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La crisi del Gattopardo

di Alessio Mannino - 23/01/2008

     

 

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Il governicchio Prodi è agli sgoccioli. O forse no. L'uscita dalla maggioranza del partitocrate di Ceppaloni e del suo partito-famiglia Udeur è l'ennesimo scricchiolio di un centrosinistra tenuto su con lo sputo (e con la fame di potere clientelare). Prodi e la sua compagine brancaleonesca stanno ormai sulle scatole un po' a tutti: a Confindustria che vedrebbe meglio una Grande Ammucchiata ("governo delle riforme"); al Vaticano, che orfano della Dc (che almeno lo rintuzzava, vecchia cara Dc) parla - e non a torto, anche se pro domo sua - di Italia in declino; e soprattutto agli italiani, che fra mutui da pagare, salari ridicoli, soldi pubblici depredati e inflazione da euro-truffa devono combattere quotidianamente per la sopravvivenza. Gli sono rimaste amiche le banche, all'uomo della banche Prodi. Ma ci pensa lo scalpitante Veltroni a succedere nelle loro grazie.
Se pare assurdo e macchettistico che il governo di un Paese cada perchè un ministro scambia un'inchiesta penale con il pretesto per alzare il proprio prezzo sul mercato politico, possiamo tranquillamente affermare che un altro inquilino a Palazzo Chigi non cambierà di una virgola lo stato comatoso di questa Repubblica fondata sulle lobby. Lo spettacolino sulle bozze di legge elettorale messo in piedi dal teatrino romano e il referendum alle porte per un nuovo imbroglio della "rappresentanza" lo confermano: questi qui pensano solo a stare a galla, loro, i loro famigli e i loro padroni.
Cade un governo ma l'Italia non cambia. Come sempre.