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La misura della sostenibilità

di Pietro Greco - 24/01/2008

L’idea era stata sottolineata, con forza, dal rapporto Our Common Future pubblicato venti anni fa dalla Commissione Brundtland: lo sviluppo è tale solo se è nel medesimo tempo socialmente ed ecologicamente sostenibile. Non possiamo salvaguardare l’ambiente in un contesto sociale degradato, non ci può essere reale aumento del benessere dell’uomo in un ambiente degradato.

La storia degli ultimi decenni ci dice che queste due dimensioni della sostenibilità sono purtroppo divergenti. Misurando lo sviluppo sostenibile, nazione per nazione, negli anni compresi tra il 1975 e il 2003, Mathis Wackernagel, del Global Footprint Network di Oakland in California, e alcuni suoi collaboratori americani ed europei, hanno infatti verificato – e ne hanno dato notizia sulla rivista Ecological Economics – che quasi ovunque nel mondo l’indice di sviluppo umano è aumentato. Ma nel contempo è aumentata anche l’impronta umana sull’ambiente.

Tra i 93 paesi di ogni parte del mondo presi in esame nell’arco di un trentennio, solo cinque (Burundi, Congo, Costa D´Avorio, Malawi e Uruguay) hanno visto migliorare la qualità sociale senza veder peggiorare la qualità ambientale. Solo uno tra i paesi che hanno un elevato indice di sviluppo umano ha diminuito la sua impronta ecologica. E solo uno (Cuba) ha sia un indice di sviluppo umano (superiore a 0,80) sia un’impronta ecologica (inferiore a 1,0) sostenibile.

L’indagine di Mathis Wackernagel e dei suoi colleghi dimostra che lo sviluppo sostenibile non è una dimensione astratta, ma qualcosa che si può misurare. E dimostra anche che la dinamica delle sue due componenti principali non è sempre coerente. Anzi, continua a essere quasi sempre divergente.

Tuttavia un’altra ricerca socioeconomica pubblicata dal norvegese Haakon Vennemo e da un gruppo di suoi colleghi sulla medesima rivista dimostra che nella Cina dello sviluppo economico impetuoso una serie di parametri ambientali come le emissioni di polveri sottili, di zolfo, di anidride carbonica e di metano sono aumentati, almeno in termini relativi. Per produrre una medesima quantità di reddito oggi i cinesi inquinano meno che in passato. Sono ecologicamente più efficienti. La Cina sta realizzando quello che gli economisti chiamano “il salto di rana”. Il guaio è che l’economia cinese cresce molto più velocemente dell’efficienza ecologica. Cosicché le emissioni totali di inquinanti in Cina aumentano, malgrado l’intensità di inquinamento per unità di prodotto diminuisca.

Il mondo è molto cambiato negli ultimi trent’anni. La consapevolezza dei problemi ambientali globali e locali è enormemente aumentata. Ma le due domande di fondo poste dalla Commissione Brundtland restano ancora aperte: come rendere coerente la dimensione sociale e la dimensione ecologica dello sviluppo? Come far sì che l’efficienza ecologica amenti più velocemente della produzione di beni materiali?