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Foto di gruppo dell’Italia neoliberista

di Mario Porrini - Luigi Tedeschi - 25/01/2008

 

Come tutti gli anni a dicembre,l’Istat ha presentato il rapporto sul Paese, la “fotografia” dell’Italia per il 2006. Scorrendo i dati che emergono ed analizzando le conclusioni, il pensiero non può che correre al Trilussa che, con ironica amarezza, si chiedeva in una sua poesia, chi si fosse mangiato il pollo che la statistica assegnava a lui. Secondo questi dati, che si riferiscono al 2006, gli italiani sono ottimisti, amano lo sport e la vita di relazione, cresce il livello di fiducia nella situazione economica mentre i problemi più gravi si riducono – in ordine di importanza - al traffico, all’inquinamento, al parcheggio ed al rumore. Al sesto posto di questa improbabile classifica, si posiziona il problemino della criminalità, appena dopo – in quinta posizione - il dramma dell’acqua del rubinetto e seguito a ruota dalle strade sporche. Se questi sono i risultati di un anno di studi ci chiediamo francamente se non sia il caso di mandare questo numero imprecisato di statistici e ricercatori a svolgere un lavoro più utile alla collettività che non sia quello di prendere in giro il prossimo.
Ben diversa è l’Italia che appare agli occhi della stragrande maggioranza della gente, che giudica su dati concreti, sulla base delle enormi difficoltà che incontra tutti i giorni; la vita infatti si rivela una corsa ad ostacoli il cui agognato traguardo è rappresentato dal raggiungere in qualche modo la fine del mese per ricominciare daccapo. Questa serie ininterrotta di sfide alla vita è finalizzata alla pensione, che oggi non vuol dire più trascorrere una serena vecchiaia ma l’inizio di un nuovo calvario in quanto il raggiungimento del traguardo del fine mese si rivela – vuoi per l’età vuoi per gli spesso ridicoli importi erogati dall’INPS - impresa ancora più impegnativa ed in alcuni casi, addirittura disperata. Alla faccia della fotografia dell’Istat, la crisi economica è, assieme alla mancanza di sicurezza, il vero problema della gente comune.
L’attuale situazione ha radici lontane, da quando cioè l’amatissimo Presidente Emerito Carlo Azeglio Ciampi si piegò ai voleri dei banchieri europei permettendo un cambio penalizzante Lira-Euro. Questa sciagurata decisione ha colpito soprattutto i lavoratori dipendenti che si sono visti trasformare il salario sulla base del valore dell’Euro a 1.936,27 lire, mentre in concreto si è giunti in brevissimo tempo ad un cambio 1€=1.000 Lire, dimezzandone in brevissimo tempo il valore d’acquisto. Dall’introduzione dell’Euro l’escalation dei prezzi è stata inarrestabile mentre i vari governi che si sono succeduti non hanno ritenuto di intervenire e potrebbe apparire comico, se non ci fosse da piangere, il commento di Prodi sugli aumenti dei generi alimentati che si sono registrati sulla scia dello sciopero dei TIR: il presidente del Consiglio, infatti, si è “rammaricato” che sia potuto accadere. L’aumento dell’inflazione viene determinato dalla lievitazione dei costi di prodotti sui quali lo Stato ha direttamente o indirettamente possibilità di intervento – metano, gasolio, benzina – eppure non fa nulla, anzi incamera e tace. Questa inflazione, che sempre secondo quei “soloni” di statistici ha raggiunto il 2-2,5%, nei supermercati e mercati e per le tasche della gente è a livello di doppia cifra. Nella fotografia dell’Italia ci si rallegra perché le famiglie proprietarie di case sono passate dal 72% al 73,4%, ora però c’è da verificare quante di queste famiglie oggi si trovino in gravissime difficoltà per l’aumento da parte dei dirigenti della Banca Centrale Europea - personaggi quasi sconosciuti che nessuno ha mai eletto – dei tassi di interesse che impediscono a molti di onorare le rate del mutuo.
Accanto ai problemi dei lavoratori dipendenti ci sono quelli delle imprese; le grandi imprese hanno delocalizzato la produzione in Asia o nell’est europeo, con conseguenze facilmente immaginabili per l’economia nazionale e per l’occupazione, mentre le medio-piccole, falcidiate dalla concorrenza asiatica e della grande distribuzione, sono sempre più gravate da un indebitamento cronico che ne compromette la sopravvivenza.
Le morti sul lavoro sono una delle piaghe di un paese che almeno formalmente si pone tra le 8 potenze economiche mondiali. Le morti atroci e le conseguenze drammatiche per le famiglie per la tragedia della Thyssenkrupp hanno fatto impressione ma rappresentano soltanto la punta dell’iceberg alla cui base ci sono le singole morti quotidiane – circa un migliaio all’anno - di gente sconosciuta le cui famiglie non hanno avuto neanche il conforto morale e materiale di cui hanno potuto usufruire i parenti delle vittime di Torino. Di questa situazione drammatica, da bollettino di guerra, non sembrano preoccuparsi più di tanto i sindacati. La tutela dei lavoratori da parte dei sindacati sembra attuata a corrente alternata, nel periodo in cui governa il Centro-destra ogni occasione sembra buona per scendere sul piede di guerra, quando viceversa comanda la Sinistra sembra filare tutto liscio come l’olio. Evidentemente anche i sindacalisti “tengono famiglia” e la nomina due ex strenui difensori della classe operaia uno, Marini, alla presidenza del Senato, l’altro, Bertinotti, alla presidenza della Camera, sembrano dimostrare che il sindacalismo, così come l’estremismo, sono malattie giovanili dalle quali si guarisce con l’avanzare dell’età.
L’altra grande preoccupazione della gente riguarda la microcriminalità, dalla quale sembra non esserci possibilità di difesa. Le istituzioni sembrano lontanissime, con i politici che si limitano a promettere interventi legislativi e giri di vite in occasione di delitti particolarmente efferati salvo poi rimangiarsi tutto quando l’indignazione generale comincia a scemare. La paura tra la gente è palpabile e se ne è accorto e perfino “The New York Times” che, in occasione della visita del presidente Napolitano negli Stati Uniti ha pubblicato un articolo che da noi ha suscitato polemiche, nel quale si parla di “italiani attanagliati dalla paura”. L’afflusso della criminalità straniera ha cambiato anche la tipologia dei reati più diffusi; una volta ci si limitava al furto, si aspettava che la gente fosse fuori di casa per entrare. Oggi si entra di proposito quando nell’abitazione c’è qualcuno perché con la violenza si ritiene di ottenere di più ed in minore tempo e non spaventa di certo il passaggio dal reato di furto alla rapina con conseguente aggravamento delle sanzioni, del resto in Italia l’unica certezza che riguarda la pena è quella di non scontarla.
La classe politica si disinteressa dei problemi della gente, non sente e non comprende quanto sia diffusa la paura. Il timore per la microcriminalità sempre più aggressiva e dalla quale non si sente difesa, l’insicurezza economica, l’incertezza su quello che sarà il trattamento pensionistico per chi smetterà di lavorare tra 10 o 20 anni, rappresentano delle incognite grandi come macigni. A fronte di questi problemi i nostri politici si mostrano indifferenti, quando non mostrano arroganza o dileggio. Lo scandalo – quasi subito insabbiato - degli appartamenti svenduti, con mutui agevolati, ai politici che ha visto l’ormai sbeffeggiatissimo ministro Mastella, indicato come capro espiatorio, per coprire un sistema diffusissimo rappresenta solo un esempio di quale sia il comportamento della casta che ci governa che finge di ignorare l’evidente ladrocinio dovuto alle loro scandalose prebende.
A dimostrazione della veridicità del detto tipicamente romano che recita: “cornuto e mazziato” è intervenuto il plurilaureato superministro dell’Economia Padoa-Schioppa che irridendo quei giovani che anche, se non soprattutto, grazie a lui, non possono abbandonare la casa di famiglia, li ha definiti “bamboccioni”. Il plurilaureato superministro dell’Economia Padoa-Schioppa dovrebbe sapere, se non lo sa, che i suddetti “bamboccioni” se sono stati tanto fortunati da trovare un lavoro, potranno guadagnare 1.000 o 1.200 € al mese. Con queste cifre, grazie alle sue innumerevoli lauree, dovrebbe spiegarci come si fa ad andare a vivere da soli, pagando affitto, bollette, beni di prima necessità, come pane e latte il cui costo continua ad aumentare, lasciando da parte qualcosa per il vestiario. Pensandoci bene forse una soluzione ci sarebbe: essere figli o nipoti di un plurilaureato superministro dell’Economia. L’Italia, per due giorni circa, si è fermata: i morti sul lavoro di Torino e lo sciopero selvaggio dei TIR hanno generato un clima di rabbia generalizzata, esplicativa del totale distacco esistente tra il paese reale e le istituzioni politiche. I morti della Tyssenkrupp sono gli ultimi in ordine di tempo di una strage continuata (una media di 2/3 al giorno), di morti sul lavoro, dovuta al venir meno delle norme di sicurezza. E’ evidente che tale strage è imputabile al processo di privatizzazione che ha investito l’Italia dal ‘92 in poi. La competitività sfrenata del libero mercato non tollera infatti gli intralci burocratico-normativi e i relativi costi per la sicurezza. Occorre poi aggiungere che queste ripetute morti bianche, rivelano l’assoluta assenza di ogni tutela sindacale verso i lavoratori precari. Infatti, il precario non godendo di alcuna garanzia circa la stabilità del posto di lavoro, non può, di fatto, esercitare alcun diritto sindacale. La Tyssenkrupp acquistò le acciaierie di Terni proprio a seguito delle dismissioni dell’industria statale. Il colosso tedesco, oltre ad aver ridotto al minimo gli organici, ha minacciato più volte di delocalizzare gli impianti in Asia. Dal momento che essa ha generosamente mantenuto aperte le acciaierie, volevate pure che investisse nella sicurezza? La Tyssenkrupp non è mica Babbo Natale! In una fase di pieno sviluppo dell’industria siderurgica, la Tyssenkrupp vuole delocalizzare. Perchè? Perchè la produzione in Asia è più concorrenziale e remunerativa che in Europa: sull’altare del profitto intanto vengono sacrificate le vite dei lavoratori. La condotta del gruppo tedesco in Italia, è tipica della delocalizzazione industriale nel terzo mondo. E’ evidente che il terzo mondo dell’Europa, in questo caso, è l’Italia. Ricordiamo inoltre la prevista istallazione in Italia di numerosi rigassificatori che dovranno rifornire di gas metano l’Europa intera, con conseguenti danni ambientali irreversibili sul nostro territorio e rischi incalcolabili per la salute della popolazione. L’Europa della BCE, che ha imposto in questi giorni ai suoi popoli una costituzione che essi avevano plebiscitariamente (Francia e Olanda) rifiutato, ha attribuito all’Italia, con la compiacenza delle nostre istituzioni, il ruolo di pattumiera ecologica e sanitaria continentale.
Probabilmente assisteremo nei prossimi giorni all’ennesima appropriazione, da parte del sistema “bancocentrico” italiano di Alitalia, già compagnia di bandiera, ma ormai ultimo superstite del patrimonio industriale dello stato. In questo totale degrado in cui versa l’Italia, si potrebbe pensare che in questo paese si stiano creando i presupposti di una situazione potenzialmente rivoluzionaria. Purtroppo è vero il contrario: mentre sui morti di Torino sta calando l’oblio mediatico, l’opinione pubblica italiana, anzichè solidarizzare (come accade in Francia), con la protesta delle categorie svantaggiate, ha criminalizzato, con l’avallo dei media, i lavoratori del trasporto per il mancato approvvigionamento per un giorno o due di alimentari e generi di consumo vari. Tale settore, che versa in una crisi endemica, registra la scomparsa recente di circa 20.000 piccole imprese, a causa della concorrenza dei paesi dell’est europeo e un indebitamento intorno ai 200 milioni di euro. Emerge chiaro dunque il vero volto dell’Italia, che non è quello del rapporto Censis, ma quello di un paese frantumato in mille micro e mega egoismi individuali e collettivi, alimentati dal consumismo sfrenato (vedi debito al consumo crescente) e dalla cultura mass-mediatica del capitalismo assoluto. Un paese minacciato di dissoluzione dal sistema capitalista-bancocentrico, deve ritrovare la sua identità, le ragioni primarie del suo essere comunità di popolo prima che stato, proprio in questa fase storica in cui si manifestano con evidenza i sintomi di una sua disgregazione sistemica. Occorre far appello alla solidarietà sociale, a quell’arcano istinto comunitario alla sopravvivenza, che costituisce la più profonda risorsa della natura umana. Occorre ritrovare il valore originario della comunità di popolo che, prima di tradursi in aggregazione politica, può generare trasformazioni epocali, perchè è lo strumento primario per combattere il nichilismo individualista e consumista senza speranza, per creare nuovi orizzonti, che diano senso all’esistenza, sia dell’uomo che dei popoli.