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Giochicchiano gli sciocchini

di Gianfranco La Grassa - 28/01/2008

 

 

Impegnerei 3-4 pagine di blog se riportassi le dichiarazioni di tutti i leader di sinistra (ivi compresa la sedicente “radicale”), anche soltanto negli ultimissimi mesi, tutte all’unisono basate su un unico concetto: “se il governo cade, si torna subito alle urne”. Questo leit-motiv serviva quale ricatto per i senatori recalcitranti a dare la fiducia ad un Prodi in continua involuzione/degenerazione fino a dimostrarsi il peggiore, più scombiccherato e incapace premier dell’intera storia d’Italia. In particolare, si ricordino le nette dichiarazioni in tal senso di D’Alema e Anna Finocchiaro; non esattamente aquile come si sostiene, ma pur sempre gli “orbi che sono re nella terra dei ciechi”. Adesso, non c’è un solo sinistro che non strepiti a sostegno della “responsabilità nazionale”, per cui è impossibile andare subito al voto (i “comunisti italiani” e i verdi, i più minchioni di tutti, chiedono addirittura il reincarico a Prodi).

D’Alema, al raduno della congrega denominata “italianeruropei”, ha invitato Berlusconi a pensare ai superiori interessi del paese e a non tentare rivincite, accettando il famoso governo istituzionale, favorito in questo dal presdelarep che sembra intenzionato a tirare per le lunghe con lo stesso scopo di evitare le elezioni. Il più chiaro segnale dell’imbroglio è fornito dagli ex Ds. L’altra sera a “Porta a Porta”, Fassino garantiva di non chiedere nulla più che una breve sosta per fare questa benedetta legge elettorale, ma solo per andare al voto in giugno invece che ad aprile. Oggi Veltroni chiede addirittura 8-10 mesi, forse anche un anno, per fare le “riforme” (non solo la legge elettorale). La gente probabilmente non segue nemmeno più queste astruserie, altrimenti l’indignazione non potrebbe non montare di fronte a tanta malafede e spudoratezza; questi sanno di essere annientati se si va al voto in due-tre mesi, chiedono tempo per far dimenticare le loro sozzerie.

Quando il loro governo metteva a terra il paese, quando tutti i sondaggi dimostravano che i tre quarti della popolazione erano a loro contrari, che si era ormai giunti allo stremo, nessuno di questi bellimbusti pensava ai supremi interessi della nazione staccando la spina all’ottuso premier; tutti presi dal loro particolare interesse di cosca al servizio dei topi che rodevano l’economia e il benessere degli italiani. Dare una pagella ai peggiori è impossibile; ognuno è peggiore dell’altro. Certamente, però, nemmeno i loro oppositori sono migliori. Di conseguenza, non ci sarebbe da sorprendersi se poi trovassero un accordo per rinviare decisioni da cui sono tutti terrorizzati poiché non sanno proprio che cosa fare.

Certamente, non penso che, a questo punto, l’indecente e meschino uomo di potere che fu Prodi riesca ad occupare – per conto dei suoi amici-padroni della finanza (Intesa ad esempio) – l’intero ventaglio dei posti di vertice negli apparati economici e politici, i cui titolari scadono entro pochi mesi (si parlava di almeno 600 nomine, adesso sembra che siano più di un migliaio). Destra e sinistra possono però spartirseli, cercando di fregarsi l’un l’altra, soprattutto confidando nella volubilità dei nuovi nominati, pronti a passare da una parte all’altra come hanno sempre fatto in questi anni. Intanto, il paese resterebbe “a mollo” in attesa di leggi elettorali “sicure”, che “garantiscano stabilità”, che ridiano credibilità alla cosiddetta Casta, ecc. Un’autentica “araba fenice”, esistente solo nelle menzogne di questi quaquaraqua.

Non sono in grado di capire se questo popolo è ancora capace di credere alle panzane; certo esiste lo zoccolo duro dei coglioni di sinistra, di quelli che ancora sono terrorizzati dal “fascismo” (sempre montante, da 14 anni a questa parte) di Berlusconi. Almeno un 25% di italiani appartiene alla schiera di questi coglioni; per liberarsene non bastano elezioni, sarebbe necessaria la fustigazione di uno su dieci (gli altri nove diventerebbero mansueti e “ragionevoli”). Tuttavia, ci sono poi quelli di destra, un altro zoccolo duro che crede sempre in un “malleabile” come Berlusconi; basta invece “accontentarlo” un po’, e diventa come cera, assume tutte le forme che si vogliono. Non c’è destra o sinistra che tenga, non si salva questo paese con simili imbroglioni e incapaci. Tuttavia, dietro i teatranti che si agitano sul palcoscenico, esiste una “classe dirigente” (economica) persino peggiore di loro. Ieri ha parlato proprio Il Peggiore: Montezemolo. Inutile riferire quello che ha detto; pregherei solo il responsabile del blog di inserire l’articolo odierno di Festa perché è esauriente. Purtroppo, quest’uomo sta riuscendo a farsi sostituire alla presidenza di Confindustria da una sua sodale che non credo proprio sia migliore di lui; rappresenterà quindi come al solito, ne ho la quasi certezza, il capitalismo assistito dallo Stato. L’Italia continuerà allora ad essere l’ultimo pezzo di “socialismo reale” (mentecatti quelli che credono sia invece la Cina, paese capitalistico in pieno sviluppo; pur se non è il nostro stesso tipo di capitalismo).

La nostra sfortuna è che le poche (troppo poche!) imprese “d’avanguardia” (Eni, Finmeccanica, Enel, Ansaldo, più frattaglie varie) sono per l’essenziale pubbliche; e dirette da apparati manageriali incapaci di fronteggiare con vigore una politica che, a sua volta, è asservita ai parassiti della finanza e dell’industria assistita (quella montezemoliana e dei suoi prossimi sostituti), con alle spalle la grande finanza americana. Quest’ultima, come spesso avviene, ha negli ultimi anni strafatto e si è così avvoltolata in operazioni che l’hanno messa in crisi; nell’insieme (in una prospettiva di medio periodo e per l’essenziale) funziona però da strumento di predominio del paese al momento ancora in buona parte centrale sul piano globale (pur se perde via via il suo “smalto”). Di conseguenza, noi ci troviamo in una situazione perversa, in cui siamo una sorta di “misto frutta” tra Repubblica di Weimar e paese europeo orientale all’epoca in cui esisteva il “campo socialista”.

Impossibile immaginare una condizione peggiore di questa. Per uscirne, occorrerebbe una vera “rivoluzione” che, al punto in cui siamo, dovrebbe prendere le mosse dalla sfera politica; ma che per realizzarsi compiutamente dovrebbe spazzare via – non tramite le elezioni, tanto meno con governi(cchi) di “responsabilità nazionale” – l’intero quadro politico attuale, cominciando però dalla sinistra, che è evidentemente la maggiore responsabile della suddetta condizione. Infatti, il “cattocomunismo” (l’unione di falso cattolicesimo e falso comunismo, due fondamentalismi che confluiscono in uno Stato autoritario, ma inefficiente, incapace di sintesi sociale, servo dei ceti più parassitari) è precisamente una mostruosa mescolanza di “socialdemocrazia” (responsabile del “weimarismo”) e di “comunismo”, cioè piciismo, responsabile di quella rassomiglianza con il “socialismo reale”, dovuta all’assistenza “pubblica” fornita al capitalismo “montezemoliano” e “bazoliano”; sia chiaro che i nomi personali contano poco, li uso solo per rendere più immediata e quasi visiva la percezione di un fenomeno così degenerativo e “strutturale” (non individuale).

Il problema non è certo quello di privatizzare le nostre poche imprese di eccellenza (in questo concordo con le preoccupazioni espresse da Cossiga nel suo gustoso intervento anti-Draghi). Tuttavia, queste aziende non debbono nemmeno rimanere sotto la pressione di forze politiche asservite al pessimo capitalismo italiano (e americano). Ci si salverebbe solo se si installasse al potere una forza in grado di liquidare brutalmente l’attuale quadro politico a partire dalla sinistra “cattocomunista”, di porre ai vertici delle suddette imprese manager del tipo degli “Enrico Mattei” (quanto meno, diciamo, dotati di ampi poteri e di reale indipendenza) e di mettere “a cuccia” (rendere cioè docile e sottomesso agli interessi generali) il capitalismo “montezemol-bazoliano”.

La prima misura da prendere è sicuramente l’innalzamento dei salari (basso-medi) e la riduzione della pressione fiscale, fregandosene del rapporto deficit/pil e rispondendo a brutto muso ad Almunia, Trichet, Fmi, società di rating, e compagnia cantando. Non per la stupida convinzione, nutrita perfino dai falsi comunistelli marxisteggianti, che si esca dalla stagnazione tramite aumento della domanda. Anzi, essendo ben consapevoli che misure del genere ci possono inizialmente creare ulteriori difficoltà, se non si mette subito in funzione un progetto di radicale mutamento strutturale dell’economia italiana, con la messa in primo piano dei settori e imprese dell’ultima ondata innovativa onde conseguire, nei tempi possibili, un netto incremento della produttività generale di sistema, in assenza del quale l’aumento del reddito disponibile “in tasca” ai cittadini non produrrebbe per nulla effetti positivi. Nel contempo, vanno certo rifiutate quelle scorciatoie (proposte ad arte da ben precisi ideologi degli attuali dominanti) che si rifanno alla precarizzazione, flessibilizzazione, ecc. del lavoro. Non è affatto così che si accresce la produttività generale di sistema; così si lascia intatta la struttura “weimarian-socialistareale” del sistema-paese, e si incrementano solo i profitti del parassitario capitalismo “montezemol-bazoliano”. Furbi sono questi, e hanno una massa di economisti e tecnici, in parte fasulli in parte consapevoli furbastri, che vanno buttati al macero assieme agli schieramenti politici attuali.

Mi rendo conto della difficoltà, forse impossibilità, dell’opera (non comunque gigantesca) da compiere. Se mai se ne parla, però, mai si pensa alla risoluzione del problema. E se non si risolve, allora – come nel finale del buon film di Magni Nell’anno del Signore – non si può che pronunciare lo stesso “saluto” gettato alla folla dal protagonista mentre infila la testa sotto la ghigliottina: “Buona notte, popolo”.