizione per i tifosi e per le valutazioni degli scommettitori. Preannunciati per settimane da appositi cartelloni pubblicitari esposti per le strade, i gladiatori erano anche al centro di un curioso mercato di oggetti legati alla loro immagine e ai giochi. Una mania esplosa a macchia d’olio e che riguardava oggetti di largo uso quotidiano: frutto di un commercio che ora si affannano a definire col termine inglese merchandise.
Gli amatores, gli antesignani dei tifosi moderni, non erano gli unici acquirenti di tali oggetti. La febbre dei giochi era tale da coinvolgere anche il neofita più estraneo e distaccato, sino a farne l’adepto più ortodosso. Le cronache riportano scontri fisici pesanti fra opposte tifoserie, come quella ricordata dall’autore, fra Nocerini e Pompeiani, avvenuto nell’anfiteatro di Pompei nel 59 d.c. In questo caso, le autorità romane presero severi provvedimenti nei confronti degli amministratori locali, vietando, per anni, anche l’esercizio dell’impianto campano.
La sorte di un gladiatore vinto, dipendeva dalla grazia, in genere concessa dal promotore dei giochi, a sua volta ottemperante alle richieste del pubblico. Ragioni esclusivamente pratiche impedirono l’uccisione di molti gladiatori: il rimborso elevato in caso di morte, nonché la notevole influenza dei tifosi dello sconfitto.
Meno enfasi da parte di Paolucci verso alcuni luoghi comuni, come quello relativo al dito verso, di cui non si hanno notizie certe sull’uso, la diffusione e l’origine.
Si invita, poi, al giusto risalto per gli eccidi dei cristiani, effettivamente perpetrati ma non nelle dimensioni consegnate alla storia. Nei secoli successivi, stante l’affermazione della religione cristiana, diminuirono, progressivamente, tali persecuzioni, sino a cessare, e si fece forte la condanna morale della Chiesa. La riprovazione, che investì in parte anche teatro e giochi circensi, accompagnata a una crisi politica generale e a un calo delle finanze, determinò la fine dei giochi nel VI secolo d.c. Occorre valutare quanto determinante fosse anche l’esigenza di un modo diverso di dominare le masse.
Posto a dura prova da terremoti e saccheggi, il Colosseo perse gradualmente la sua importanza.
La gloria dei gladiatori e dei giochi è scorsa attraverso la pittura (J.-L.Gérome) e la cinematografia (Quo Vadis, Ben Hur), soprattutto in pellicole come “Il Gladiatore” ove, osserva significativamente l’autore “…per la prima volta, il protagonista è un gladiatore privo di ogni anacronistico atteggiamento di disgusto o di condanna per i ludi”.
Positivo il contributo di Paolucci sul coraggio e la determinazione dei gladiatori, comunque uomini, al centro di un meccanismo ben più ampio, in un corollario, nella storiografia moderna, di accezioni del tutto negative.
Ragion di stato, strategia e diplomazia politica, sfruttamento della plebe e condanne religiose, furono le multiformi versioni di un potere capace di distrazione sociale attraverso il subdolo svolgersi di giochi e spettacoli; si inebetirono le masse sfruttandone il cruento piacere, in una sorprendente analogia ambientale e organizzativa che ricalca pienamente quella dei nostri tempi, a riprova, purtroppo, di uno sterile accumulo di secoli sulla pelle delle masse.