Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dietro la vendetta delle signore il disorientamento spirituale della modernità

Dietro la vendetta delle signore il disorientamento spirituale della modernità

di Francesco Lamendola - 26/01/2008

 

 

E poi c'è qualcuno che ha il coraggio di dire che la politica italiana è dominata dal più bieco e anacronistico maschilismo.

Ma se sono sempre le signore a fare il bello e il cattivo tempo, a decretare la salvezza o la caduta ignominiosa dei governi. Come si è visto anche negli ultimi giorni.

Se l'onorevole Dini non avesse dovuto vendicare l'affronto subito dalla sua signora, scampata a notevoli guai giudiziari solo grazie all'indulto; e se l'onorevole Mastella non avesse dovuto fare altrettanto, dopo che qualche magistrato impudente e scriteriato aveva osato porre agli arresti domiciliari la sua dolce metà; si può ragionevolmente pensare che il governo Prodi sarebbe finito così ingloriosamente, come è finito?

E tornano alla mente le parole della signora Poggiolini (qualcuno se ne ricorda?), che, in pieno scandalo di Tangentopoli, apostrofava aggressiva i giornalisti con le profetiche parole: «Voi italiani, ve ne accorgerete! Finirete molto male!».

Infatti, ce ne stiamo accorgendo. Ce ne stiamo accorgendo che al peggio non c'è mai fine, che si può scendere la china ogni giorno di più, sempre più in basso: contro tutte le leggi conosciute della geometria, della logica e della meccanica. Povera Italia, trascinata sempre più in basso da una classe dirigente senza pudore e senza vergogna: sfrontata, corrotta, inefficiente, boriosa e irrimediabilmente parassitaria e opportunista.

E pure matriarcale, nel senso peggiore del termine.

Con la signora Berlusconi che si rivolge alla stampa per tirare le orecchie al marito, come in uno scadente programma televisivo di Maria De Filippi, trasformando milioni di cittadini in altrettanti guardoni involontari di beghe familiari che non li riguardano. O con la signora Levi Montalcini che dichiara alla stampa che anche lei avrebbe firmato la lettera dei docenti della Sapienza che non volevano la visita del papa, ma che non ha potuto perché legata da rapporti professionali col Vaticano. Dove non si sa se sia più sgradevole la presa di posizione in se stessa (chissà se si sarebbe opposta anche a una visita del rabbino capo della Sinagoga) o la motivazione, dichiaratamente opportunistica, per cui non l'ha manifestata.

Dice un proverbio che non si dovrebbe battere una signora neanche con un fiore. Ma la cultura italiana, imbevuta di mammismo e, più di recente, di retorica post-femminista, ha spinto la sua galanteria, o piuttosto la sua demagogia, verso il gentil sesso, fino a livelli di abietto servilismo e di vero e proprio masochismo. Cosa non si farebbe per conquistare i voti dell'elettorato femminile! Nessuno sproloquio piagnucoloso, nessuna bassa adulazione, nessuna sfacciata ipocrisia sembrano troppo mortificanti, quando si tratta di ingraziarsi le elettrici.

Così come la nostra classe dirigente è affetta da una vergognosa deriva populista, altrettanto lo è da una inarrestabile deriva pseudo-femminista. Della serie: le donne hanno sempre ragione; le donne sono migliori degli uomini; quanto sarebbe bello il mondo, se solo le donne fossero al potere.

Ma le abbiamo già viste, le donne al potere. Le abbiamo già viste, le signore Allbright e le signore Rice: ciniche, spietate, bugiarde, violente: hanno firmato alcuni dei peggiori crimini, alcune delle pagine più brutte della storia degli ultimi anni. E sorridevano, sui mucchi dei cadaveri iracheni, nel carcere di Abu Ghraib; e ridevano, mentre torturavano e infliggevano sevizie sessuali a degli uomini nudi e inermi. Anzi, anche il direttore del carcere era una donna, un pezzo grosso dell'esercito americano.

Certo, accanto a loro c'erano dei colleghi maschi. Verissimo.

Resta il fatto che esistono ragioni di perplessità davanti all'affermazione che le donne, se fossero al potere, instaurerebbero una diversa modalità della politica. Questo sarebbe credibile se esistesse qualche sia pur debole indizio che le donne, antropologicamente (o ginecologicamente?), sono meno aggressive, più pacifiche e più concilianti degli uomini. Ma tali indizi non esistono, e le donne più intelligenti sono le prime ad ammetterlo. Esse hanno sempre amato la competizione, la guerra, il potere; solo che, nelle società patriarcali, hanno dovuto dissimulare queste loro caratteristiche. E, come direbbe il buon vecchio Nietzsche, la dissimulazione porta con sé la cattiva coscienza e, con essa, una carica pressoché illimitata di pulsioni distruttive e una capacità praticamente inesauribile di rancore.

Quando l'Italia fu frastornata, per settimane e per mesi, dal clamore mediatico intorno al delitto di Cogne, l'argomento principale degli innocentisti fu che una donna, anzi una mamma, mai e poi mai  potrebbe fare del male al proprio bambino. Ma era soltanto un esorcismo, un pio desiderio creato per tranquillizzarsi, per salvare dal naufragio la propria immagine del mondo: mammista, buonista e zuccherosa.

Oppure si pensi a quell'altro, atroce fatto di cronaca nera: a quella madre siciliana che commissionò, insieme alla figlia, l'esecuzione del proprio figlio, reo di aver infranto il codice d'onore della onorata società mafiosa.

Non è affatto vero che le donne siano "naturalmente" più dolci e più buone degli uomini; specialmente fra di loro, è vero semmai il contrario. Non esiste praticamente cattiveria o bassezza che una donna non farebbe a danno di un'altra donna, quando siano in gioco la sua vanità e la sua smania di protagonismo. Gli inquirenti di Perugia, ad esempio, sono convinti che Amanda Knox odiasse la povera Meredith per il solo fatto che, nel locale dove entrambe lavoravano, la seconda - più semplice e meno narcisista - riscuoteva le simpatie dei clienti, mettendo in ombra la prima. Essere messa in ombra da una rivale: ecco ciò che una donna non può assolutamente accettare, che non può assolutamente perdonare.

Intendiamoci: esistono delle eccezioni. Ed esistono molti uomini, specialmente se effeminati (per quanto palestrati e apparentemente sicuri di sé) che condividono questa psicologia della competizione sfrenata, della gelosia a tutto campo, del rancore implacabile, del cieco desiderio di vendetta dell'amor proprio ferito. Ciò non è per nulla in contraddizione con quanto abbiamo detto prima, anzi completa il quadro che abbiamo or ora delineato. In una società che idealizza la donna fino al punto di creare di lei un'immagine puramente fantastica (come Emilio Brentani fa con Angiolina in Senilità di Italo Svevo), nulla di più naturale che gli uomini, svirilizzati, invece di "imporre" alle donne le loro qualità virili - la lealtà, la schiettezza, la trasparenza -, imitino da esse le loro qualità peggiori: la dissimulazione, il nascondimento, l'ipocrisia, il segreto desiderio di rivalsa.

In una società sana, ciascuno dei due sessi svolge il proprio ruolo specifico: ruolo complementare, e perciò diverso da quello dell'altro. Ma la nostra società è profondamente malata: e sono state proprio le donne, che silenziosamente e coraggiosamente sostenevano gran parte del suo peso, a perdere la testa più in fretta, in questi ultimi anni (cfr. i nostri precedenti articoli  È la donna, oggi, l'anello debole della catena e Il demone segreto dell'infelicità femminile, sempre sul sito di Arianna Editrice). Da quando hanno rinunciato al loro specifico ruolo femminile per diventare la caricatura del maschio stupido (Spengler avrebbe detto, parlando delle "maschiette" degli Anni Venti: da quando, invece di bambini, hanno dei problemi), i cerchioni della famiglia hanno cominciato a saltare e, con essi, per un inarrestabile processo a catena, quelli della società intera. Le donne, a un certo punto, sono impazzite, e hanno affrettato l'impazzimento della società.

Il fatto è che non sono neppure felici.

Inseguendo il modello edonistico del maschio idiota (non del maschio normale e responsabile: del maschio idiota), le donne sono cadute nel patetico e nel grottesco: le sessantenni  hanno voluto far concorrenza alle liceali sul loro stesso terreno; oppure si sono abbandonate alla sterile vanità del potere. Basta chiedere a una donna, per esempio, se preferisce lavorare con un capo ufficio maschio o donna: novantanove volte su cento, ella risponderà di preferire un capo di sesso maschile: perché una donna al potere è, spesso, il peggiore aguzzino per i suoi sottoposti, e specialmente per le sue sottoposte. Tutto il suo sadismo represso può finalmente trovare sfogo nell'esercizio del potere: e che palpiti di voluttà, che fremiti di piacere trova in esso. Esattamente quanti ne trovano gli uomini poco virili che un fato maligno (per sé e per gli altri) ha collocato, anch'essi, in una posizione di potere…

Queste riflessioni non sono rivolte contro le donne.

Sono rivolte contro la degenerazione e contro l'obnubilamento dei ruoli sessuali; contro la micidiale confusione che ha colpito in maggior misura, a nostro avviso, le donne, per tutta una serie di ragioni economiche, sociali, culturali e psicologiche. E non stiamo facendo l'apologia dei bei tempi andati, quando le donne erano relegate tra pentole, fornelli e calzini di lana. No di certo: casomai, vorremmo fare l'apologia del bel tempo andato, quando la donna era fiera di essere donna, e l'uomo era fiero di essere uomo; ed entrambi, invece di tormentarsi in una pirandelliana commedia dei dispetti e delle ripicche, si incontravano e si sostenevano a vicenda, in vista di un progetto più grande del loro puro e semplice piacere. Il progetto di metter su una famiglia, di allevare dei figli, di prendersi cura dei genitori anziani; insomma, di contribuire alla stabilità e al benessere (non solo e non tanto economico) dell'intera società.

Nell'ambito di un tale progetto, un ruolo eminente era assunto dalla donna. In Friuli, la terra della nostra infanzia, si diceva (non sappiano se il detto esiste ancora) che la donna sorregge tre dei quattro angoli su cui poggia una casa.

Qualcuno dirà che una tale epoca non è mai esistita. Non è vero:  è esistita, e molti di coloro che hanno una certa età ne conservano un vivido e grato ricordo. Molti ricordano le mamme che, pur stanche alla fine della giornata, rubavano qualche altro momento al meritato riposo per stare un po' con i figli, per raccontar loro una fiaba, per consolare le loro piccole pene; oppure che cantavano loro una canzone, una filastrocca, una ninna-nanna. Molti ricordano i papà che, pur pieni di preoccupazioni d'ogni genere, si facevano in quattro per dare serenità e sicurezza ai propri figli: ma senza strafare e senza viziarli, senza scusarli e giustificarli in tutto. Molti, poi, ricordano i nonni,:  che erano figure importanti, preziose, educative nel rapporto con i nipotini.

C'era, parlando in generale (e, quindi, con le debite eccezioni), un senso del dovere largamente diffuso. Non stiamo parlando di secoli e secoli fa, ma di pochi decenni fa: di una o, al massimo, due generazioni prima di ora. Adesso, i rapporti si sono invertiti. Sacrificare il proprio piacere per dedicarsi ai figli, ai nipoti o ai genitori anziani è diventa l'eccezione alla regola; e la regola è quella di inseguire, senza riguardo per alcuno, il proprio miraggio edonistico. Ringraziando il regressivo modello americano e tutte le idiozie e le spazzature che mamma tivù quotidianamente ci propina (ma che non ci propinava la tivù del canale unico, capace di fare educazione e di promuovere cultura e livelli tutt'altro che banali).

Che dire a questo punto? Possiamo ancora immaginare dei rimedi, una rifondazione di valori che salvi la nostra società della disgregazione totale?

Forse; ma il cammino che ci attende sarà tutto in salita. Troppe scelte facili e furbesche, troppi compromessi, troppa irresponsabile demagogia hanno inquinato le nostre menti e i nostri cuori; e non si possono scaricare tutte le colpe su Mammona. Se il denaro, il piacere e il potere sono diventati le nostre nuove divinità, vuol dire che un processo di decadenza morale era già in corso da lungo tempo, e che le fondamenta della nostra bella casa erano già marce e putrefatte senza che ce ne accorgessimo.

Dobbiamo avere il coraggio e l'umiltà di ripartire da zero. Europa, anno zero, dovremmo dire, parafrasando il titolo del celebre film di Roberto Rossellini. Come se fossimo appena usciti da una guerra catastrofica e da una sconfitta totale.

Già: ripartire da zero, demolendo i ruderi pericolanti delle nostre false sicurezze.

Ma quanti di noi ne avranno il coraggio?

Eppure, non c'è altra strada.

O, almeno, non c'è altra strada che ci consenta di conservare un briciolo di onore, di fierezza e dignità.