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"Crisi senza precedenti le ricette Usa non funzioneranno"

di Federico Rampini - 28/01/2008




"Ho visto tante crisi in vita mia, ma erano circoscritte a una zona geografica (Messico, Thailandia, Russia) o a un'entità finanziaria come lo hedge fund Ltcm, che fu salvato facilmente da un'azione concertata delle banche americane. Perfino la crisi delle Savings&Loans, forse la più grande per dimensioni, era localizzata negli Stati Uniti. Quella che stiamo vivendo invece riguarda l'intero sistema finanziario mondiale". A Davos per il World Economic Forum, il presidente del gruppo Cir e dell'Editoriale L'Espresso, Carlo De Benedetti, analizza la tempesta globale che è al centro dell'attenzione del summit.

Il robusto taglio dei tassi Usa può segnare una svolta, insieme con la manovra fiscale di aiuti alle famiglie che Bush e il Congresso stanno per varare?

"Questa è una crisi destinata a durare. La mossa inusuale della Fed, quando sarà stata digerita dai mercati nel suo significato reale, rischia di confermare un senso di affanno. Inoltre da Greenspan a Bernanke la banca centrale americana sembra preoccuparsi più di Wall Street che di Main Street, si focalizza sui problemi del mondo finanziario più che sull'economia reale. Si rischia di creare un moral hazard, dando l'impressione agli operatori finanziari che le autorità monetarie li mettono al riparo dal rischio. Dietro la proliferazione patologica di strumenti finanziari ad altissimo contenuto di indebitamento c'è un controllo insufficiente da parte della banca centrale. In quanto agli annunci dell'Amministrazione Bush finora sono accolti quasi con indifferenza dai mercati. Anche l'aiuto fiscale, come il taglio dei tassi, arriva comunque troppo tardi".

Qui a Davos gli esponenti dei governi, i banchieri, gli imprenditori e gli economisti si interrogano sulla natura della "frenata" americana: è recessione?

"Non è molto rilevante il dibattito semantico tra chi sostiene che la recessione è già in atto e chi preferisce ancora parlare di un pesante rallentamento. In realtà nessuno sa quando toccheremo il fondo del barile. Di certo la caduta del mercato immobiliare americano non è un fenomeno che si esaurisce in un trimestre. C'è il rischio che quanto abbiamo visto finora sia solo un inizio. Sul mercato interbancario c'è una semiparalisi, perché ogni banca teme che la banca di fronte abbia un bilancio peggiore del suo. Il sistema creditizio fornisce linfa vitale all'attività delle imprese, è illusorio pensare che non ci siano conseguenze sugli investimenti produttivi e sull'economia reale".

C'è ancora chi spera nel decoupling: e cioè che l'Unione europea e l'Asia possano sganciarsi dal ciclo americano.

"Nell'Unione europea lo choc potrebbe essere un po' meno severo perché non c'è quell'eccesso di indebitamento delle famiglie di cui soffre l'America. Tuttavia nessuno è al riparo, tantomeno l'Italia che è l'anello debole fra le economie europee. In quanto all'Asia, è più probabile che riesca ad evitare una recessione, ma non manterrà ritmi di sviluppo così vigorosi da trainare la crescita mondiale ai livelli degli anni precedenti. Bisogna avere presente le esigenze differenti delle diverse aree del mondo. Una crescita del Pil limitata all'1% non è brillante ma neppure catastrofica per continenti di vecchia industrializzazione come Stati Uniti ed Europa. Per la Cina invece crescere "solo" del 5% (dall'11% attuale) sarebbe un serio problema. Per loro natura quei giganti emergenti hanno bisogno di tenere una velocità di sviluppo molto sostenuta. Chi spera nel decoupling sottovaluta poi i meccanismi di interconnessione che legano i soggetti dell'economia globale. Una contrazione dei consumi negli Stati Uniti penalizza tutte le nazioni che esportano su quel mercato. La domanda endogena della Cina non può supplire da sola, se l'America riduce le sue importazioni".

Dopo i mutui subprime dove può scoppiare il prossimo "incidente"?

"E' vulnerabile l'intero settore dei finanziamenti al consumo, cominciando dalle carte di credito. Negli Stati Uniti spesso i consumatori possiedono più di una carta di credito e le utilizzano fino al massimo scoperto consentito. Alcune banche che emettono carte di credito cominciano a segnalare insolvenze dei clienti fino al 30%. Più in generale, lo stesso progresso tecnologico che ha favorito la creazione degli strumenti derivati ha cambiato le regole del gioco della finanza. La massa monetaria definita secondo i criteri tradizionali non è più un indicatore che rappresenta la realtà in modo adeguato. Le banche che hanno creduto di eliminare il rischio attraverso la cartolarizzazione, oggi se lo vedono tornare a casa su una scala moltiplicata".

In tutti i paesi si assiste a un'ondata di riscatti dai fondi comuni d'investimento. In uno scenario dominato dall'incertezza quali regole dovrebbe seguire un risparmiatore?

"La liquidità e i buoni del Tesoro sono un rifugio. E a prescindere dalle previsioni che si possono fare sul futuro del dollaro, per chi vive e spende il suo reddito nell'Unione europea è naturalmente più prudente investire in euro".

Come si innesta questa crisi sui cambiamenti strutturali dell'economia globale, sui nuovi rapporti di forze tra le grandi aree del mondo?

"L'assetto su cui si è fondata l'economia internazionale negli ultimi 60 anni è finito per sempre, ed è urgente prenderne atto. Non ha senso oggi un sistema dove la Russia non è nel Wto, dove all'America spetta di diritto la nomina al vertice della Banca mondiale e l'Europa sceglie il direttore generale del Fondo monetario. Tutto questo rappresenta un mondo che non c'è più. Bisogna ricostruire le istituzioni della governance globale perché rappresentino gli equilibri di oggi, non quelli post-bellici. La sfida positiva è quella di una democratizzazione del sistema di governance, che accolga grandi nazioni emergenti e assegni a ciascuno ruoli e responsabilità adeguate. Naturalmente, per chi aveva dominato finora, i futuri aggiustamenti possono essere dolorosi. La globalizzazione non è una teoria, né riguarda soltanto il commercio: avvengono spostamenti formidabili nei pesi delle economie. Il declino strutturale della funzione del dollaro - al di là di quel che accade al suo tasso di cambio - registra questa svolta storica".

La difficoltà ad accettare questi nuovi equilibri di potere traspare da alcune reazioni occidentali di fronte all'irruzione dei fondi sovrani, un altro fenomeno molto discusso al World Economic Forum. Gli investimenti delle istituzioni finanziarie controllate dai governi asiatici o mediorientali hanno già suscitato allarme, soprattutto in Francia e in Germania.

"La Francia ha sempre nutrito delle diffidenze verso gli investitori non francesi. La Germania è spaventata dall'invasione delle cosiddette "locuste" perché è ancora affezionata a un'idea di stabilità del rapporto banca-impresa, anche se in realtà lo spostamento del controllo verso i mercati è inesorabile. Quel che è accaduto in America è significativo. Con le prime crisi bancarie e le prime ricapitalizzazioni di gruppi come Citibank il segretario al Tesoro Paulson ha chiamato a raccolta paesi alleati come Abu Dhabi. Poi via via che i problemi si allargavano non si è potuto evitare l'ingresso nel sistema bancario americano del fondo sovrano della Repubblica popolare cinese, controllato dalla superpotenza rivale degli Stati Uniti. Quando si ha un bisogno impellente di capitali non si guarda troppo per il sottile. Il ruolo crescente dei fondi sovrani corrisponde a una realtà macroeconomica: il forte squilibrio tra l'accumulazione di riserve valutarie nei paesi emergenti, a fronte di un risparmio negativo negli Stati Uniti, e in calo in Europa".