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Le foreste ingoiate i circoli viziosi

di Marinella Correggia - 27/01/2008

 

A partire dagli anni 70 l'Amazzonia ha perso un quinto della sua superficie; un'area grande quanto la Francia. E dopo un periodo di speranza la situazione è tornata a essere disastrosa: il governo del Brasile ha dovuto ammettere che il tasso di distruzione di quel polmone del mondo, ha avuto un'accelerazione, negli ultimi cinque mesi del 2007. Fra agosto e dicembre infatti sono andati perduti 3.235 chilometri quadrati. Una stima preliminare che a detta del governo potrebbe perfino raddoppiare una volta che le immagini dal satellite saranno analizzate con una risoluzione più definita. Gilberto Camara, capo dell'Istituto nazionale per la ricerca spaziale, che ha fornito le immagini satellitari ha detto in conferenza stampa: «In questa stagione dell'anno non abbiamo mai visto un tasso di deforestazione così elevato». La distruzione è addirittura quattro volte maggiore di quella dello stesso periodo del 2004.
Il governo di Lula è ovviamente molto preoccupato. Solo pochi mesi fa, in luglio, il presidente Luiz Inacio Lula da Silva si era rallegrato per come il suo paese fosse riuscito a ridurre del 50 per cento il ritmo di deforestazione negli ultimi due anni, grazie al rafforzamento dei controlli sui tagli illegali di legname e a certificati più chiari circa la proprietà della terra. Di fronte alla novità, la ministra dell'Ambiente Marina Silva ha annunciato altre misure per combattere questo crimine planetario.
È importante cercare di capire perché è avvenuta questa inversione di un trend positivo. Secondo gli ambientalisti e la stessa Marina Silva, cruciale è l'aumento dei prezzi delle derrate agricole, che spinge l'agricoltura a entrare di più nella foresta in cerca di terra a buon mercato. Lo rivelerebbe l'economia stessa degli stati più interessati al fenomeno: il Mato Grosso(che ha perso 1.786 chilometri quadrati), e gli stati di Para' e di Rondonia. L'aumento del prezzo dei cereali, però, è a sua volta da mettere in rapporto con la corsa mondiale agli agrocarburanti, la quale moltiplica le competizioni sulle derrate e sulle terre. La principale motivazione dichiarata per la corsa agli agrocarburanti è lottare contro il cambiamento climatico; ma il contributo del Brasile a quest'ultimo è proprio legato principalmente alla deforestazione amazzonica.
Ecco perché è da circolo vizioso la recente conferma della decisione dell'Ue di puntare sugli agrocarburanti per il 10 per cento sul totale del trasporto entro il 2020. Un'idea «obsoleta e non necessaria», sottolinea il coordinamento ambientalista europeo Transport and Environment (T&E), «visto che la Commissione ha già un piano per ridurre le emissioni relative alla produzione di tutti i carburanti». La direttiva europea sulla qualità dei carburanti, infatti, nella sua versione provvisoria propone un obbligatorio taglio di queste emissioni del 10 per cento fra il 2011 e il 2020. Va invece in senso contrario la troppo moderata proposta europea per gli standard delle emissioni delle nuove auto. Prosegue T&E: «Per affrontare le sfide climatiche, l'Europa deve obbligare l'industria dell'automobile a portare sul mercato solo macchine che siano fino a 4 volte più efficienti di quelle di oggi. Ma la proposta europea attuale si limita a un obiettivo di 130 grammi di anidride carbonica per chilometro entro il 2012, il che può essere raggiunto già con la tecnologia esistente. Così, gli industriali non investiranno ulteriormente nell'efficienza del carburante». E c'è un'altra sorpresa: la Commissione propone standard di emissioni relativi al peso dell'automobile, il che favorirebbe la corsa ai fuoristrada ed eliminerebbe gran parte dell'incentivo a ridurre il peso del mezzo, che è il modo più facile ed economico per assicurare un minor consumo di carburante, di qualunque carburante. Ancor più importante sarebbe che l'Ue rivedesse - come chiedono gli ambientalisti - i finanziamenti della sua banca Bei ad autostrade e aeroporti, riducendo così il peso in CO2 e il consumo di carburante nei trasporti.