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Serbia. Nikolic verso la vittoria?

di Stefano Vernole - 30/01/2008




Il ballottaggio per le elezioni presidenziali serbe, previsto per domenica 3 febbraio 2008, vede sempre più favorito il candidato del Partito Radicale Tomislav Nikolic e questo, paradossalmente, proprio grazie all’insipienza dell’Unione Europea.
Il rinvio al 7 febbraio dell’accordo di Associazione e Stabilizzazione (ASA) della Serbia all’Europa (cioè a dopo i risultati elettorali e magari subito dopo la proclamazione d’indipendenza del Kosovo che Thaci vorrebbe annunciare per il 6 febbraio), addolcito con un momentaneo “accordo politico di cooperazione”, contribuisce a far pendere la bilancia di Belgrado sempre più verso il nazionalismo filo-russo (proprio oggi Nikolic è stato ricevuto alla Duma di Mosca).
Il sottosegretario agli Esteri italiano Famiano Crucianelli, così come gli altri diplomatici di Bruxelles, ritengono con questa mossa di aver favorito il candidato filo-atlantista Boris Tadic, affermando che “Se ci fosse una curvatura nazionalista e radicale in Serbia, il documento perderebbe di significato”.
In definitiva, l’Unione Europea ritiene di poter utilizzare ancora la tattica del “bastone e della carota”, facendo intravedere a Belgrado la possibilità di un’integrazione continentale a patto che il suo popolo si dimostri “maturo” e voti al ballottaggio per il presidente in carica Boris Tadic, ovviamente molto più malleabile di Nikolic sull’allentamento della sovranità nazionale, sia in campo politico-militare che economico.

Facendo questo ragionamento l’Europa non ha però tenuto conto di due importanti fattori:
1) il popolo serbo è stanco delle promesse, dei ricatti e dei condizionamenti che dagli anni Novanta in avanti, hanno condizionato tutto il suo percorso europeo. L’Occidente iniziò con le sanzioni economiche susseguenti allo sfascio della Jugoslavia, ma giustificate col pretesto che Slobodan Milosevic “osava” difendere i Serbi rimasti all’interno delle nuove frontiere e discriminati dagli Stati nascenti (Croazia e Bosnia Erzegovina). Volendo negare, unico caso nei Balcani, l’autodeterminazione ai Serbi di Bosnia, la NATO ne bombardò le postazioni, fornendo un contributo indispensabile allo sforzo bellico croato-musulmano (pulizia etnica in Krajina compresa). E fu Dayton, con Milosevic acclamato quale “uomo della pace”. Nel 1999, siccome la Serbia non accettava l’occupazione militare da parte della NATO prospettatagli a Rambouillet, diciotto paesi contro uno (più l’UCK quale sgangherato “esercito di terra”) aggredirono in maniera terroristica l’ultima Federazione Jugoslava (bombardando anche il Montenegro che avrebbe voluto rimanere neutrale) per 78 giorni, in spregio assoluto del diritto internazionale. A Kumanovo si promise che il Kosovo sarebbe comunque rimasto parte della Serbia, seppur provvisoriamente sotto amministrazione internazionale, ma oggi sappiamo da William Montgomery, ex ambasciatore statunitense a Belgrado, come fin dall’inizio dei bombardamenti del 1999, l’idea fissa della NATO fosse quella di strappare il Kosovo alla Serbia (l’atteggiamento di Washington sul rispetto dei trattati non è cambiato di una virgola dai tempi del genocidio degli Indiani d’America). Successivamente si fece ricadere tutta la colpa della drammatica situazione serba sul Presidente jugoslavo e le urne, un po’ per l’azione delle ONG targate Soros-CIA, un po’ per la debolezza di Milosevic, un po’ per la voglia di cambiamento che aleggiava a Belgrado, permisero il cambio di governo tanto atteso e, “finalmente”, uomini graditi all’Occidente sedevano sugli scranni più alti della Serbia. Intanto, però, la mafia albanese targata UCK espelleva dal Kosovo 280.000 persone appartenenti alle minoranze della Provincia, serbo-montenegrini innanzitutto, ma anche Rom, Turchi e Gorani (gli slavi musulmani), mentre la NATO, incaricata di proteggerli, stava a guardare. Poco dopo anche il Montenegro, con un “bel” referendum condizionato dalla mancata firma della Serbia al trattato di associazione all’Unione Europea, si staccava da Belgrado, dimostrando che la volontà indipendentista dello staterello sull’Adriatico non era dovuta alla presenza di Milosevic (rinchiuso e poi avvelenato all’Aja) ma alle mire stabilizzatrici del trafficante Milo Djukanovic e al desiderio degli Stati Uniti di procurarsi basi navali a Cattaro e a Bar. Ma anche questo non bastava, come disse la sig.ra Del ponte “Belgrado non merita niente”, e si bloccò il processo di adesione della Serbia all’Unione Europea a causa della mancata consegna di Radovan Karadzic e Ratko Mladic (cittadini bosniaci …). Ora, siccome anche gli stupidi hanno capito che dopo le elezioni presidenziali del 3 febbraio, gli Albanesi proclameranno la loro indipendenza dalla Serbia (con l’Albania che si dice pronta a fornirle l’aiuto energetico in caso di sanzioni da parte di Belgrado) e l’Unione Europea l’accetterà (come trapelato dall’agenzia di stampa “Il Velino”, Bruxelles sarebbe disposta a riconoscere anche la secessione da Pristina dei Serbi di Kosovska Mitrovica nord, città che diventerebbe il polo d’attrazione per le enclavi serbe della Metohija), sarebbe utile dare un’occhiata ai recenti sondaggi, che attestano come l’ordine di gradimento dei Serbi per il loro futuro geopolitico sia: Federazione Russa (al primo posto), Unione Europea (al secondo ), NATO (all’ultimo posto). I diplomatici italiani ed europei ignorano (forse) che Tomislav Nikolic non ha mai affermato di essere contrario all’adesione della Serbia all’Unione Europea, bensì di non volere associarsi all’Europa se questo deve comportare la perdita del Kosovo e Metohija. Un caso isolato? Niente affatto. Dopo il primo turno delle presidenziali, l’attuale capo del governo di Belgrado, Vojislav Kostunica, ha offerto i propri voti (decisivi) per il ballottaggio a favore di Tadic, in cambio del non assenso dell’attuale Presidente serbo alla nuova missione europea in Kosovo, iniziativa che contraddirebbe la Risoluzione 1244 delle Nazioni Unite e che costituirebbe una premessa per il processo d’indipendenza della Provincia. Ma Tadic ha sdegnosamente rifiutato la proposta e ora l’Unione Europea, invece di dimostrare la propria buona fede offrendo un futuro d’integrazione continentale alla Serbia, pratica il solito ricatto, facendo finta di non conoscere né le recenti prese di posizione di Kostunica contro un “Kosovo indipendente quale Stato fantoccio nelle mani della NATO”, né la psicologia dei Serbi, che storicamente tutto hanno dimostrato di saper sopportare tranne le offese alla propria dignità nazionale. Soprattutto ora che hanno capito come la causa delle loro disgrazie non fosse né Slobodan Milosevic né il loro nazionalismo, ma l’importanza geopolitica e geostrategica della Serbia.
2) Proprio in considerazione di quest’ultimo fattore, Mosca e Washington stanno conducendo una gara cinica ma comprensibile (data la posta in gioco), che alla fine si rivelerà (almeno tatticamente) vincente per entrambe. Come sottolineato dal Ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, “In qualche modo la Russia e gli Stati Uniti hanno condotto il gioco nei Balcani, e a noi toccherà pagare, come in altre occasioni, il conto”; peccato che il capo della Farnesina si dimentichi di aggiungere come l’attuale impasse dell’Europa sia dovuta proprio alla sua testardaggine nel voler rimanere all’interno dell’Alleanza Atlantica, senza costituire un esercito europeo indipendente dal comando nordamericano. La strategia dalemiana, rafforzare la NATO come contrappeso all’unilateralismo dell’Amministrazione Bush, ha al contrario spinto l’Italia e l’Europa intera ad assecondare sempre i desideri di Washington su tutte le questioni controverse. Il sì europeo-statunitense all’indipendenza del Kosovo ma non a quella della Republika Srpska, della Transnistria o dell’Abkhazia (per non parlare dell’Ossezia del Sud o del Nagorno Karabakh), ha dimostrato come l’Occidente continui ad applicare la politica dei due pesi e delle due misure nelle relazioni internazionali. Se quindi l’Europa dovrà in futuro pagare ancora i costi di un possibile nuovo conflitto nei Balcani, le colpe saranno soprattutto sue. Attualmente l’ipotesi più probabile riguarda proprio la spartizione del Kosovo, della Bosnia e della Macedonia, un processo ad incastro che difficilmente potrà riuscire in maniera indolore. In ogni caso, esso prevede una Serbia amputata del Kosovo (occupato dalla NATO) e pronta a trasformarsi in una base russa, con un’area d’instabilità che attraverserebbe tutta la Penisola balcanica, considerando che già adesso la Grecia si trova sotto accusa per aver acquistato materiale militare importante da Mosca e non da Washington (con tutto ciò che ne concerne in termini di standard del proprio esercito, sempre più lontano dai parametri richiesti ai paesi NATO). La partita sulla scacchiera allora continua, con gli Stati Uniti che vogliono destabilizzare i Balcani, alfine di danneggiare le relazioni economiche Bruxelles-Mosca, e con la Russia che cerca di riguadagnare posizioni in un’area geopolitica centrale per il passaggio degli oleodotti petroliferi e dei gasdotti. Proprio in virtù di questo scenario, anche Boris Tadic ha commesso un errore politico decisivo, nell’affrettare il suo consenso alla tutela russa sulla Serbia, ormai inevitabile dopo il via libera a Gazprom per la Nis petroleum e per il South Stream (la Serbia gode anche del Trattato di libero scambio con la Russia, privilegio concesso solo ai membri della CSI). L’attuale presidente serbo vorrebbe così presentarsi agli elettori come il garante dell’amicizia con la Russia, attualmente vista dal suo popolo come l’unico vero alleato, al punto che le manifestazioni nazionaliste si caratterizzano per l’esposizione dei ritratti di Vladimir Putin, non solo in Serbia ma anche in Bosnia e in Kosovo. Per quale motivo, però, il popolo serbo dovrebbe votare al ballottaggio per un candidato, da sempre filo-occidentale, ma costretto dalle circostanze a rincorrere i più coerenti Radicali sui temi della difesa del Kosovo e dell’amicizia con la sorella ortodossa di Mosca? Siamo proprio sicuri che aldilà delle dichiarazioni ufficiali del Ministro degli Esteri Lavrov (“La Russia è equidistante da entrambi i candidati”), il Cremlino non abbia già deciso di sostenere Tomislav Nikolic, apparso durante la campagna elettorale sereno ed equilibrato come non mai, visto che la spartizione delle zone d’influenza sembra essere stata decisa preventivamente? Soprattutto perché Vladimir Putin ha sferrato un colpo decisivo al possibile consenso di Mosca su una nuova missione europea in Kosovo, definendola “in contrasto con la Risoluzione 1244, con lo statuto dell’ONU e con i principi generali delle operazioni di pace”.


* Giornalista pubblicista, redattore di “Eurasia” e coautore di “La lotta per il Kosovo”, Edizioni All’Insegna del Veltro, Parma, 2007.