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Paul Karl Feyerabend: il problema del metodo

di Mario Cenedese - 19/01/2008

PAUL KARL FEYERABEND: IL PROBLEMA DEL METODO IN T. KUHN E IN K. R. POPPER

1. PREMESSA

Quando si parla di "metodo", normalmente si intende un insieme di prescrizioni che riguardano il modo migliore di svolgere un ' attività, al fine di contenere l ' aleatorio e di evitare l ' errore. In sede filosofica, il concetto di "metodo" è storicamente legato, in particolare, al problema della con­quista della certezza nel campo conoscitivo. Già il Socrate dei "dialoghi platonici" sembra pienamente cosciente della stretta relazione tra la validità di una conoscenza e il modo in cui essa viene perseguita ed ottenuta. In questo caso     l  '  attenzione si pone su due tipi di prescrizioni: una prima, nega­tiva o "igienica", finalizzata ad evitare l ' errore, soprattut­to 1 ' accettazione tacita e supina di pregiudizi, e una secon­da, positiva, costituita da regole euristiche, protesa alla costruzione della conoscenza.

In origine, "metodo" significa "cammino", o meglio, dal greco, "via per giungere ad un determinato luogo"; perciò il metodo scientifico è il cammino della conoscenza, il "retto sentiero" che porta alla verità. A tale proposito, così scri-

ve René Descartes nelle sue Regulae ad directionem ingenii (1627-1628):

"Per metodo ... intendo delle regole certe e facili, osservando le quali esattamente nessuno darà mai per vero ciò che sia falso, e senza consumare inutilmente alcuno sforzo della mente, ma gradatamente aumentando sempre il sapere, perverrà alla vera cognizione di tutte quelle cose di cui sarà capace ..."(1).

In opposizione a questa concezione monolitica del meto­do, significativa è la visione pluralistica di Nietzsche:

"Non esiste un metodo scientifico che sia il solo ad aprire le vie della conoscenza. Dobbiamo procedere per tentativi con le cose, ora con malvagità, ora con bontà verso di esse, ed avere per loro successivamente equanimità, passione e freddezza. C ' è chi parla con le cose come un poliziotto, chi come un confessore, chi come un viandante e un curioso. Ora con simpatia, ora con violenza si caverà qualcosa da esse; c ' è chi è portato avanti e fino alla cognizione esatta dalla riverenza per i loro segreti, chi, per altro verso, dall ' indiscrezione e dalla furfanteria nello scioglie­re questi segreti. Come tutti i conquistatori, gli scopritori, i navigatori, gli avventurieri, noi in­dagatori abbiamo una moralità temeraria e dobbiamo permettere che in complesso ci prendano per malva­gi.(2).

Il metodo è sempre da inventare. Pertanto, se dal '600,  l ' era della rivoluzione metodologica, la convinzione che esi­sta un metodo scientifico unico, valido, universale, efficace, progressivo, trasferibile da una disciplina all  ' altra, di  cono-

scenza, di scoperta e di valutazione oggettiva, è stata 1 ' idea-forza della tradizione occidentale, questa convinzione era già stata contestata da Nietzsche, ben prima, quindi, del­l ' epistemologia post-popperiana. Quest ' ultima corrente della filosofia della scienza mette in crisi 1 ' intoccabilità del metodo scientifico,  la sua unicità, la sua universalità, la sua invarianza, la sua natura di criterio di demarcazione tra scientifico e non-scientifico. Il critico più radicale di questa concezione del metodo è sicuramente Paul Karl Feyerabend, per il quale l ' unico principio da salvaguardare comunque è il pluralismo metodologico.

Feyerabend sostiene il cosiddetto "anarchismo/dadaismo" sia per motivi teorici, sia storici, sia etico-sociali. Nes­suna teoria concorda con tutti i fatti compresi nel suo campo - motivo teorico -; la pratica scientifica non si conforma ad alcuno schema comune, ad alcuna direttiva metodologica, ad esempio, non sempre una teoria falsificata deve essere per questo abbandonata - considerazione storica -; un po' di edo­nismo, inteso quale ingrediente libero e piacevole della crea­tività, è legittimo per lo sviluppo scientifico – requisito sociale -; la scienza deve, comunque, evitare chiusure dogmatiche caratteristiche del mito e della religioneconsiderazione etica -.

Per sostenere la sua posizione anarco-dadaista nella scienza, Feyerabend compie una digressione intorno al pensie­ro di alcuni epistemologi contemporanei usando in tal modo un classico espediente retorico che consiste nell'affermare una verità attraverso l'esposizione di tesi contrastanti con quanto si vuole, invece, asserire.

.2.   P.K.    FEYERABEND:    L’INTERPRETAZIONE   DEL   METODO   KUHNIANO

L'Autore prende in esame l'epistemologia kuhniana soprat­tutto nel breve saggio Consolazioni per lo specialista in Cri­tica e crescita della conoscenza (Feltrinelli, Milano 1976, pp. 277-312).

In   questo   scritto   Feyerabend   giudica   non   convincente il quadro  d   ' insieme prospettato da T. Kuhn ne La struttura delle rivoluzioni scientifiche in quanto la scienza non è una successione di periodi di "monismo" in cui domina un paradigma e di periodi di "rottura rivoluzionaria": se è possibile constatare il quotidiano incessante impegno di coloro che con­tinuamente sono occupati nella soluzione di minuti rompicapo, è pur vero che, d ' altro canto, proprio  l ' attività della mino­ranza che si dedica alla proliferazione delle teorie produce crescita della conoscenza.  Del resto, anche durante la fase di "scienza straordinaria", i sostenitori del superato paradigma non si lasceranno distogliere dal lavoro sui vecchi rompi­capo. Kuhn, come osserva ancora Feyerabend, limitando l ' atti­vità scientifica a semplice "soluzione di rompicapo", ha elabo­rato solo "consolazioni per gli specialisti" più rozzi nei vari campi della scienza. Ma, se questo è il giudizio di fon­do sulla concezione di Kuhn, vediamo invece nei dettagli come Feyerabend analizza ed interpreta quella stessa concezione epistemologica.  Intanto, per prima cosa, l ' Autore si chiede se sia possibile esibire delle ragioni a sostegno del modo in cui secondo Kuhn la "scienza normale" procede, cioè ragioni per difendere una teoria nonostante l ' esistenza di evidenze contrarie che la confutano. Questo arroccarsi attorno ad una teoria da parte del gruppo degli scienziati costituisce il principio della tenacia, "idea forte" su cui concordano sia Kuhn che Feyerabend.  Quest  ' ultimo continua la sua trattazio­ne rilevando come il problema sia esclusivamente metodologico, e non riguardi la maniera in cui la scienza procede in realtà.

"Orbene - continua l ' Autore -, la soluzione del pro­blema è del tutto immediata. Il principio della tena­cia è ragionevole, dal momento che le teorie sono capaci di sviluppo, possono essere migliorate e alla fine riescono a sistemare proprio quelle difficoltà che nella loro forma originaria non erano affatto in gra­do di spiegare. Inoltre, non è per nulla prudente fidarsi troppo dei risultati sperimentali ... Diversi scienziati sperimentali sono soggetti a commettere diversi errori, e generalmente occorre parecchio tempo perché tutti gli esperimenti siano ridotti a un comu­ne denominatore."(3)

Inoltre, secondo Kuhn , una teoria fornisce anche criteri di eccellenza, di fallimento, di razionalità, e deve esse­re mantenuta, tenacemente, finché è possibile, per conservare più a lungo razionale il discorso. Tuttavia, afferma Feyera­bend, è molto difficile che le teorie si scontrino con 1 ' "evi­denza", con i "fatti", dal momento che questi dipendono in generale dalle cosiddette "scienze ausiliarie", definite da Imre Lakatos come "teorie che fungono da pietra di paragone". Da esse derivano gli "asserti di base" e lo stesso linguaggio osservativo, in quanto i risultati sperimentali vengono de­scritti con un idioma fortemente impregnato dei concetti forniti dalle "scienze ausiliarie". Ma, come rileva ancora Feyerabend, fra teorie fondamentali e materie ausiliarie vi è spes­so differenza di fase:

"Chi, per esempio, si sarebbe mai aspettato che l'in­venzione della concezione copernicana e quella del telescopio sarebbero state immediatamente seguite dal­l'appropriata ottica fisiologica?"(4).

Ed è proprio per ovviare a queste asimmetrie temporali che si devono costruire metodi speciali che consentano agli scienziati di mantenere le loro teorie nonostante la presenza di fatti che le invalidano in modo lampante, metodi che tro­vano il primo appiglio nello stesso principio della tenacia. Accanto a questo principio Kuhn, nell'analisi di Feyerabend, pone il principio di proliferazione, vale a dire l'uso di una molteplicità di teorie che produrrebbe la sostituzione della soluzione di rompicapo con argomentazioni "filosofiche", in momenti di crisi. Ebbene, questo passaggio da un periodo di scienza normale ad una fase rivoluzionaria non convince e non soddisfa per niente Feyerabend. Da un lato, come osserva l ' Autore, Kuhn sottolinea con fermezza le prerogative dogmatiche, autoritarie ed anguste della scienza normale, mettendo in evi­denza che ogni tradizione di soluzione di rompicapo è guidata da un solo paradigma. Da un altro lato, Kuhn rileva come il presentarsi di una molteplicità di teorie in concorrenza fra loro abbia per effetto il mutamento dello stile nella discus­sione all ' interno del gruppo degli scienziati, mutamento che porta a far riemergere il discorso critico quando le basi del vecchio paradigma sono in pericolo.

"Ora - si chiede Feyerabend -, se la scienza normale è de facto così monolitica come Kuhn la dipinge, da dove pro­vengono le due teorie in competizione?"(5) Tra l'altro, è anche da considerare, come fa Kuhn, che le alternative produ­cono un notevole acutizzarsi delle anomalie di cui già soffre il paradigma dominante favorendo in tal modo il passaggio ad una fase di "scienza straordinaria". Al postutto, queste dif­ficoltà portano Feyerabend a sospettare che la scienza normale sia   una  mera  creazione  fantasmatica.     A tale riguardo,  come rileva l'Autore,  lo stesso Kuhn ammette che:

a)  le teorie alternative svolgono un compito determinante nel­la confutazione delle teorie;

b)  la   proliferazione   ha   un   ruolo   storico   nel   sovvertimento

dei  paradigmi;

 c)  le alternative danno un contributo rilevante al  sovvertimento dei  paradigmi  in quanto ne amplificano le anomalie;

 d) le anomalie accompagnano  il   paradigma  durante  tutto l'arco

della sua storia.

Allora, dato questo per certo, perché non concepire la proliferazione come schema-guida per inoltrarci attraverso le vicissitudini della scienza? Feyerabend, a sostegno della sua tesi che i periodi di scienza normale, se mai sono esi­stiti, abbiano una durata molto limitata, adduce alcuni esem­pi storici, riferendosi al secolo scorso. Così, egli osserva che nel secondo trentennio dell' '800 possiamo distinguere almeno tre diversi paradigmi reciprocamente incompatibili:

 a) la concezione meccanicistica con le sue varie diramazioni

nell'astronomia,   nella teoria  cinetica,   nei   modelli  meccanici  per l'elettrodinamica e pure nelle scienze biologiche, in  particolare nella medicina;

b)  la concezione relativa all'invenzione di una teoria del calore indipendente, fenomenologica, che risultò, alla fi­ne, incompatibile con la meccanica;

c)  la concezione soggiacente all ' elettrodinamica di Faraday e Maxwell che da Hertz fu sviluppata e sciolta dai suoi contemporanei   meccanici.

Secondo Feyerabend, la stretta e attiva interazione tra questi diversi paradigmi condusse alla caduta della fisica classica. E furono proprio i contrasti che esistevano fra la teoria di Maxwell e la meccanica di Newton che portarono, in larga misura, all ' emergere della teoria della relatività speciale.

D'altro canto, osserva ancora l'Autore, non tutti gli scienziati parteciparono al dibattito e i più possono aver seguitato ad interessarsi dei loro minuti rompicapo. Detto questo, è  tuttavia da rilevare che, dando per buono l'insegna­mento di Kuhn, come già accennato, fu il lavoro della minoran­za dedita alla proliferazione delle teorie a far progredire

 

 

 


la scienza e non il lavoro di routine, monotono e ripetitivo, della maggioranza.

 

"E possiamo domandarci se la maggioranza non continui a risolvere i vecchi rompicapo anche durante le rivo­luzioni. Ma se questo è vero, allora l ' intera versio­ne di Kuhn che separa temporalmente i periodi di pro­liferazione dai periodi di monismo, crolla."(6)

Quindi, sembra che l ' attiva interrelazione tra la tena­cia e la proliferazione possa rappresentare l ' effettivo sviluppo della conoscenza scientifica, la cui crescita viene deter­minata dalle spinte autenticamente innovative che, col loro ritmo incalzante e continuo, guadagnando terreno ne11 ' ambito della competizione, producono un sovvertimento dei vecchi schemi paradigmatici. E' da rilevare, pertanto, come sottolinea Feyerabend, che le innovazioni, persistenti ne11 ' ambito dell ' attività scientifica, costituiscono un vero fenomeno di ti­po "carsico" il quale diventa manifesto ed appariscente, quin­di di superficie, soltanto nelle fasi rivoluzionarie. Insod­disfatto della visione Kuhniana dello sviluppo scientifico, Feyerabend si rivolge ad un ' altra immagine della scienza che rappresenta una sintesi tra la concezione di Popper secondo cui la scienza progredisce attraverso la discussione critica di modelli alternativi e la concezione di Kuhn in merito alla funzione della tenacia (periodi di tenacia). Questa sintesi viene espressa da Lakatos il quale sostiene che proliferazione e tenacia sono sempre compresenti, e non appartengono a fasi successive della storia della scienza. Feyerabend, a questo punto, osserva come, secondo Kuhn, il percorso scientifico proceda attraverso un  avvicendamento di periodi normali e di rivoluzioni.

"I periodi normali sono monistici; gli scienziati cer­cano di risolvere i rompicapo conseguenti ai tentati­vi di vedere il mondo nei termini di un unico paradig­ma. Le rivoluzioni sono pluralistiche finché emerge un nuovo paradigma, che ottiene sufficiente appoggio da poter servire come base per un nuovo periodo norma­le. Questa versione lascia senza risposta il proble­ma di come venga compiuta la transizione da un periodo normale a una rivoluzione."(7)

Ed è per questo che Feyerabend si pone in modo critico nei confronti della proliferazione la quale, come sostiene  l ' Autore, non inizia con una rivoluzione, ma la precede, anzi, non solo sopravviene già prima di una fase di scienza straor­dinaria, ma è sempre presente. Non si parlerà più, perciò, del periodo normale e del periodo di rivoluzione, ma della