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Elezioni presidenziali Serbia

di Ennio Remondino - 21/01/2008





 

Un po' come alla vigilia dei bombardamenti Nato del 24 marzo del 1999. A Belgrado tutti sapevamo che sarebbe accaduto, tutti temevamo la tragedia, ma nessuno pensava che quella guerra potesse essere una cosa seria. Oggi è una vigilia della vigilia, e anche oggi c'è la percezione di un dramma che sta per arrivare a compimento, senza che nessun possa sperare che il mondo riuscirà a mettere in piedi una cosa seria. Si vota in Serbia, si pensa al Kosovo, e si pianifica, con accurata incoscienza, il nulla. La strategia dello “speriamo in bene”.

Probabilmente il caso Kosovo passerà alla storia come la crisi politica moderna più prevista e meno fronteggiata di tutte. L'occasione, oggi, sono le elezioni presidenziali che si stanno svolgendo in Serbia. Primo turno, sapendo tutti che si deciderà col ballottaggio, tra quindici giorni. Sapendo tutti che tra quindici giorni, o giù di lì, il Kosovo albanese si proclamerà indipendente da Belgrado, mentre il poco di Kosovo a maggioranza serba che rimane, si renderà indipendente da Pristina. Sapendo tutti che la soluzione di forza anti serba voluta dagli americani sarà soltanto l'inizio di un'infinita serie di guai. Tutti sanno tutto, ma nessuno sembra volere o poter fare nulla. Soltanto buoni propositi, in una catena di ipotesi, azzardi, forse, se e ma.

Vediamole le maglie di questa catena di arzigogoli. La Serbia, ha sentenziato la politica occidentale-atlantica, deve subire l'amputazione del Kosovo in espiazione dei peccati di Milosevic. Se ingoia il rospo senza agitarsi troppo, forse, le apriremo le porte del purgatorio d'attesa per il lontano paradiso dell'Unione europea. La Russia si arrabbia, ma non troppo, è la seconda premessa, tutta ancora da verificare. L'Europa dell'Unione, da parte sua, deve far finta d'essere monolitica, anche se ognuno dei 29 la pensa a modo proprio. A queste premesse incoraggianti segue il rosario dei se e dei ma.

Uno: si vota per il nuovo Presidente della Serbia democratica. Il blocco dei paesi Nato fa il tifo per il presidente uscente, il filo europeo Boris Tadic. Potrebbe farcela ma potrebbe anche perdere. Torneremo sull'argomento. Due: per aiutare Tadic contro l'ultra nazionalista Toma Nikolic (oltre agli “aiutini” già dati), l'Unione europea, il 28 gennaio, nel pieno della battaglia elettorale tra primo e secondo turno, vorrebbe offrire alla Serbia (al candidato Tadic) la possibilità di firmare l'accordo di Associazione verso l'Ue. Il Parlamento serbo, praticamente all'unanimità ha già detto che chi tocca il Kosovo non è amico con cui associarsi in nulla. L'Olanda, sull'altro fronte, insiste per avere prima, dalla Serbia, la testa del ricercato generale Mladic. Forse per compensare la vita dei settemila musulmani consegnati al macello dello stesso Mladic dai suoi caschi blu a Srebrenica.

Tre: sempre il 28 a Bruxelles, i ministri europei dovrebbero anche dare il via alla missione UE per il Kosovo, destinata a subentrare all'Onu nel tenere a balia il neonato stato indipendente. Sulla base di quale mandato internazionale? Quando mai sarà operativo questo “governatorato”? Quattro mesi, minimo, di preparazione, dicono gli esperti di burocrazia europea. Sulla scia di Srebrenica, a guidare l'avventura troveremo un altro olandese. Finesse diplomatica, come la nomina dell'ex “mediatore” Onu, il finlandese Ahtisaari, che prima fece firmare alla Serbia il cessate il fuoco di Kumanovo giurando sulla intangibilità del Kosovo serbo, per poi dire, otto anni dopo, “C'eravamo sbagliati”. Nel frattempo, a stare nel mezzo all'incerto che incombe, oltre ai militari Nato, sarà la sempre più discussa missione Civile Onu.

Quattro: il Kosovo albanese si proclamerà indipendente tra pochissimo. Le date previste e/o sperate somigliano ad una riffa. Gli Stati Uniti spingono per il 6 febbraio, forse per abituare da subito il neo presidente serbo, non ancora insediato, alla dose programmata di umiliazioni. L'Unione europea conta sul 15 febbraio, per dare tempo a Tadic (Se, ipotetico, maiuscolo), di essersi almeno insediato nella carica. La Spagna (per fare il nome di uno dei molti stati europei scettici), vorrebbe invece che fosse dopo le sue elezioni politiche dell'8 marzo, per non dare ulteriori spunti ai suoi separatisti Baschi. Verrebbe da proporre il 24 marzo, per assemblare in un'unica data l'inizio dei bombardamenti Nato e la loro logica conclusione.

Quinto: la polveriera di Kosovska Mitrovica. Certamente i serbi della parte nord si appelleranno alla risoluzione Onu 1244, confermandosi cittadini e parte della Serbia. Sul “confine etnico” del Fiume Ibar cosa accadrà? Guerra, guerricciola, scaramucce, o c'è qualche accordo spartitorio segreto? Il ponte sull'Ibar sarà chiuso o rimarrà come fragile possibilità di collegamento tra i due Kosovo? La polizia kosovara, creata su base etnica, da chi piglierà gli ordini e con quale divisa, tra due o tre settimane, in quel nord? Risposte poche, decisioni ancora meno.

Torniamo per un attimo alle elezioni presidenziali serbe. Oggi l'allenamento, tra due settimane la partita decisiva. Le diplomazie presenti a Belgrado valutano che saranno poco più di 3 milioni i serbi che andranno a votare. 1 milione e 300 mila voti a Nikolic, e 1 milione e 100 mila a Tadic, è la previsione massima nel voto di oggi, poi i voti dei candidati di bandiera dei diversi partiti, a raccogliere più o meno 700 mila voti. Al secondo turno, i voti dei socialisti orfani di Milosevic andranno certamente a Nikolic. Tutto ancora da contrattare invece il sostegno elettorale del Premier Vojslav Kostunica a Tadic, dove anche l'eventuale sostegno formale non garantirebbe quella compattezza e quella unicità di indirizzo dei seguaci di Kostunica nei confronti del presidente uscente. Se domani lo stacco tra Nicolic e Tadic dovesse aggiransi sui 300 mila voti, il risultato finale potrebbe insomma riservare grandi sorprese.

Emblematici di tanta incertezza, modi e toni dei comizi conclusivi di questo primo tempo elettorale. Tutti i candidati ad inseguirsi sulla intangibilità del Kosovo serbo. Soltanto che Nikolic ha parlato al suo elettorato di sempre con gli argomenti di sempre, con l'aggiunta di una sapiente moderazione dei toni. Il presidente uscente è stato costretto invece ad inseguire su argomenti e toni nuovi per le orecchie del proprio elettorato tradizionale. Per la prima volta l'ho visto esibire le tre dita della "serbitudine" più tradizionale al posto delle kennediane mani aperte. Un po' come immaginare Veltroni oggi ad esibire il pugno chiuso. Le analisi condotte dal centro studi Cesid danno a Tadic una possibilità di vittoria sul filo di lana, col massimo del 2 per cento, ma nessuno, neppure in casa democratica è disposto a scommetterci.

Come accade nel gioco dell'oca, a questo punto, tutto rischia di tornare alla casella di partenza. Se vince Nikolic, che invoca la Russia come madre e Putin come padre, quali grandi strategie riuscirà ad immaginare l'Europa, visto che tutti i passaggi puntavano ad una sostanziale accettazione serba dell'atto di forza sul Kosovo? L'ultimo dubbio è per casa nostra. Quale maggioranza sarà in grado di sostenere in Parlamento il riconoscimento italiano al Kosovo albanese indipendente?