Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Kosovo: L'ipocrisia dell'Europa e la rabbia della Serbia

Kosovo: L'ipocrisia dell'Europa e la rabbia della Serbia

di Ennio Remondino - 27/01/2008






 

La sola idea chiara sul Kosovo, dal giorno stesso dell'inizio dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia, 1999, era che quel territorio condiviso sarebbe diventato tutto albanese e che sarebbe stato sottratto alla sovranità serba. Lo ha candidamente confessato alla televisione serba l'ex ambasciatore americano a Belgrado, William Montgomery, intervistato a Dubrovnik.

Quantomeno le idee chiare l'avevano a Washington, salvo che gli altri alleati della Nato in quei bombardamenti non siano stati utilizzati come degli utili idioti o si siano adattati benevolmente a recitarne efficacemente la parte. Nella manfrina infinita di tentativi diplomatici, mediazioni internazionali e proclami umanitari che hanno intasato i nove anni successivi, la sceneggiatura è quella della commedia. Un solo protagonista chiave, con le idee ben chiare e determinate, e i comprimari chiamati in campo a cercare di ridurre i contraccolpi a loro svantaggio. L'Europa dell'Unione, per esempio, che ha cercato di differenziare la sua politica nei Balcani da quella degli Stati Uniti semplicemente dichiarandosi un po' più amica di Belgrado rispetto alle provocatorie severità statunitensi messe nelle mani “tecniche” della ex Procuratrice del Tribunale internazionale dell'Aia, Carla Del Ponte e dell'ex mediatore Onu, Martii Ahatisaari. Messaggio politico europeo: cara Serbia rassegnati a perdere il Kosovo e, se non reagirai troppo, noi, tuoi vicini di casa, ti aiuteremo, facendoti avvicinare al presunto bengodi del nostro Club.

Ad alcuni giorni dal primo turno delle presidenziali, sembra invece che la Serbia sia davvero molto arrabbiata. Più con l'ipocrisia europea, forse, che con l'avversario aperto di oltre oceano. Cambia solo la quantità e il bersaglio del risentimento: Stati Uniti e Nato, certamente in testa, loro che il Kosovo albanese indipendente l'hanno costruito. Poi l'Inghilterra che rincorre Washington. Poi l'Europa dell'Unione, che rincorre Stati Uniti, Nato e Londra assieme. L'Italia, considerata più amica di altri, è ora la più traditrice. Il solo candidato Presidente che aveva detto chiaro e tondo agli elettori, “si prendano pure il Kosovo assieme a tutti i suoi problemi”, domenica ha incassato un misero 5 per cento dei voti. Anche il candidato più “occidentale” del mazzo, il presidente uscente Boris Tadic, filo americano, filo europeo, ha dovuto gridare, nei comizi, il suo dissenso alle violazioni del diritto internazionale che preparano l'auto proclamazione dell'indipendenza del Kosovo. Nonostante tanta ritrovata autonomia di dissenso, Tadic, che pure ha fatto incetta dei voti dei partitini a lui vicini, arriva secondo. Secondo con un distacco di 4 punti e con speranze di recuperare al secondo turno, molto ridotte.

Vince, e vince molto più del previsto, la Serbia più arrabbiata, che s'è affidata a Toma Nikolic. Un ultra destro, non c'è dubbio, che però ha saputo moderare toni e proposta politica. Via le icone dei discutibili “martiri” della causa serba in Bosnia e Kosovo, sostituite dal ritratto di Putin. Vista all'italiana, niente più saluto romano, anche se non è ancora una svolta politica alla Fiuggi. Intanto il suo partito radicale incassa il 10 per cento in più dei suoi voti tradizionali. In eredità a Nikolic, senza nessuna contrattazione necessaria, i voti dell'ex partito di Milosevic. Quarantasette per cento è la somma già ora, salvo andare a vedere tra dieci giorni quali altri lasciti gli arriveranno dai voti lasciati liberi dai candidati sconfitti al primo turno. Potremmo anche dire che tutto è ancora una volta nelle mani dell'attuale premier, il conservatore Vojslav Kostunica, alleato politico nel governo col partito democratico di Tadic, ma certo non suo amico personale. Un eventuale sostegno formale del suo partito non garantirebbe l'automatico passaggio dei voti a Tadic.

Situazione assolutamente incerta, insomma, con molti paradossi. Decideranno le concitate alleanze interne di queste due settimane, assieme agli “aiutini” dall'esterno. L'Unione europea, bloccata dall'Olanda nella proposta di avviare le procedure di adesione della Serbia, probabilmente farà slittare anche la decisione formale sulla sua missione in Kosovo, invisa a Belgrado, aggiungendo qualche agevolazione sui visti. Sul fronte opposto, ieri l'annuncio dell'accordo con Mosca per il passaggio in Serbia dell'oleodotto South Stream, oltre all'arrivo dei petro-rubli della Gazprom per l'acquisto dell'Industria petrolifera serba e per la compagnia aerea Jat. Il paradosso finale viene da una curiosità, da leggere con un pizzico di malizia: ad organizzare la brillante e sino ad ora vincente campagna di Nikolic, i consulenti elettorali americani della Kevin Gillespie. Tombola, per gli Stati Uniti, riuscire a scaricare sull'Europa il pasticcio Kosovo, facendole perdere la Serbia.