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Gaza: dove si andrà a finire?

di Ali Abunimah - 31/01/2008

 





Buona parte di Gaza sta ancora una volta al buio, poiché Israele ha tagliato il carburante alla sua unica centrale elettrica. I pazienti dell’ospedale sono – a quel che si dice – morti, le comunicazioni sono interrotte, e i traffici ed il commercio, in un’economia già sotto assedio, sono arrivati a un punto morto.

Michele Mercier, portavoce del Comitato Internazionale della Croce Rossa, ha detto che gli ospedali di Gaza disponevano di medicinali “ma non dureranno per più di due o tre giorni”. Ora, gli abitanti di Gaza devono fronteggiare anche la possibilità che i rifornimenti di cibo già insufficienti vengano tagliati. Christopher Gunness del UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i soccorsi, ha detto che l’agenzia potrebbe essere costretta a sospendere la distribuzione di cibo a 860.000 persone a causa della scarsità di carburante e di buste di plastica.

Il New York Times, sempre tra coloro che forniscono gli opportuni eufemismi, ha riferito che “Il ministro della difesa d’Israele, Ehud Barak, ha ordinato il blocco temporaneo di tutte le importazioni nella Striscia di Gaza governata da Hamas, la scorsa settimana. Questa misura, insieme ad un aumento delle operazioni militari a Gaza, ha lo scopo di persuadere i militanti palestinesi del luogo a cessare il lancio di razzi contro Israele.” (Isabel Kershner, “Fuel Shortage Shuts Gaza Power Plant, Leaving City Dark” [La scarsità di carburante fa chiudere la centrale elettrica di Gaza, lasciando la città al buio] , 21 Gennaio 2008)

Termini come “misure” e “persuasione” suonano così gentili. Ma essi nascondono una realtà brutale di cui i capi d’Israele si vantano volentieri: essi agiscono con premeditazione per infliggere sofferenze alla popolazione civile palestinese, e mettono in mostra uno straordinario livello di durezza nei confronti delle proprie vittime.

Israele deve istruire il suo esercito a “eliminare il lancio di razzi da Gaza” totalmente, “a prescindere dal prezzo pagato dai palestinesi”, ha detto il ministro dell’interno israeliano Avi Dichter al consiglio dei ministri la scorsa Domenica (“Dichter: dobbiamo fermare gli attacchi da Gaza a tutti i costi”, Ynet, 20 Gennaio 2008).

“Stiamo colpendo la qualità globale della vita di Gaza e stiamo distruggendo le infrastrutture del terrore”, si è vantato il ministro della difesa Ehud Barak.

Mentre le notizie delle crescenti sofferenze uscivano da Gaza, il primo ministro Ehud Olmert forniva un’ulteriore conferma che i civili rientrano nella lista dei bersagli d’Israele: “Stiamo cercando di colpire solo quelli che sono coinvolti nel terrorismo, ma anche di segnalare alla popolazione di Gaza che non può essere considerata priva di responsabilità per la situazione”. Con il carburante che sta per finire, egli si permette anche di sbeffeggiare: “Per quanto mi riguarda, tutti i residenti di Gaza possono andare a piedi e non avere carburante per le loro macchine perché hanno un regime terrorista assassino che non permette alle persone nel Sud d’Israele di vivere in pace.”

La punizione della popolazione di Gaza a quanto pare sta avendo successo oltre le più rosee aspettative d’Israele. Un anonimo funzionario della difesa israeliano ha detto il 20 Gennaio al Jerusalem Post “che le forniture di cibo a Gaza stanno diminuendo e finiranno a metà settimana” (“Gaza food will run out by midweek”[Il cibo a Gaza finirà a metà settimana], 20 Gennaio 2008). Nel frattempo, il quotidiano israeliano Haaretz citava “Funzionari della sicurezza israeliani” che hanno detto “che le difficoltà di fornitura elettrica nella Striscia di Gaza erano maggiori di quanto Israele si era aspettata in precedenza quando aveva tagliato il carburante al territorio costiero il giorno prima” (“Barak: Gaza to get one-time fuel, medicine delivery”, 21 Gennaio 2008).

I capi d’Israele stanno solitamente attenti a intessere le loro dichiarazioni con negazioni pro forma della loro volontà di creare deliberatamente una crisi umanitaria – sebbene essi non definiscano mai quale livello di sofferenza deliberatamente inflitta possa varcare quella soglia. I residenti di Gaza “sono ostaggio di un regime pazzo, ma non c’è lì una vera crisi umanitaria”, ha detto il ministro Zeev Boim, riferendosi a quanto pare ad Hamas, non al suo stesso governo.

La logica sembra essere quella che Israele può fare qualsiasi cosa voglia, fino a quando vi saranno persone che usano eufemismi per descrivere la situazione. Come Dov Weissglas, il consigliere di Olmert, ha notoriamente detto quando Israele ha iniziato lo strangolamento di Gaza all’inizio del 2006, “E’ come un appuntamento col dietologo. I palestinesi diventeranno un po’ più magri, ma non moriranno”. Ma essi muoiono, in gran numero. Alcuni israeliani di livello top hanno messo in chiaro di non credere realmente che i civili palestinesi neppure esistano. Yuval Diskin, capo della Israel Security Agency (ISA), detta anche polizia segreta dello Shin Bet, responsabile di centinaia di uccisioni extragiudiziarie di palestinesi, ha detto al consiglio dei ministri il 13 Gennaio che l’esercito e gli agenti dello Shin Bet hanno “ucciso 1.000 terroristi nella Striscia di Gaza negli ultimi due anni.” Secondo la stima di B’Tselem Israele ha ucciso 816 palestinesi a Gaza nei due anni passati, di cui 152 erano bambini e molti altri erano civili adulti “che non avevano avuto parte nelle ostilità”. Perciò, conclude B’Tselem, “il capo dell’ISA definisce come terrorista ogni palestinese ucciso da Israele nella Striscia di Gaza.” (B’Tselem, “Head of ISA defines a terrorist as any Palestinian killed by Israel”[Capo dell’ISA definisce terrorista ogni palestinese ucciso da Israele], 13 Gennaio 2008).

E il ministro degli esteri d’Israele Tzipi Livni ha spiegato: “Israele è il solo paese del mondo che fornisce elettricità a gruppi terroristici che in cambio lanciano razzi contro di esso.” Perciò, ella conferma, come Diskin, di non vedere distinzioni tra civili e combattenti – dal suo punto di vista milioni di persone gettate nell’oscurità sono tutte parte di un unico gigantesco “gruppo terroristico”. (“Livni: Hamas can end Gaza siege in minute’s time” [Livni: Hamas può far cessare l’assedio di Gaza in pochi minuti”], Ynet, 21 Gennaio 2008).

Praticamente ogni resoconto giornalistico su Gaza riproduce fedelmente l’affermazione d’Israele che si tratta di una “rappresaglia” per i razzi lanciati da Gaza, razzi che provocano in realtà danni minimi. Quando questi resoconti – come quelli di Linda Gradstein della National Public Radio, o quelli del New York Times – riferiscono dell’alto tasso di mortalità dei palestinesi essi affermano di solito, senza citare le prove, che la maggior parte dei morti erano “militanti” o cecchini”.

Quasi del tutto ignorati sono i commenti di John Dugard, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi, il quale ha controbattuto che “l’uccisione di circa 40 palestinesi a Gaza la scorsa settimana, il bombardamento di un ufficio governativo vicino la sede di una festa di matrimonio che doveva [necessariamente] prevedere l’uccisione e il ferimento di molti civili, e la chiusura di tutti i punti d’accesso per Gaza sollevano interrogativi molto seri sul rispetto d’Israele per il diritto internazionale.” Egli ha condannato Israele per aver violato la “rigida proibizione delle punizioni collettive contenuta nella quarta Convenzione di Ginevra.”

I detti rapporti non menzionano neppure che Hamas ha osservato tregue unilaterali una dopo l’altra, mai contraccambiate da Israele. E non notano neppure che Israele continua le uccisioni extragiudiziarie e gli attacchi militari nella West Bank sebbene nessun razzo sia stato da lì lanciato.

I funzionari israeliani affermano che tutti i palestinesi sono bersagli legittimi della loro ira perché essi non riescono a fermare i gruppi della resistenza palestinese dal lanciare i razzi. Questa è esattamente la stessa logica che i combattenti della resistenza palestinese usano quando lanciano razzi contro le città israeliane. “La nostra solidarietà va agli abitanti di Sderot”, ha scritto oggi l’editorialista di Haaretz Gideon Levy della città che sta sopportando il peso dei razzi palestinesi, “ma bisognerebbe anche ricordare che essi portano la stessa responsabilità per questa situazione di tutti gli israeliani. Se si facesse un sondaggio in questa città colpita, mostrerebbe che anche a Sderot c’è una maggioranza a favore del proseguimento dell’occupazione e dell’assedio, come in ogni altro luogo d’Israele.”

Allora, dove si andrà a finire?






[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale può essere consultato all’indirizzo: http://www.globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=7882