Attenzione e mistica*
di Gianfranco Bertagni - 05/01/2006
Fonte: gianfrancobertagni.it
Attenzione come tema trasversale, transculturale nella storia delle spiritualità, delle mistiche.
Attenzione spirituale e attenzione psicologica: affinità e differenze.
BUDDHISMO
Per colui il cui pensiero non divaga, la cui mente non è trascinata, che ha abbandonato bene e male, per colui che è vigile, per costui non esiste paura. (Dhammapada, 39)
Piccoli, sottili pensieri: se inseguiti, rimescolano il cuore. Non comprendendo l'effetto dei pensieri sul cuore, si corre di qua e di là, con la mente fuori controllo. Ma comprendendo l'effetto dei pensieri sul cuore, la persona vigile e consapevole li trattiene. E allorché, inseguiti, rimescolano il cuore, colui che è sveglio li lascia andare senza traccia. (Udâna, Meghiya Sutta)
È buona cosa prestare attenzione a ciò che si dice e si pensa. Il praticante attento si sente libero e allegro. (Dhammapada)
Non inseguire il passato, non crearti aspettative per il futuro. Perche' il passato non esiste piu' e il futuro non esiste ancora. Da' attenzione alle cose cosi' come sono in questo istante - proprio qui e proprio ora - senza farti tirar dentro, senza vacillare. Cosi' ti devi esercitare. Devi stare attento oggi, perche' domani, chissa', potrebbe esser troppo tardi. La morte arriva all'improvviso e non vuol sentir ragioni. Se vivrai cosi', con attenzione, giorno e notte, allora si' che potrai dirti saggio
(Bhaddekaratta Sutta, Majjhima Nikaya 131).
«Attento sia il praticante e consapevole: questo ritenete, o monaci, come nostro insegnamento. E come, o monaci, il praticante sta attento? Ecco, o monaci, il praticante, dopo aver rigettato desideri e preoccupazioni mondani, vigila attento presso il corpo sul corpo, presso le sensazioni sulle sensazioni, presso la mente sulla mente, presso gli oggetti mentali sugli oggetti mentali: così il praticante sta attento. E come il praticante è consapevole? Egli rimane consapevole nell'andare e nel venire, nel guardare e nel non guardare, nell'inchinarsi e nel sollevarsi, nel portare l'abito e la scodella dell'elemosina, nel mangiare e nel bere, nel masticare e nel gustare, nel vuotarsi di feci e di urina, nel camminare e nello stare e nel sedere, nell'addormentarsi e nel destarsi, nel parlare e nel tacere: così il praticante è consapevole. Attento sia il praticante e consapevole: questo ritenete, o monaci, come nostro insegnamento». (Buddha, "Mahâparinibbanâsutta", Digha Nikaya 16)
Colui che prima viveva immerso nella distrazione e poi diventa attento, illumina il mondo, come luna libera dalle nuvole. (Dhammapada, 172)
«Questa fu la mia scrupolosità: fui sempre consapevole nel camminare avanti e indietro, al punto ch'ero sempre colmo di compassione perfino per una goccia d'acqua, attento a non ferire alcuna delle minuscole creature annidate tra le fessure del terreno. Tale era la mia scupolosità». (Majjhimanikaya, 12)
Vivi senza bramosa avidità, colma la tua mente di benevolenza. Sii consapevole e attento, interiormente stabile e concentrato. (Anguttara Nikaya II, 29)
Così ho udito: "Riguardo ai fattori interni, non vedo nessun altro singolo fattore come la giusta attenzione che sia così importante nell'addestramento di un praticante che non abbia ancora raggiunto la meta del cuore, ma sia intento al suo conseguimento. Il praticante lascia perdere ciò che non è utile e sviluppa ciò che è utile. La giusta attenzione è la qualità del praticante in addestramento: nient'altro è così importante per il raggiungimento dell'obiettivo supremo. Il praticante, con il giusto sforzo, raggiunge la fine dello sforzo". (Itivuttaka, I, 16)
L’attenzione nell’ottuplice sentiero.
Il legame tra attenzione e moralità.
Meditazione samatha/vipassana.
Meditazione zen.
Visualizzazioni tibetane. Potremmo pensare che il tema della visualizzazione sia qualcosa di completamente lontano dalla nostra sensibilità cristiana, ma dovremmo anche ricordare che c’è anche una forma di attenzione immaginativa nella nostra tradizione: si potrebbe per esempio citare l’insegnamento di Ignazio di Loyola relativo alla visualizzazione dei misteri biblici che si stanno meditando, così da immaginarsi nella scena stessa che si sta visualizzando.
JAINISMO
Il fondatore, Mahavira, è contemporaneo del Buddha; brani tratti dal Saman Suttam, che potremmo definire la ‘Bibbia’ dei Jaina.
"Secondo le scritture, l'individuo è sia violento sia non violento. Quando è attento è non violento, quando è disattento è violento. [...]
La disattenzione è la causa dell'afflusso del karma. L'attenzione lo ferma. Chi non è attento è ignorante, chi è attento è saggio.
L'ignorante non può distruggere i karma attraverso le proprie azioni, mentre il saggio può distruggere i karma attraverso l'inazione, ovvero controllando le proprie azioni in modo da essere libero dall'avidità e dalle bramose passioni; essendo pago, non commette nessun peccato.
Chi non è vigile si sente costantemente minacciato dalle paure; invece chi è vigile non prova nessuna paura. [...]
O esseri umani, siate sempre vigili! Chi è costantemente all'erta acquisisce sempre più conoscenza. Chi non è vigile non è beato. Chi è vigile è sempre beato.
La persona compassionevole, vigile e rispettosa delle altre vite, la persona che è sempre cauta quando solleva e sistema una cosa, quando urina, quando defeca, quando si muove e quando dorme è realmente una seguace della non-violenza".
Anche qui attenzione e moralità, soprattutto attenzione e non violenza – tipico del Jainismo.
Krishnamurti e la “consapevolezza senza scelta”, cioè non reattiva. Gurdjieff e il ricordo di sé.
FILOSOFIA ANTICA
Soprattutto per lo stoicismo la filosofia era qualcosa da praticare ogni istante, con un’attenzione (prosoché) rinnovata senza sosta e indirizzata al momento presente. Grazie a questa attenzione, il filosofo è sempre cosciente riguardo a quello che fa e quello che pensa, e anche riguardo a quello che è, cioè inserito – nell’ottica stoica – all’interno della Ragione universale che tutto regola. Così il filosofo attento vive di continuo in presenza di questa Ragione, di questo Logos, immanente nel cosmo, vedendo ogni cosa nella sua prospettiva.
Attenzione verso il presente, vigilanza di sé. E rapporto dell’attenzione con il ricordo della morte.
“Che ogni giorno la morte sia davanti ai tuoi occhi, e mai avrai alcun pensiero basso né alcun desiderio eccessivo” (Epitteto, Manuale). Tra l’altro Epitteto dedica un intero capitolo delle sue Diatribe al tema della prosoché, dell’attenzione.
“Agire, parlare, pensare sempre come chi può in qualsiasi momento uscire dalla vita”.
“Compi ogni azione della tua vita come fosse l’ultima, tenendoti lontano da ogni superficialità”.
“Ciò che porta alla perfezione nel modo di vivere è di trascorrere ogni giorno come fosse l’ultimo” (Marco Aurelio)
E poi sul tema dell’attenzione in modo più preciso:
“In tutte le cose e in ogni istante, dipende da te compiacerti devotamente di ciò che accade presentemente, comportarti con giustizia con gli uomini presenti ed esaminare con metodo la rappresentazione presente, per non ammettere nel pensiero nulla che sia inammissibile”
“Cerca di mettere a profitto l’attimo presente [...]. Devi essere vigilante, anche quando ti diverti”
“Devi trovare gioia e pace in un’unica cosa: passare da un’azione di utilità per la comunità a un’altra azione che lo sia parimenti, tenendo vivo in te il ricordo di Dio”
“Devi far penetrare la tua mente in ciò che in questo istante avviene e si fa”
“Rivolgi l’attenzione al soggetto, all’azione, all’opinione, al significato”
L’esercizio dell’attenzione verso di sé era caratteristico anche di Plotino, come ci riporta il suo biografo Porfirio: “La sua attenzione per se stesso non
si allentava mai, se non durante il sonno, che d’altronde il poco cibo [...] e il continuo volgersi del suo pensiero verso l'intelletto gli impedivano”. Cosa che non impedisce a Plotino di occuparsi degli altri. Egli è tutore di diversi bambini che alcuni membri dell’aristocrazia romana gli affidano alla loro morte, e si occupa della loro educazione e dei loro beni. Emerge qui che la vita contemplativa non annulla l’attenzione per gli altri, e che questa attenzione può benissimo conciliarsi con la vita secondo lo spirito (Pierre Hadot). Infatti Plotino, pur rimanendo a disposizione di tutti, dice sempre Porfirio, “non allentava mai, nello stato di veglia, la tensione verso l’Intelletto”, “egli era presente nello stesso tempo a se stesso e agli altri”. Differenza rispetto all’attenzione psicologica.
Kavvanah (attenzione, concentrazione o intenzione) nella mistica ebraica: si applica la kavvanah nella preghiera, sia vocale che mentale; o anche nella lettura del testo sacro.
Dhikr e Moraqabah.
La ripetizione del nome di Dio o della formula “Non c’è altro dio all’infuori di Allah” (La ilaha illa Allah), oppure “Allah Akbar” (Dio è grande) è volta alla totale cattura dell’attenzione verso Allah rispetto alla realtà molteplice e distraente del mondo.
Questa pratica è spesso connessa con lo stato di Moraqabah (consapevolezza o contemplazione): secondo una classica definizione, la moraqabah consiste nel trovarsi sul sentiero che porta ad Allah in ogni momento della propria vita, sentendo la sua Gloria, la sua vicinanza e la gioia conseguente. Ad esempio nelle regole della confraternita sufi Naqshbandi (una delle più importanti) si legge: “il cercatore deve fare Dhikr [...] fino a raggiungere lo stato di contemplazione del proprio cuore (muraqaba). Questo stato sarà raggiunto recitando ogni giorno [...] un numero di volte compreso tra 5.000 e 10.000, rimuovendo dal cuore gli elementi che lo oscurano e lo arrugginiscono. Questo Dhikr pulisce il cuore e porta il cercatore nello stato della Manifestazione. Egli deve mantenere questo Dhikr giornaliero, attraverso la lingua o il cuore, ripetendo Allah”. Per dirla con i termini di un shaik sufi, Abd-al Quadir: “La vigilanza ha avuto inizio nel momento in cui la meditazione del Nome si è guardata dalle azioni scorrette dell’io. Si è quindi approfondita divenendo attenzione basata sulla meditazione del nome, la quale impedisce l’accesso di qualsiasi «altro» alla consapevolezza”.
Passi biblici:
“Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano” (1 Ti. 4:16).
“Bada a te stesso per non cadere”. (Sir 29, 20)
“Bada a te stesso per non cadere in tentazione” (Gal 6, 1)
“Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti” (1 Cor. 16, 13)
“Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1 Pt 5, 8)
“Beato l’uomo che mi ascolta, vegliando ogni giorno alle mie porte, per custodire attentamente la soglia” (Prov. 8, 34)
“Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! E’ il mio diletto che bussa: «Aprimi sorella mia»” (Cant. Dei Cant. 5, 2)
“Vegliate dunque, perchè non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24, 42)
“State pronti” (Mt 24, 44)
“Vegliate e pregate in ogni momento” (Lc 21, 36)
“Vegliate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi, profittando del tempo presente” (Ef 5, 15-16)
“Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!” (Mc 13, 37)
“State in guardia perché il vostro cuore non sia sedotto” (Dt 11, 16)
“Fa attenzione, affinché nel tuo cuore non si celi una parola d’ingiustizia” (Versione greca di un passo del Deuteronomio – 15, 9)
Quest’ultima citazione soprattutto è stata usata per una serie di riflessioni da parte di asceti e mistici relativamente alla necessità della vigilanza, dello stare attenti.
“Attende tibi ipsi” – predica di Basilio di Cesarea (IV sec.):
(http://newsgroup.notizie.virgilio.it/newsgroup/thread.jspa?threadID=4611686018428011716&tstart=0)
Pensa a te stesso; sii sobrio, ascolta i consigli, controlla il presente [...]
Non trascurare, per indolenza, il presente [...]
E` la malattia dell`ignavo, veder nella veglia gli oggetti d`un sogno. Per reprimere questa sfrenatezza di mente, la Scrittura enunzia il sapiente precetto: "Pensa a te stesso" [...]
non è piú facile curiosare nelle cose altrui, che pesare le proprie cose. Perciò finiscila di andare a scovare nei mali altrui, guardati dal frugare nelle malattie altrui, volgi gli occhi e scruta te stesso. [...]
Non cessar mai di esaminarti se la tua vita si attiene al precetto; ciò che è intorno a te, non lo guardare, perché non ti si presenti l`occasione di imitare quel fariseo, che giustificava se stesso e disprezzava il pubblicano [...]
Chiediti sempre se hai peccato in pensieri, se la lingua sia stata troppo facile, se la mano sia stata temeraria [...]
E se troverai che hai peccato molto (e lo troverai, perché sei uomo), usa le parole del pubblicano: "Dio, abbi pietà di me peccatore" (Lc 18,13). Bada a te stesso. Questa parola ti starà bene nel felice successo, quando la tua nave è portata dalla corrente, e ti gioverà nei momenti difficili, in modo che non diventi orgoglioso nel fasto e non disperi nell`avversità. Ti senti grande perché sei ricco? T`inorgoglisci per la nobiltà dei tuoi antenati? Ti glorii della tua nazione, bellezza, onori ricevuti? Pensa a te stesso: Sei mortale; vieni dalla terra e tornerai nella terra. [...]
Ciò che è fatto inconsapevolmente dagli animali può essere fatto da noi attraverso attenzione accurata ed esercizio costante della nostra facoltà ragionevole. [...]
Porta attenzione a te stesso, perché tu sei capace di discernere tra il nocivo e il benefico. [...]
Fai attenzione a te stesso per fare attenzione a Dio.
Sempre Basilio nelle sue regole dice: Bisogna sorvegliare, con piena vigilanza, i nostri cuori, affinché non lascino mai sfuggire il pensiero di Dio.
«“Bada”, dice, “a te stesso”. Sta’ saldo per non cadere, [...] spia con attenzione il nemico, perché di notte non strisci sino a te; [...] Bada a te stesso, perché hai una carne pronta a cadere. [...] Bada a te stesso, perché le parole celate nel tuo cuore non siano inique; serpeggiano infatti come veleno e causano contagi mortali. Bada a te stesso, per non dimenticare Iddio che ti ha creato e non pronunciare inutilmente il suo nome» (cfr. Ambrogio (IV sec.) nel suo commento ai giorni della creazione).
Tra l’altro possiamo segnalare che nella Cappella Niccolina in Vaticano, il Beato Angelico mette nel libro tenuto aperto da Giovanni Crisostomo la stessa frase nella versione latina: Attende tibi ipsi ne forte fiat in corde tuo occulta impiave cogitatio (attendi a te stesso, perché non sorga nel tuo cuore alcun pensiero occulto o empio).
Sant’Antonio (tra il III e il IV sec.), secondo la vita narrataci da Atanasio, ricevette dal cielo questo invito: Bada a te stesso. Questa ingiunzione, che veniva posta nella prima pagina dei Apoftegmi, fu un invito per tutti a porre attenzione ai propri moti interiori. E nel giorno della propria morte le sue parole furono indirizzate ai suoi discepoli furono: “Vivete come se doveste morire ogni giorno, facendo attenzione a voi stessi e ricordandovi delle mie esortazioni”. Attenzione al presente, a se stessi, ricordo della morte, saranno sempre legati nella tradizione monastica, così come nella filosofia classica.
”Abba Antonio, scrutando l’abisso dei giudizi di Dio, chiese: «Signore, come mai alcuni muoiono in giovane età, altri vecchissimi? E perché alcuni sono poveri e altri sono ricchi? E come mai degli ingiusti sono ricchi e dei giusti sono in miseria?». E giunse a lui una voce che disse: «Antonio, bada a te stesso. Questi giudizi spettano a Dio e non guadagni nulla a saperli»” (Dai Fatti e detti di S.Antonio): proprio questa risposta spinse Antonio alla propria scelta radicale. Questa formula (Bada a te stesso, appunto Attende tibi ipsi), è usata spesso negli apoftegmi ed è intesa come un invito alla compunzione, al raccoglimento, alla vigilanza, al preoccuparsi della propria anima invece che degli altri. C’è il problema per il quale darsi all’esterno, all’esterno della propria interiorità, all’esterno della propria cella, ci conduce fuori di noi. Antonio stesso dice in un altro suo detto: che “non accada che, attardandoci fuori, dimentichiamo di custodire il di dentro”.
Nella vita di Antonio scritta da Arsenio si legge: “Voleva vigilare su se stesso e mantenere la mente raccolta e più speditamente immersa in Dio. A sua volta quest'uomo santo concentrava nel suo intimo il pensiero per innalzarlo senza fatica a Dio”.
DETTI DEI PADRI DEL DESERTO (tra il III e il VI sec., nei deserti di Scete e di Nitria, di Palestina e di Siria)
“Attenti a non mostrar compiacenza verso un solo cattivo pensiero”
“Compito del monaco è veder giungere fin da lontano i propri pensieri”
“Ciascuno custodisca il suo cuore con attenta vigilanza”
“A ogni pensiero che ti sopravviene tu domanda: sei dei nostri o vieni dal nemico? E non potrà non confessartelo”
“L’oblio è la radice di tutti i mali”. Cosa che farà dire a Simone Weil: La disattenzione è il più grande dei peccati. Sant’Antonio Maria Zaccaria (siamo nel 1500) scrive: “Il demonio non è solito vincere, se non i distratti”.
Un anziano parlò intorno ai pensieri impuri: “È per negligenza che noi li tolleriamo; perché se fossimo convinti che Dio abita in noi, mai vi introdurremmo qualcosa di estraneo”
Questo nostro riferimento agli apoftegmi ci perme di ricordare che queste brevi narrazioni delle vicende dei padri del deserto, queste brevi affermazioni, facilmente memorizzabili, avevano la stessa funzione che era propria di analoghe formule, nelle diverse scuole filosofiche “pagane” (pensiamo alle scuole stoiche, alle neoplatoniche, ma anche – per citare un altro caso - alle scuole pitagoriche e neopitagoriche, anche alle epicuree. Pensiamo anche ai numerosi esempi letterari che troviamo nella vita dei filosofi di Diogene Laerzio), nelle quali appunto spesso e volentieri si trattava di memorizzare certe regole, certe “verità”, certi precetti, certe sentenze, che potevano tornare di utilità nella vita quotidiana. Anche questo è da considerarsi esercizio di attenzione: memorizzare, rimemorare, meditare, avere costantemente “sotto mano” i principi della propria filosofia. La meditazione degli esempi e delle sentenze deve essere costante: Epicuro ed Epitteto raccomandavano che ci si applicasse giorno e notte. Anche Doroteo di Gaza (VI sec.), sul fronte cristiano, consiglia di meditarli senza tregua: “Meditate incessantemente i suoi consigli nei vostri cuori, fratelli. Studiate le parole dei santi Vegliardi”; “Se conserviamo nella memoria ... i detti dei santi Vegliardi, e li meditiamo senza tregua, ci sarà difficile peccare”. Ma potremmo ricordare l’invito di Antonio ai suoi, prima di morire: di ricordarsi delle sue esortazioni.
E’ soprattutto la tradizione cristiano-orientale a soffermarsi sul tema dell’attenzione.
Ad esempio alcune frasi di Doroteo di Gaza (VI sec.):
“Facciamo dunque attenzione a noi stessi, fratelli, siamo vigili, finché ne abbiamo il tempo”
“La conoscenza dei loro peccati è propria solo di coloro il cui intelletto non si lascia mai sottrarre il ricordo di Dio”.
Occorre “chiudere tutte le uscite dell’intelletto con il ricordo di Dio”
“Propria di un uomo amico della virtù è la caratteristica di consumare senza tregua, col ricordo di Dio, quanto c’è di terrestre nel suo cuore”
Bada a te stesso perché il male che ti separa dal fratello non si trovi in te piuttosto che in lui (Massimo il Confessore)
Bada a te stesso... Osservati e vedrai: appena l'anima si innalza di fronte al fratello, immediatamente segue qualche pensiero che non piace a Dio, ed allora è necessario che l'anima si umili (Silvano del Monte Athos). C’è la differenza rispetto alla consapevolezza senza scelta di Krishnamurti o anche rispetto al Buddhismo, per cui non basta l’osservazione distaccata per risolvere le cose: è necessario poi reagire al male con il bene: in questo caso l’orgoglio viene combattuto con l’umiltà.
Ma tutta la tradizione mistica ortodossa, con la sua acutissima analisi dell’esicasmo, è una continua riflessione sul tema dell’attenzione. Basti citare Niceforo il Solitario, in questo famoso brano che è una sorta di elogio dell’attenzione: “Alcuni dei santi hanno detto che l’attenzione è sorveglianza della mente, altri che è custodia del cuore, altri, sobrietà, altri, quiete [esychía] della mente e altri altre cose. Ma tutte queste sono un’unica e medesima definizione […]. Impara bene che cosa è attenzione e che cosa sono le sue proprietà. Attenzione è indizio chiaro di conversione; attenzione è invocazione dell’anima, odio del mondo e ascensione a Dio; attenzione è rifiuto del peccato e ricupero della virtù; attenzione è piena, indubitabile certezza del perdono dei peccati; attenzione è principio, o meglio, fondamento di contemplazione, giacché per essa Dio si affaccia e si manifesta alla mente; attenzione è imperturbabilità della mente, o meglio, è lo stato di imperturbabilità ["il suo stato immobile"] data in premio all’anima, dalla misericordia di Dio. Attenzione è purificazione dei pensieri, tempio del ricordo di Dio, custode della sopportazione di ciò che sopravviene; attenzione è causa, insieme, di fede, speranza e carità”. Ecco, questo brano, là dove dice che l’attenzione è quello stato di imperturbabilità dato in premio all’anima da Dio, ci ricorda un’altra grande differenza tra la pratica dell’attenzione medesima in contesto monoteistico e quello di stampo orientale: cioè l’attenzione è in questi casi un conditio sine quae non, è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’unione con Dio, per un colloquio intimo con Lui. Non è cioè un meccanismo, un esercizio che se praticato dovutamente conduce di per sé a vita mistica: è sempre Dio, nella sua libertà e nella sua misericordia, che ha l’ultima parola. L’attenzione è invece una specie di fare piazza pulita, di svuotare il vaso per potere accogliere l’unico invitato.
L’attenzione intesa come applicazione dello spirito sarà continuamente meditata dai maestri della mistica cristiano-orientale. Ad esempio Evagrio lega strettamente preghiera e attenzione; scrive: “Se c’è una cosa che segue la preghiera, questa è l’attenzione. Bisogna dunque sforzarsi in essa”. In questo senso, una funzione dell’attenzione è volta alla preghiera vocale, nella quale spesso si recita in modo distratto, non consapevoli delle parole che si stanno pronunciando (già abbiamo parlato di questo riguardo alla tradizione mistica ebraica). Per dirla con le parole di Giovanni Crisostomo: «Molti entrano in chiesa; recitano innumerevoli versetti della preghiera, poi vanno via; ma non sanno ciò che hanno detto. Le loro labbra si agitano e il loro orecchio non ascolta”. Per dirla con Niceforo: “Lo spirito, ritirandosi dalle cose sensibili, custodendosi dalle sensazioni di fuori e raccogliendo tutti i suoi pensieri, avanza, dimentico di tutte le vanità, fa l'esame dei suoi pensieri, applica la sua attenzione alle domande che la sua bocca rivolge a Dio”. Poi naturalmente c’è un’applicazione dell’attenzione alla preghiera silenziosa: nella preghiera, dice Basilio, l’anima si perde facilmente in questioni inessenziali, spesso cade in stati di pigrizia e noncuranza, perché manca la fede nella reale presenza di Dio in noi. Queste distrazioni vanno allora combattute con un vivo sentimento di questa presenza.
Nella raccolta della Filocalia troviamo una definizione di attenzione dataci da Esichio: “L’attenzione è il silenzio interrotto del cuore da ogni pensiero”; e poi ancora: “Non bisogna sospendere l’attenzione neppure un attimo, perché i ladri non sono pigri”. Quindi in questo senso l’attenzione è purificazione dei pensieri, imperturbabilità dell’intelletto, fondamento della contemplazione.
Naturalmente il rapporto tra attenzione e preghiera è spesso ribadito anche nella mistica cristiana occidentale. Francesco di Sales (fine 1500 - inizi del 1600) afferma che ogni definizione della preghiera implica l’attenzione, e in particolare la contemplazione è definita da lui come “una amorosa semplice e costante attenzione dello spirito alle realtà divine”. Oppure si potrebbe fare riferimento alla famosa “attenzione amorosa” di cui parla Giovanni della Croce: ai proficienti egli suggerisce di immergersi in quella contemplazione che consiste nel piacere di “starsene soli con attenzione amorosa in Dio, senza considerazione particolare, e in pace interiore, quiete e riposo”. Oppure scrive ancora: “Quando Dio pone l’anima nello stato di contemplazione, ella deve andare a Dio soltanto con attenzione amorosa, senza emettere atti particolari. Deve, ripeto, comportarsi passivamente, senza fare nessuno sforzo da se stessa, conservando per Dio un'attenzione amorosa, semplice e pura, come chi apre gli occhi per guardare con amore”.
Per ricitare Simone Weil: “l’attenzione è l’essenza della preghiera”. In un suggerimento dato in una sua opera minore, Giovanni scrive: “Conservi la serenità spirituale nell’attenzione amorosa a Dio e, quando è necessario parlare, lo faccia con la stessa serenità e la stessa pace”.
Non diversamente Malebranche (1600) darà questa definizione cristallina dell’attenzione: “L’attenzione è la preghiera naturale dell’anima”.
*Appunti per la conferenza su “Attenzione e mistica”, presso il Corpus Domini di Bologna