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Calcolando i danni inflitti ai poveri

di Marinella Correggia - 23/01/2008

 

Da tempo si parla di «debito ecologico» per indicare l'impatto dei danni ambientali prodotti dalle nazioni più ricche, che più hanno attinto e attingono al patrimonio naturale globale e che più hanno contribuito e contribuiscono al riscaldamento climatico. Ha cercato di quantificare questo debito - in modo sistematico e con risultati stratosferici - una ricerca di recente pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), realizzata da due docenti dell'Università di Berkeley in California. E' la prima analisi globale sistematica di questo tipo sulle esternalità ambientali a livello globale.
Sono stati presi in esame 40 anni, dal 1961 al 2000. I dati di riferimento sono stati quelli del Millennium Ecosystem Assessment delle Nazioni Unite (uno studio durato quattro anni e pubblicato nel 2005, che ha cercato di individuare i cambiamenti subiti dagli ecosistemi e sviluppare scenari per il futuro) e quelli della Banca mondiale.
I ricercatori hanno analizzato le esternalità ambientali negative ovvero i costi che non sono compresi nei prezzi pagati per i beni ma che riguardano il danno ecologico legato la loro consumo. Si sono concentrati su sei fattori: cambiamenti climatici (il maggior danno inflitto ai poveri), assottigliamento della fascia di ozono, agricoltura, deforestazione, sovrasfruttamento delle risorse ittiche, conversione delle aree costiere a mangrovie in allevamenti di gamberetti. Per le difficoltà di valutazione oggettiva, hanno invece ignorato fattori di enorme peso come la perdita degli habitat e della biodiversità, gli effetti dell'inquinamento industriale, e quelli delle guerre. Ecco perché gli stessi autori definiscono le loro stime «al ribasso».
Sono stati posti a confronto i paesi a reddito basso (fra questi Nigeria, Vietnam e Pakistan), quelli a reddito medio (Brasile, Cina) e quelli a reddito elevato (Gran Bretagna, Stati uniti, Giappone). Conclusione: ci sono disparità enormi nell'impronta ecologica determinata dai paesi ricchi e da quelli poveri sul resto del mondo, a causa delle differenze nei consumi rispettivi e il danno ambientale causato alle nazioni povere sarebbe ben più rilevante dell'intero debito estero di queste ultime. Il danno ecologico infatti ha pesato per 2,5 trilioni di dollari sui paesi più poveri e per 4,9 trilioni su quelli a medio reddito; questi ultimi hanno a loro volta «esportato» danni per 2,5 trilioni di dollari verso i paesi poveri - uguagliando quindi il peso generato dalle nazioni più avanzate - e per 2,7 trilioni di dollari verso i paesi più ricchi. I paesi più poveri hanno invece generato un danno ecologico-economico di 1,2 trilioni di dollari ai paesi di reddito medio e di soli 0,68 trilioni di dollari a quelli più ricchi.
Andando nel merito dei singoli fattori, è da notare che alcuni, come la deforestazione e l'intensificazione dell'agricoltura, hanno effetti che ricadono sugli stessi luoghi che li realizzano, mentre altri passano più agevolmente le frontiere e in questi casi la direzione principale è sempre dal Nord al Sud del mondo. Le emissioni di gas serra dai paesi a basso reddito avrebbero provocato 740 miliardi di dollari di danni ai paesi ricchi, mentre questi ultimi avrebbero danneggiato i poveri (si pensi ad esempio alle crescenti inondazioni) per 2,3 trilioni di dollari. Allo stesso modo, le emissioni di gas cfc (clorofluorocarburi, nemici della fascia di ozono) da parte dei paesi ricchi in quei decenni avrebbero provocato ai paesi più poveri danni calcolabili fra 25 e 57 miliardi di dollari (si pensi alle spese affrontate per il moltiplicarsi di tumori alla pelle e malattie oculari); il danno provocato al Nord dal Sud invece si sarebbe limitato a una cifra compresa fra 0,58 e 1,3 miliardi di dollari.
Insomma, come hanno spiegato gli autori della ricerca, «c'è un debito verso i poveri, e questo debito è una delle ragioni per le quali essi sono poveri» ha spiegato uno degli autori, il quale ritiene che il rapporto sarà quasi ignorato dai decisori politici.