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Geopolitica dell'energia

di Fabrizio Vielmini (*) - 28/01/2008



Sito a Trento, il Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale (CSSEO) è da anni attivo nell’organizzazione d’eventi dedicati all’approfondimento ed allo studio della situazione dell’“Estero vicino” europeo. L’ultimo della serie si è svolto gli scorsi 10-11 dicembre col titolo “Geopolitica dell’energia” ed ha presentato un numeroso ed interessante parterre d’interventi, a riconferma dell’interesse dei convegni organizzati dal CSSEO.

Al di là della varietà d’opinioni espresse, sin dal primo intervento, dell’organizzatore Fernando Orlandi (“La leva energetica russa e la sicurezza energetica dell’Unione Europea”) un preciso tono veniva dato alla discussione, quello della sedicente minaccia che una Russia decisa a usare le proprie risorse quale strumento per la propria affermazione sulla scena internazionale porrebbe oggi all’Europa. Nella realtà i problemi della politica energetica europea sono lungi da derivare dalle sole presunte minacce esterne. Come indicato dallo stesso Orlandi, essi sono in primo luogo interni, causati in particolare da istituzioni europee che hanno abdicato dalla definizione di una politica energetica delegando tale compito a dicasteri economici privi della necessaria visione strategica richiesta dalla materia. Si sarebbe potuto aggiungere che il delineare schemi geoeconomici animati essenzialmente dalla volontà di escludere gli interessi di Mosca dalla riva orientale del Caspio non è necessariamente il modo migliore per inserirsi con successo in una regione talmente difficile. Volendo andare ad intromettersi in relazioni complesse e consolidate, il più della volte partendo da scarsa conoscenza di tale complessità, gli europei sono stati facilmente sbaragliate dalle contromosse degli stessi che avrebbero voluto escludere. Si parla qui del progetto “Nabucco”, un gasdotto pensato per portare idrocarburi del Caspio in Europa attraverso Turchia e Balcani circumnavigando il territorio russo. A tale progetto, V. Putin ha inflitto lo scorso maggio un colpo mortale firmando con i presidenti di Kazakistan, Turkmenistan ed Uzbekistan un accordo per la ristrutturazione della rete che collega l’Asia centrale alla Russia. Giunta al termine nonostante una mobilitazione senza precedenti d’esponenti diplomazia europea e statunitense volta a convincere i suddetti presidenti ad aderire allo schema del Nabucco, l’intesa ha dimostrato tutta la vacuità della politica europea nella regione.
Con simili strateghi a Bruxelles c’è dunque, letteralmente, da star freschi in Europa. Anche perché reali sono le preoccupazioni a riguardo della gestione dei flussi energetici da parte di “Gazprom.” Il colosso di Stato dell’energia è infatti negligente a rinnovare la rete interna, nonostante questa sia caratterizzata da enormi inefficienze poiché impegnata in una strategia d’espansione della propria posizione all’interno delle economie europee. Verrebbe tuttavia da chiedersi quanto i russi vengano spinti in questa direzione proprio dalla consapevolezza di trovarsi di fronte a strategie volte ad escluderli da questi stessi mercati.

Ma restando al convegno trentino, la prima relazione, di Federico Bordonaro (Equilibri.net), ha aiutato a inquadrare un elemento chiave sottostante a tutta la questione degli idrocarburi e delle infrastrutture dal Caspio: fra l’Europa e il “ventre molle” della Russia (con il suo vaso di Pandora di conflitti ed instabilità) le centrali atlantiche si ingegnano ormai da 15 anni a questa parte a creare un “complesso di sicurezza”, ovvero ad inserire saldamente la NATO lungo la direttrice Caspio-Transcaucaso, giustificando l’operazione anche con l’argomento della sicurezza delle forniture energetiche. Bene ha fatto Bordonaro ad evidenziare la paternità di tali idee presso il German Marshall Fund of the United States, il quale si è avvalso dell’apporto di un noto russofobo quale Vladimr Socor (in forza alla Jamestown Foundation, di Washington, struttura che pubblica il bollettino settimanale Chechnya Weekly, voce de l’American Committee for Peace in Chechnya di Zbigniew Brzezinski), mente del progetto di “Grande regione del Mar nero” (Wider Black Sea Region), anello chiave per saldare l’Europa al Caspio sotto la supervisione della NATO. Bordonaro ha notato come il citato concetto sia contemporaneo di quello di “Grande Medio Oriente”, accomunati entrambi dall’essere costruzioni geopolitiche artificiali per la manipolazione di spazi strategici chiave, aggiungiamo noi, nella più diretta e pura tradizione dell’Impero britannico. Il relatore ha anche evidenziato come, cercando di comprimere simili regioni perno nell’ambito di uno stesso disegno, la strategia atlantica abbia fatto il passo più lungo della gamba. E’ illusorio attendersi che i popoli che abitano un simile “corridoio fra gli Imperi” possano condividere un’identica concezione della propria sicurezza. Così che di fronte ad una tale frammentazione il concetto di “sicurezza energetica” (al centro dell’intervento di Lorena Di Placido del Cemiss su Europa ed Asia Centrale) appare decisivo per unire sotto l’ombrello della NATO i rissosi vassalli orientali del blocco euro-atlantico. Già parte dello strumentario concettuale NATO sin dallo Strategic Concept del 1999, che cita quale minaccia per i membri “the disruption of vital resources’ flows”, la “sicurezza energetica” ha ricevuto un’attenzione particolare da parte dei capi di Stato dell’Alleanza al vertice di Riga (par. 45 della Dichiarazione finale, 29/11/2006).

Se all’Europa fosse dato d’occuparsi delle questioni energetiche eurasiatiche a mente fredda e senza distorsioni delle questioni di sicurezza anche altri elementi dovrebbero essere tenuti in considerazione, quali la posizione cinese all’interno della competizione per le risorse caspiche, elemento rimasto piuttosto al di fuori delle discussioni del convegno. Anzi, la Cina, secondo un organizzatore, sarebbe un “falso problema”, dato che Pechino, disponendo di abbondanti riserve di carbone, non sarebbe interessata più di tanto a pesare nella partita caspica. Tale visione è suonata ai più piuttosto sconcertante, quasi fosse stata avanzata per evitare che la tensione della discussione si distogliesse dalle presunte minacce rappresentate dalla Russia. Così numerosi partecipanti hanno voluto sottolineare una realtà dove la Cina, i cui consumi energetici crescono esponenzialmente di anno in anno, potrebbe facilmente assorbire la totalità della produzione locale.

Come difficilmente poteva essere altrimenti, gli interventi più interessanti della prima giornata, sono venuti da due figure che traggono le proprie conoscenze dal contatto quotidiano coi terreni centrasiatico e della gestione dell’energia: Alessandro Liamine (Politica ed energia in Kazakistan: recenti sviluppi e implicazioni per gli interessi internazionali) e Carlo Forli (L’approvvigionamento energetico dell’Italia con particolare riferimento al gas russo e dell’Asia centrale). Quest’ultimo, un tipico “addetto ai lavori” di formazione ENI, ha illustrato come la fruizione del bene gas richieda in virtù della natura dello stesso la costituzione di un sistema di accordi, diplomatici prima che infrastrutturali, indispensabili i primi a garantire le certezze base per contratti che per essere validi commercialmente devono avere una durata più che decennale.
L’ing. Forli ha anche ricordato le difficoltà oggettive in cui incorre la gestione di un sistema quale quello russo, dove nei momenti di massima sollecitazione meteorologica cali di pressione che si ripercuotono sul consumatore europeo sono fisiologici ed inevitabili. In definitiva, per l’esperto è importante che al concetto di “rischio da dipendenza” si sostituisca quello di interdipendenza: se fra due paesi viene instaurato un solido legame questo è condizione sufficiente per garantire la sicurezza energetica e la certezza delle forniture. La verifica della validità di tale concetto viene dall’esperienza decennale della cooperazione fra ENI e Gazprom.
Un simile messaggio è venuto anche da Liamine, incaricato d’affari politici presso la delegazione della Commissione UE in Kazakhstan. Anche secondo questi, soprattutto di fronte alle complesse sfide che le repubbliche centrasiatiche presentano per la diplomazia europea, è chiaro che se si vuole essere presenti sul Caspio con la Russia si può ed è auspicabile cooperare.

Sempre in questa prima giornata, dato che parlando di “leva energetica” si sono fatti paragoni con la diplomazia che fu dell’Unione Sovietica, è stato interessante ascoltare le conclusioni dello studio presentato da Ksenja Demidova - The Soviet-Western European Relationship in the framework of gas trade: the question of political leverage. L’autrice ha rilevato cole il tema dell’“arma energetica dei russi”, già ampiamente diffuso sin dai primi contatti in materia fra Mosca e Bonn negli anni 70’, non regge ad un’analisi oggettiva dei fatti. In larga misura come l’odierna Russia, anche l’URSS di Brežnev aveva una necessità vitale della valuta provenientegli dalla vendita del gas agli europei e non si sarebbe quindi sognata d’interrompere le forniture per operare pressioni politiche.

Il secondo giorno del convegno si è avviato con un’analisi della storia e del funzionamento attuale della Carta dell’energia (enunciati rispettivamente da Antonio Pierluigi Conti, ex-Farnesina, e Graham Coop del segretariato omonimo), tema anch’esso più che contingente poiché al centro dei negoziati fra Mosca e Bruxelles in materia d’energia. Chiudeva la mattinata, l’interessante intervento L'Artico: una nuova frontiera dell'energia? di un altrettanto singolare autore, il bashkiro émigré ad Oxford Shamil Midhatovič Yenikeyeff, che a dispetto di nome con patronimico si rifiutava di parlare russo pubblicamente anche quando interpellato in tale lingua, presentandosi solo quale cittadino britannico.
Improrogabili questioni familiari hanno impedito all’autore di queste note di assistere alle ultime due sezioni previste per il pomeriggio. Da notare fra esse un’analisi delle relazioni russo-iraniane presentata da uno studioso, Clément Terme, permanentemente basato a Teheran per conto dell’IFRI di Parigi. Un punto di vista particolare, su un tema complesso, in cui l’autore problematizza la convergenza concreta d’interessi fra i due paesi. Una salutare ventata di realismo per chi, come probabilmente la maggior parte dei lettori di questa rivista, ha tendenza ad idealizzare le “convergenze imperiali” dei due grandi paesi, le quali restano nei fatti ben al di là del loro potenziale in virtù di una complessa serie di fattori storici e domestici.

Pur non avendo potuto assistere, sulla carta, il resto degli interventi conferma l’impressione di un certo, voluto, sbilanciamento analitico nell’approccio al complesso tema dell’energia eurasiatica. Fra gli ultimi relatori spiccavano ben tre dipendenti di quello che è stato a lungo un organo chiave della CIA e della propaganda USA in Europa ed Eurasia, Radio Free Europe-Radio Liberty (RFE/RL). Si trattava di Donald Jensen (Soldi (e potere) nel Cremlino: il business alla vigilia delle elezioni presidenziali), già alla sezione politica dell’ambasciata USA a Mosca, ora supervisore dei materiali analitici RFE/RL da Whashington, Victor Yasmann, (Il potere dei Siloviki nella Russia di Putin), ex-cittadino sovietico passato all’Occidente alla metà degli anni 80’; Roman Kupchinsky, veterano dell’US Army in Vietnam oggi direttore RFE/RL per l’Ucraina (Il labirinto del gas Gazprom-Ucraina).
Ciliegina sulla torta, l’incontro avrebbe dovuto veder la presenza (annullata per problemi logistici) di un associato di Mikhail Khodorkovsky, Robert Amsterdam con un intervento sul suo patron e la Yukos in cui c’è da dubitare che l’autore avrebbe fornito dettagli sulla “strategia di spoliazione dell’azienda e di trasferimento del bottino all’estero, dove gli stessi azionisti hanno (avevano, n.d.r.) prudentemente trasferito le loro domiciliazioni” (1) mentre c’è da scommettere sarebbero abbondati gli attacchi contro la Russia di Putin.

In guisa di conclusione si può notare un parallelismo con molti dei problemi evidenziati da Enrico Galoppini in una sua precedente nota a proposito della presentazione di un libro sul Medio Oriente a Torino [Il “Grande Medio Oriente” a Torino (un punto di vista critico)]. Dal modo in cui avviene in Italia la discussione su simili regioni e questioni chiave per l’avvenire dell’Europa traspare chiaramente l’assenza di strutture universitarie che affrontino in modo organico gli studi di area così come la mancanza di credibilità di un’Europa che appare anche qui largamente incapace di smarcarsi da visioni e strategie che vengono elaborate oltreoceano col preciso scopo di fissare nel tempo e nello spazio l’attuale irrilevanza strategica del continente.
Quando si tratta di Russia appare poi quanto ancora considerazioni appesantite da orientamenti russofobici offuscano la percezione europea di quella realtà, pregiudicando le enormi possibilità d’interagire con essa dischiusesi con la fine del bipolarismo.

Gli atti del convegno verranno pubblicati quest’anno: c’è da augurarsi che nella diversità delle opinioni espresse stimolino una riflessione più conseguente e comprensiva delle sfide reali poste dalla questione energia nella sua declinazione eurasiatica.


Vielmini, Fabrizio: esperto di Russia e Asia Centrale, dal 2002 risiede permanentemente in Kazakistan. Collabora con la fondazione tedesca "Friedrich Ebert" e coll'Istituto Italia-Kazakistan di Roma. È analista per numerose testate italiane e francesi, tra cui Limes e Il manifesto. Contributi pubblicati in EURASIA. Rivista di studi geopolitici: La presenza militare USA in Asia Centrale (nr. 3/2005, pp. 39-54).

1. G. Sacco, La Russia a rischio d’oligarchia, “Limes”, n. 3, 2004, p. 178.