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Ritorno ai beni comuni: l’uso civico della terra.

di Mario Cecchi - 25/01/2008

Fonte: selvatici.noblogs.org



A proposito della legge sugli usi civici

Nel marasma della politica che ha inquinato e sta inquinando gli usi
civici, è bene che anche gli utenti, “il popolo minuto”, faccia
sentire la propria voce.
Non è con i cavilli o con le questioni di principio che si risolvono i
problemi connessi agli usi civici, al diritto, all’ambiente, non è con
le prese di posizioni plateali o con i paroloni che si sciolgono i nodi
dell’interpretazione delle leggi. E’ fin troppo ovvio che è una
materia scottante e pregna di attualità e di importanza per cui viene
sempre dibattuta, sulla quale ci si dà un gran da fare per nasconderne la
rilevanza e gli abusi che sono stati commessi ma, signori, che della
politica ne avete fatto un mestiere, gli usi civici non vi permetteremo di
usurparli ulteriormente poichè adesso c’è la consapevolezza di un
popolo che ritorna, dopo un periodo di vacanza, ai propri averi, per
custodirli e preservarli per le generazioni future.
Essi sono un bene imprescrittibile ed inalienabile, che appartiene ,da che
memoria riconosce, alla comunità locale e nessuno ha il diritto di
interferire se non il commissario ad acta in caso di contenzioso, ma al
quale si rivolge qualche “cives” che si ritiene leso nel suo diritto.
La comunità locale stabilisce le proprie regole con una modalità
partecipata, aperta a tutti i membri di quella comunità ove “ il diritto
di ognuno è pari al diritto di tutti i partecipanti, tutti hanno il
massimo del potere su tutto, ma non vi è da parte di nessuno il potere di
alienarli ”. Che le Regioni non rispettino gli usi civici è un chiaro
abuso di potere,che li abbiano accorpati ai beni dei comuni non con
l’intento di custodirli bensì magari di venderli, è una chiara
sopraffazione, ma ancor’oggi è possibile intraprendere la strada del
reintegro facendo causa dal commissario ad acta….Certo ci vorrebbe
un’indagine storico-amministrativa per vedere ove c’erano tali diritti,
poi ci vorrebbe ovviamente il popolo, la comunità locale che ne fa uso, ma
anche laddove non c’è, nessuno ha il diritto di usurparli, perché
esistono per legge e per legge i locali o i loro eredi che godevano di tale
diritto possono sempre ritornare. E’ chiaro che lo Stato, le Regioni ed i
Comuni non hanno interesse a riconoscerli perché non è loro proprietà e
lì non possono fare nulla, nè strade,nè villaggi, nè piste da sci, nè
altre speculazioni, ma non vi è un modo moderno di utilizzarli, se non un
attività agro-silvo-partorale perché a tale scopo erano stati concepiti e
tutt’oggi vale quel vincolo; cambiarne la destinazione di uso è un puro
abuso. 
D'altronde, quale migliore utilizzo per la terra, visto che l’agricoltura
industriale è fonte di avvelenamento da pesticidi e concimi chimici,
l’urbanizzazione è arrivata ovunque e poco resta di ambiente naturale,
le foreste che sono il polmone della terra, vengono tagliate ogni giorno
per la cupidigia umana? Compito della comunità locale è quello di usare
quei terreni, quel territorio, ma anche di preservarlo integro per le
generazioni future poiché il vincolo è finalizzato alla loro
trasmissione. Ma poco resta nella mentalità comune della concezione del
patrimonio collettivo poiché da tempo è in voga la mentalità
dell’accaparramento, della speculazione individuale ed ognuno pensa a
sè, al proprio tornaconto. Mentre gli usi civici erano e sono un chiaro
esempio di gestione collettiva ove l’utilizzo del bene era ed è
discusso, deciso in una assemblea con la partecipazione di tutta la
comunità beneficiaria che ne stabiliva-stabilisce l’utilizzo a rotazione
o di insieme unendo il bestiame durante i mesi estivi, per poi ridividerlo
durante l’inverno che va accudito nella stalla, con un maggior utile per
chi gli stava dietro durante il periodo della transumanza. Oggi è quasi
impensabile che si abbia una tale fiducia del vicino da potergli lasciare
in gestione qualcosa, anche perché manca il popolo contadino, ma vediamo
quali sono le conseguenze dell’abbandono del territorio, della mancata
regimentazione delle acque, della mancata cura del bosco, delle fonti, dei
sentieri etc. etc.! Le comunità montane ed i comuni che hanno la funzione
di gestirlo per conto della regione hanno funzionato finchè c’era ciccia
da mangiare, hanno pulito fasce di territorio e sentieri dove c’era un
interesse per il turismo, hanno rimpiantato alberi ma con un enorme
dispendio del denaro pubblico o coi finanziamenti della CEE.
Il popolo minuto o i nuovi agricoltori che ritornano alla terra anche con
la poca esperienza che hanno, vanno aiutati e, col tempo, imparano l’arte
di osservare e “leggere” il territorio in funzione della loro stessa
sopravvivenza, altrimenti se ne ritorneranno a valle a fare gli operai
dipendenti.
Non è facile fare i contadini ma, di fronte alla crisi dei valori,
energetica, ambientale e in tutti i campi della vita sociale dove alberga
l’insoddisfazione, l’alienazione, la solitudine, il degrado,
l’individualismo esasperato, la povertà; ritornare alla terra è la
soluzione più consona ed ecologicamente sostenibile per i nostri tempi.
Ritornarci potendo utilizzare le terre civiche e demaniali è un passo alla
portata di tutti, poiché il bene primario, che altrimenti costa
un’enorme investimento per comprarlo, già c’è, è disponibile, basta
tornare residenti, insediarvici e essere disposti a condividerlo con la
comunità locale, ossia stabilire delle regole partecipate. In Italia sono
dai 3 ai 6 milioni di ettari, manca una loro mappatura, poiché le indagini
storico-amministrative sono una cosa lunga ed i comuni hanno preferito
trascurarle e dimenticarsene piuttosto che tenerle in vita e valorizzarle.
Ma è ora che questa conoscenza divenga patrimonio comune, gli
amministratori e i politici si devono prendere la loro responsabilità, gli
usi civici devono ritornare a vivere come esempio di gestione collettiva
del bene comune che è l’unica soluzione perché vi sia un futuro
dell’umanità (l’accaparramento delle terre e la proprietà privata,
abbiamo visto cosa ha prodotto). Quindi una legge per il riordino degli usi
civici, dovrebbe prevedere l’oppurtunità per l’insediamento di nuovi
soggetti che siano disposti a prenderne tutela nello spirito fino ad ora
esposto tenendo conto che: sono beni ove il diritto di ognuno è uguale al
diritto di tutti, sono inalienabili, imprescrittibili, vanno stabilite
delle regole partecipate in autonomia organizzativa e di gestione del
territorio rispettando il vincolo agro-silvo-pastorale (e il vincolo
idrogeologico della legge nr. 3267 del 30/12/1923). La nuova legge non può
far altro che prendere atto di ciò ed anzi direi che dovrebbe sbloccare il
meccanismo per cui non è possibile farne altri poichè dovrebbe esserci la
libertà del proprietario di un bene immobile di lasciarlo in uso come
proprietà collettiva alla generazioni future, in deroga alla legge
Serpieri del 1827 che ne ha impedito la rifondazione.
Il popolo Elfico l’ha chiesto espressamente nel proprio statuto fin dal
1987 all’atto della fondazione e siamo tuttora in attesa. Questo per noi
significa essere comunisti, l’altro comunismo, quello di facciata, non ci
interessa.