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Il significato della frontiera nella storia americana

di Frederick J.Turner - 25/01/2008




In un recente bollettino del sovraintendente al censimento del 1890 appaiono queste significative parole:
«Fino al 1880 incluso, il paese aveva una frontiera di colonizzazione provvisoria, ma ora l’area non colonizzata è stata lottizzata sì che si può appena parlare di linea di confine. Discuterne l’estensione, lo spostamento verso occidente, ecc., non può più quindi aver senso nei rapporti censitari».

Questa breve comunicazione ufficiale segna la fine di un grande movimento storico. Fino ad oggi la storia americana è stata, in larga misura, la storia della colonizzazione del Grande Ovest. L’esistenza di una superficie di terre libere e aperte alla conquista, la sua retrocessione continua e l’avanzata dei coloni verso occidente, spiegano lo sviluppo della nazione americana.
Dietro alle istituzioni, dietro alle forme e alle trasformazioni costituzionali, stanno le forze pulsanti e operose che danno vita a questi organismi e li modellano per affrontare le mutevoli condizioni della storia.

Il tratto caratteristico delle istituzioni americane consiste nel fatto che esse sono state costrette ad adattarsi ai cambiamenti di un popolo in espansione — cambiamenti connessi con la traversata di un continente, con la vittoria sulle solitudini deserte e con lo sviluppo, in ogni zona, di questo progresso dalle primitive condizioni economiche e politiche della frontiera alla complessità della vita cittadina. John Calhoun disse nel 1817: «Siamo grandi, e rapidamente — stavo per dire paurosamente — cresciamo!», e con queste parole delineò i tratti caratteristici della vita americana. Tutti i popoli mostrano uno sviluppo; e la teoria politica dei germi è stata sufficientemente posta in risalto. Nel caso di molte nazioni, tuttavia, lo sviluppo è svolto entro un’area assai limitata; e, se la nazione ha subito un processo di espansione, ha incontrato nel suo cammino altri popoli in fase evolutiva e li ha conquistati.

Ma nel caso degli Stati Uniti siamo di fronte a un fenomeno molto diverso. Limitando la nostra attenzione alla costa atlantica, abbiamo il solito fenomeno dello sviluppo delle istituzioni in una zona limitata, come il progressivo consolidarsi del governo parlamentare, il differenziarsi del semplice governo coloniale in organi complessi, il passaggio da una società industriale primitiva, senza divisione qualificata del lavoro, a una società industriale di prim’ordine. Ma abbiamo anche, oltre questo, il ripetersi del processo evolutivo in ogni zona raggiunta nel cammino di espansione verso Ovest. Così lo sviluppo della nazione americana ha non solo documentato un’avanzata su un’unica linea, ma anche un ritorno a condizioni primitive su una linea di frontiera in continuo spostamento e un nuovo sviluppo in questa zona. Lo sviluppo sociale americano è stato un inizio continuo, un punto di partenza sempre nuovo, su una frontiera mobile. Questa rinascita perenne, questa fluidità della vita americana, questa espansione verso l’Ovest con tutta la sua gamma di infinite possibilità, il suo contatto continuo con la semplicità della società primitiva, alimentano e forniscono le forze che dominano il carattere degli Americani. Il punto di vista vero per capire la storia di questa nazione non è la costa che guarda l’oceano Atlantico, è il grande West. Anche la lotta per l’abolizione della schiavitù, che è diventata oggetto così esclusivo di attenzione da parte di autori insigni come il professore Hermann Eduard von Holst, occupa un posto importante nella storia americana appunto per il suo rapporto con la espansione verso l’Ovest.

In quest’avanzata, la frontiera è la cresta, la lama acuta dell’onda, il punto d’incontro fra barbarie e civiltà.

Si è scritto molto sulla frontiera dal punto di vista della guerriglia di confine e della caccia, ma la si è trascurata come campo di seri studi economici e storici.

La frontiera americana si distingue nettamente da quella europea, che è una linea di confine fortificata che corre attraverso terre densamente abitate.

La cosa più significativa della frontiera americana è che è posta proprio al limite dei territori aperti all’espansione e alla conquista. Nei rapporti censitari è considerata come il margine di una comunità di coloni con una densità da due a più abitanti per ogni miglio quadrato. La formula è elastica, e ai fini che ci proponiamo non occorre una definizione precisa. Considereremo l’intera zona di frontiera, incluso il territorio abitato dagli Indiani e il margine esterno dell’«area colonizzata» dei rapporti censitari.


Questo saggio non tenterà di discutere e di esaurire l’argomento; il suo scopo è semplicemente quello di richiamare l’attenzione sulla frontiera quale fertile campo di indagini e suggerire alcuni problemi che sorgono e si presentano in relazione con essa.

Nel processo di formazione dell’America dobbiamo osservare come la vita europea, penetrata nel continente, venne modificata e sviluppata, e anzi, quale fu la reazione verso di essa da parte dei coloni del Nuovo Mondo. Lo studio degli inizi della nostra storia è lo studio dello sviluppo dei germi europei nell’ambiente americano. Si è prestata un’attenzione troppo esclusiva da parte degli specialisti di studi istituzionali alle origini germaniche, in verità assai tenui nelle vene degli artefici della nazione americana. La frontiera è la linea dell’americanizzazione più rapida ed effettiva. La grande distesa solitaria domina il colono, s’impadronisce del suo animo.

Egli è vestito all’europea, ha strumenti europei, viaggia e pensa all’europea. La grande distesa solitaria lo tira giù dalla carrozza ferroviaria e lo mette su una canoa di betulla. Lo spoglia dei vestiti della civiltà, lo veste con la casacca del cacciatore e gli mette ai piedi i mocassini di daino. Lo spinge nella capanna di tronchi d’albero del Ciroki e dell’Irochese e lo circonda di una palizzata indiana. Il colono ha già seminato mais e lo ha arato con un legno appuntito; ora lancia grida di guerra e scotenna nel più puro e ortodosso stile indiano. Per dirla in breve, alla frontiera l’ambiente è, agli inizi, troppo violento per l’uomo bianco. Questi deve accettare le condizioni che trova o perire, e così si adatta alla radura e segue le piste degli Indiani. A poco a poco trasforma le solitudini deserte, ma il risultato non è la vecchia Europa, lo sviluppo dell’originario germe sassone, il ritorno all’antichissimo ceppo germanico. Nasce con lui un prodotto nuovo e genuino: l’Americano. In principio, la frontiera era rappresentata dalla costa atlantica ed era la frontiera dell’Europa, veramente, in ogni senso.

Spostandosi verso Ovest, essa divenne sempre più americana. Come le morene frontali si depositano a ogni regredire delle glaciazioni, così ogni frontiera lascia dietro di sé le proprie tracce, e quando diventa un’area colonizzata la regione partecipa ancora delle caratteristiche della frontiera. L’avanzata della frontiera ha significato un movimento regolare che s’allontanava sempre più dall’influsso dell’Europa, uno sviluppo costante di indipendenza su linee prettamente americane. Studiare questa avanzata senza regressi, gli uomini che vi parteciparono e crebbero in quelle condizioni, e i risultati politici, economici e sociali, è studiare la parte realmente americana della nostra storia.

Testo estratto da: Frederick J. Turner, La frontiera nella storia americana, Il Mulino, Bologna, 1975, pp31-34.