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Divide et impera: le strategie dell'America in Medio Oriente

di Mahdi Darius Nazemroaya* - 31/01/2008




Il viaggio presidenziale di George W. Bush in Medio Oriente: un nuova Guerra Fredda?
Nel 1946 Winston Churchill tenne nel Missouri il discorso sulla "Cortina di Ferro" che contribuì a creare il clima retorico della rivalità tra i due blocchi o poli rappresentati rispettivamente dall'Unione Sovietica dagli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale.

A partire dal 2006 il Medio Oriente è stato descritto in modo simile dalla Casa Bianca e da Downing Street. Alla fine sarà la storia a decidere e a dare il suo verdetto sulla versione in miniatura della Guerra Fredda che si sta ora svolgendo in Medio Oriente.

Non è un mistero che l'obiettivo del viaggio presidenziale del 2008 di George W. Bush Jr. in Medio Oriente sia stato soprattutto quello di suscitare ostilità e antagonismo nei confronti dell'Iran e delle forze che resistono al piano politico e socio-economico degli Stati Uniti per il Medio Oriente. Il viaggio del presidente americano fa parte di uno strenuo tentativo di sostituire a Israele un Iran calunniato come minaccia incombente per il Mondo Arabo. Questa mossa, che fa parte del Progetto americano per un "Nuovo Medio Oriente" è stata avviata dopo la guerra di Israele contro il Libano nel luglio del 2006.

La balcanizzazione e la frattura musulmana: sciiti contro sunniti
In relazione ai preparativi per la creazione del "Nuovo Medio Oriente" ci sono stati tentativi, coronati da un successo parziale, di creare deliberatamente divisioni all'interno delle popolazioni del Medio Oriente e dell'Asia Centrale sfruttando le diversità etno-culturali, religiose, settarie, nazionali e politiche.

Oltre ad alimentare tensioni etniche, come quelle tra curdi e arabi in Iraq, una frattura settaria viene deliberatamente coltivata tra le genti del Medio Oriente che si considerano musulmane. Viene incoraggiato in particolare il conflitto tra sciiti e sunniti.

Queste divisioni sono state alimentate dagli apparati di intelligence di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele. Nella costruzione di queste divisioni sono state coinvolte anche le agenzie di intelligence dei regimi arabi all'interno dell'orbita anglo-americana. La frattura viene fomentata anche con l'aiuto di vari gruppi e leader nelle rispettive comunità.

Prima dell'invasione dell'Iraq, nel 2003, i governanti dei paesi della Lega Araba erano consapevoli del fatto che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna intendevano ridisegnare i confini del Medio Oriente. Se ne parlò apertamente al vertice dei paesi arabi svoltosi in Egitto prima dell'invasione anglo-americana.

Gli interessi di molte élite corrotte e delle autocratiche autorità del Mondo Arabo storicamente tendono a coincidere con gli interessi socio-economici anglo-americani e franco-tedeschi.

La Casa di Saud, il clan libanese degli Hariri e i governanti assoluti instaurati in tutto il Mondo Arabo condividono tutti legami economici e finanziari con il Progetto per il "Nuovo Medio Oriente. Hanno un interesse acquisito nella promozione del modello politico e culturale che gli Stati Uniti vogliono stabilire in Medio Oriente.

La "Mezzaluna sciita" e la conquista iraniana fantasma del Medio Oriente
Per creare sentimenti di ostilità tra le popolazioni musulmane del Medio Oriente, l'Iran viene dipinto come l'avanguardia dell'espansionismo sciita nella regione, con la cosiddetta "Mezzaluna sciita", mentre l'Arabia Saudita viene descritta come la paladina dei musulmani sunniti.

La verità è che l'Iran non rappresenta tutti i musulmani sciiti e l'Arabia Saudita non rappresenta tutti i musulmani sunniti; queste semplificazioni rientrano nella politicizzazione della fede religiosa ai fini della politica estera statunitense. Contribuiscono anche a fuorviare l'opinione pubblica in tutto il Medio Oriente.

Questa animosità tra i popoli di fede musulmana e tra i popoli del Medio Oriente è stata creata per giustificare l'ostilità nei confronti dell'Iran e coloro che vengono percepiti come alleati dell'Iran, cioè la Siria ed Hezbollah.

I leader arabi hanno gioco più facile nel controllare i loro popoli quando questi sono agitati da lotte interne e dunque indeboliti dal settarismo e dalle divisioni etniche. Queste ultime creano confusione tra i vari gruppi, li distolgono dai problemi interni e proiettano su altri la loro animosità nei confronti dei governanti. La paura o la rabbia verso l'"Altro" o l'"Estraneo" sono da sempre strumenti per manipolare grandi gruppi e interi segmenti delle società.

Con i popoli della regione ostili gli uni agli altri, le loro risorse possono essere controllate e loro stessi governati e ulteriormente manipolati con maggiore facilità. Questo finora è rientrato negli obiettivi della politica estera britannica e americana. Qui i governanti locali e le forze esterne si sono alleati.

"La Coalizione dei Moderati" in Medio Oriente e la manipolazione degli arabi
"Noi (Israele) dobbiamo collaborare clandestinamente con l'Arabia Saudita così che persuada gli Stati Uniti a colpire l'Iran"
Brigadier Generale Oded Tira, forze armate israeliane

"Non cercate di fare troppo con le vostre mani. Meglio se sono gli arabi a farlo in modo accettabile che voi in modo perfetto. È la loro guerra e voi dovete aiutarli, non vincerla per loro". Il contesto storico di queste parole è molto significativo. Questa ammissione fu fatta durante la Prima Guerra Mondiale in Medio Oriente, quando i britannici combattevano contro i turchi ottomani con l'aiuto dei sudditi arabi ribelli degli ottomani. L'aiuto degli arabi fu assicurato con le false promesse e l'inganno di Londra. Ciò che questo interlocutore rivelava era che le forze britanniche non dovevano combattere troppo attivamente in Medio Oriente, lasciando agli arabi il compito di combattere la guerra della Gran Bretagna contro i turchi.

Queste erano le parole rivelatrici di un uomo che è passato alla storia come una figura leggendaria e un eroe per il popolo arabo. In realtà era un agente dell'imperialismo britannico che ingannò gli arabi con l'aiuto di leader locali corrotti. Era il tenente colonnello Thomas Edward Lawrence o, come è noto a molti, "Lawrence d'Arabia".

I 27 Articoli di T.E. Lawrence (20 agosto 1917) contengono le parole appena citate e sono a disposizione per chi voglia esaminarli. Cominciava così la strada verso l'asservimento moderno delle masse arabe ai padroni coloniali e a scelti vassalli occidentali.

Alcuni potranno dire che i britannici stavano aiutando gli arabi a conquistare l'autonomia, ma la storia ha dimostrato che questa è un'assoluta bugia. Londra stava perseguendo i propri interessi e la divisione dell'Impero Ottomano era stata un suo obiettivo geo-strategico a prescindere dal fatto che ci fosse una guerra con gli ottomani e gli Imperi Centrali.

Lo rivela l'Accordo Sykes-Picot, come pure la creazione di mandati francesi e britannici al posto di quelle che avrebbero dovuto essere nazioni arabe indipendenti. Vale anche la pena di notare che tutti i grandi problemi del Medio Oriente hanno radici in questo periodo, dal genocidio degli armeni alla questione curda, al conflitto arabo-israeliano, al problema di Cipro e alle dispute territoriali del Golfo Persico e del Levante.

Le élite arabe vengono manovrate ancora una volta perché facciano il lavoro sporco per conto delle potenze straniere. Ancora una volta i leader arabi servono obiettivi stranieri in Medio Oriente contro il loro stesso popolo.

Collegamenti tra i discorsi di Bush e Blair negli Emirati Arabi: dividere il Medio Oriente in campi opposti
Nell'atteggiamento dei mediorientali viene incoraggiata una mentalità che contrappone un "noi" e un "loro". L'antica regione viene divisa in due campi dalla Casa Bianca e dai suoi alleati.
Dopo il bombardamento israeliano del Libano nel luglio del 2006, il Segretario di Stato americano Condoleezza Rice e altri, come Tony Blair, cominciarono a dividere il Medio Oriente in due raggruppamenti. Quelli che rientravano nell'area anglo-americana ed erano in collusione con Israele venivano descritti come "moderati" e "riformatori" e rientravano in quella che divenne la "Coalizione dei Moderati". Circa nello stesso periodo il Pentagono annunciò piani per armare Israele, Mahmoud Abbas e i regimi arabi alleati degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.

Quelli che si opponevano all'intervento esterno e all'egemonia delle potenze straniere nella regione, o perché avevano interessi diversi o per il diritto all'auto-determinazione, furono etichettati come "estremisti" e "rigettatori". [1] Queste forze anti-egemoniche del Medio Oriente erano categorizzate come membri dell'"altro campo" anche se in alcuni casi non avevano niente che li accomunasse a parte la lotta contro le influenze esterne. Questo campo comprende tra gli altri la resistenza irachena, l'Hamas e l'Iran.

C'è un tema ovvio nella retorica che sottende i discorsi sulla politica nel Medio Oriente tenuti nel dicembre del 2006 e nel gennaio del 2008 da Tony Blair e George W. Bush. Entrambi sono stati fatti negli Emirati Arabi, quasi esattamente a un anno di distanza. Entrambi i discorsi descrivono un blocco di estremisti guidato dall'Iran ed entrambi tentano di dividere il Medio Oriente in due blocchi contrapposti.

Fu subito dopo la disastrosa guerra del 2006 di Israele contro il Libano che Tony Blair, in linea con Condoleezza Rice, astutamente fece appello a "un'alleanza di moderazione nella regione e all'esterno di essa per sconfiggere gli estremisti". [2] A Dubai l'ex primo ministro britannico definì l'Iran una "sfida strategica", che secondo Paul Reynolds, un corrispondente estero esperto in affari internazionali, sostituiva le parole "minaccia strategica" del discorso tenuto in California. Sostituì anche "cercando di acquisire un'arma nucleare" con "cercando di acquisire la capacità di costruire armi nucleari". [3] L'ovvio cambiamento nella scelta delle parole era dettato dal fatto che i paesi che vivono vicino all'Iran sanno come stanno le cose e non avrebbero preso sul serio il discorso di Blair.

Era solo l'inizio della pubblica rivelazione del sistema di alleanze che già esisteva ufficiosamente in Medio Oriente. Il discorso di Tony Blair negli Emirati Arabi costituiva un'ulteriore fase mediatica e propagandistica della corsa alla guerra, che consisteva nel preparare l'opinione pubblica allo scontro nel Medio Oriente. Rientrava anche in un tentativo di trasformare il conflitto in un conflitto di idee, ideologico, come al tempo della Guerra Fredda.

Gli Emirati Arabi e Israele come modelli per il "Nuovo Medio Oriente"
Oramai, agli inizi del 2008, la Casa Bianca e i suoi alleati hanno smesso chiacchierare falsamente di democratizzazione del Medio Oriente: solo a proposito dell'Iran la democrazia viene tirata in ballo fino alla nausea, ignorando il fatto che in Iran si svolgono elezioni democratiche e che si tratta di uno stato più legittimo dei regimi arabi spalleggiati dagli Stati Uniti. La democrazia non è mai stata tra gli obiettivi degli Stati Uniti nel Medio Oriente, soprattutto per quanto riguarda i loro alleati autocratici e dittatoriali.

La Casa Bianca sta promuovendo due modelli a due diversi livelli nell'ambito del progetto regionale per il Medio Oriente. Uno è il modello latente di Israele come nazione omogenea. Il secondo modello, promosso apertamente, è il modello Khaliji (Golfo) o quello degli sceiccati arabi che formano il Consiglio di Cooperazione del Golfo sul litorale del Golfo Persico. Il modello Khaliji si applica in particolare agli Emirati Arabi ed è incarnato da uno dei sette emirati, Dubai. Israele è il modello socio-politico per il Medio Oriente, mentre Dubai è il modello socio economico. Entrambi rivelano anche sconcertanti ramificazioni sociali.

Il modello israeliano che viene avanzato non si basa su valori democratici, anzi. Si fonda sull'etnocentrismo e sulla discriminazione. Il Medio Oriente viene riconfigurato a immagine di Israele come una regione con stati omogenei, e questo è evidente in Iraq e uno dei motivi delle tensioni alimentate da forze esterne nella multi-confessionale Repubblica Libanese. Così come Israele viene considerato lo "Stato Ebraico", il Progetto per il "Nuovo Medio Oriente" vuole instaurare tutta una serie di stati omogenei e a identità unica in questa antica regione.

Il modello socio-economico di Dubai e del Consiglio di Cooperazione del Golfo si basa sul mosaico verticale descritto nello studio di John A. Porter, The Vertical Mosaic: An Analysis of Social Class and Power in Canada, in cui etnia, ereditarietà e origini svolgono un ruolo nello status dei singoli e il sistema stesso è una ricostruzione del sistema indiano delle caste.
Dubai è un luogo caratterizzato da un folle sfruttamento dei lavoratori stranieri e autoctoni e tristemente noto per l'istituzionalizzazione di grossolane ineguaglianze e immoralità. Le leggi servono solo ad avvantaggiare i privilegiati e i potenti, mentre i poveri sono oppressi e messi a tacere. Il riciclaggio di denaro sporco e la prostituzione sono anch'essi molto diffusi a Dubai, e si potrebbe definire gli Emirati Arabi una moderna Sodoma e Gomorra.

Israele, la NATO e i regimi arabi: un asse contro la resistenza
La Casa di Saud e l'Arabia Saudita sono emersi come forza principale nella configurazione di una convergenza tra Israele e il Mondo Arabo sotto gli auspici dell'Iniziativa Araba del 2002. [4] Questa iniziativa proposta dai sauditi è profondamente legata al Progetto per un "Nuovo Medio Oriente" e permette a Israele di integrare la propria economia con quella del Mondo Arabo e consente la creazione di un'alleanza tra Israele e i regimi arabi contro qualsiasi forza che in Medio Oriente intenda resistere all'America, ai suoi alleati e soprattutto al loro modello politico e socio-economico.

Nonostante il discorso del Re Abdullah a Riyad durante il Summit della Lega Araba a marzo 2007, l'Arabia Saudita si è sempre opposta alla fine dell'occupazione anglo-americana dell'Iraq e al ritiro delle truppe straniere dall'Iraq con il pretesto che gli sciiti iracheni e gli iraniani uccideranno i sunniti iracheni.

Un rappresentante della monarchia saudita, citando il Principe Turki Al-Faisal, ha informato la stampa americana che "Poiché l'America è giunta in Iraq [cioè lo ha invaso] senza essere stata invitata, non dovrebbe andarsene [cioè porre fine all'occupazione anglo-americana] senza essere stata invitata", e ha aggiunto retoricamente che "Se [gli Stati Uniti] lo faranno [ritireranno cioè le truppe dall'Iraq], una delle prime conseguenze sarà un massiccio intervento saudita per impedire alle milizie sciite appoggiate dall'Iran di massacrare i sunniti iracheni". [5]

Israele ha sempre considerato i governanti giordani come importanti alleati per la pacificazione degli arabi. Il 18 aprile del 2007 Re Abdullah II di Giordania ha confermato questo segreto israeliano ormai noto a tutti. Re Abdullah II ha detto a una delegazione israeliana che la Giordania e Israele erano alleati, sottolineando che non parlava solo per conto del Regno Hashemita di Giordania ma anche per l'Arabia Saudita, l'Egitto e gli sceiccati arabi del Golfo Persico. [6]

Il re giordano ha detto a Dalia Itzik, presidente dello Stato di Israele ad interim, a Tzachi Hanegbi, Presidente della Commissione israeliana per gli Affari Esteri e la Difesa e ad altre autorità israeliane che "siamo [governanti arabi e Israele] sulla stessa barca; abbiamo lo stesso problema [le forze di resistenza nella regione]. Abbiamo gli stessi nemici [Siria, Iran, i palestinesi e il Libano]". [7]

Vale la pena di notare che il governo saudita e i governanti arabi di Egitto, Giordania e sceiccati arabi del Golfo Persico sono stati completamente coinvolti, ufficialmente o ufficiosamente, nella Guerra del Golfo del 1991 e nell'invasione anglo-americana dell'Iraq nel 2003. Questi governanti hanno anche svolto un ruolo importante nel conflitto tra Iran e Iraq e nella guerra economica contro l'Iraq che ha spinto quest'ultimo a invadere il Kuwait per trarne aiuto economico dopo l'aspra guerra con l'Iran.

L'Arabia Saudita, l'Egitto e la Giordania sono fermamente schierati con gli anglo-americani. Fanno parte dell'estesa rete militare internazionale controllata dagli Stati Uniti. Sono già membri della coalizione che è stata formata contro l'Iran, la Siria e le forze che si sono alleate con Teheran e Damasco. [8] In varia misura questi stati arabi sono anche alleati con Israele e la NATO. Tutti questi governi arabi etichettati come "filo-occidentali" hanno anche legami e accordi bilaterali nel settore militare e della sicurezza con gli Stati Uniti o la Gran Bretagna e la NATO. Comunque non è certo che questi stati resteranno al fianco di Washington e Londra.

Trasformare il Mediterraneo e il Golfo Persico in laghi della NATO
La NATO si sta espandendo, ma non solo in Europa e nell'ex Unione Sovietica. Esistono da molto tempo dei piani per trasformare il Mediterraneo in un "lago della NATO" permanente e in un'arena strettamente legata all'Unione Europea. Il rafforzamento navale della Russia nel Mediterraneo orientale e al largo della costa siriana è una mossa volta a sfidare questo processo.

Vari regimi arabi hanno stretto accordi e intese militari con la NATO per più di dieci anni attraverso il Dialogo Mediterraneo (avviato nel 1995). Tra questi regimi ci sono l'Egitto e la Giordania. Questi paesi arabi si trovano ai confini con il Mediterraneo o nelle sue prossimità. Dall'altro lato, gli sceiccati arabi del Golfo Persico hanno recentemente stretto accordi con la NATO. Per esempio, il Kuwait ha firmato accordi di sicurezza con la NATO e ha concretamente aperto la porta all'ingresso della NATO nel Golfo Persico.

Gli accordi del Consiglio di Cooperazione del Golfo in via di definizione con la NATO sono un'efficace estensione del Dialogo Mediterraneo e dell'espansione a est della NATO. La creazione di un mercato comune del Golfo simile all'Unione Europea e di un'Unione Mediterranea è anch'essa collegata con l'espansione della NATO e al progetto di imporre il Washington Consensus al Medio Oriente e al Mondo Arabo.

All'espansione di un mandato della NATO nel Golfo Persico si lavora da anni, e corrisponde agli obiettivi della NATO nel Mediterraneo. L'influenza della NATO nel Golfo Persico fa sì che l'area ricada sotto la gestione congiunta degli interessi franco-tedeschi e anglo-americani. Non è una coincidenza che Nicholas Sarkozy abbia cominciato il proprio viaggio in Medio Oriente nella stessa finestra temporale del Presidente degli Stati Uniti, né è un caso che la Francia e gli Emirati Arabi il 15 gennaio 2008 abbiano firmato un accordo che consente alla Francia di creare una base militare permanente sul territorio degli Emirati sulle sponde del Golfo Persico. [9]

Le vere divisioni in Medio Oriente: forze autoctone contro clienti stranieri
In Palestina, durante le manifestazioni di protesta del 2006, la stampa ha riportato che piccoli gruppi di sostenitori di Fatah cantavano "Shia, Shia, Shia" burlandosi dell'Hamas per i suoi legami politici con Teheran, dato che l'Iran è un paese a maggioranza musulmana sciita. [10] Era un brutto segno che testimoniava la crescente animosità che è stata instillata nel Medio Oriente, ma riflette anche che le divisioni come quella tra sciiti e sunniti sono manipolate e create artificialmente.

L'Hamas, come la Siria, ha un'identità musulmana sunnita ed è alleato con l'Iran, che ha una maggioranza musulmana sciita. Questa alleanza dimostra chiaramente che le vere divisioni in Medio Oriente non si basano sull'affinità o sulle differenze etniche o religiose. Similmente, in Libano le forze della resistenza sono musulmane, cristiane e druse e non semplicemente costituite da Hezbollah o sciiti libanesi come spesso dicono i media occidentali.

Nella realtà le differenze regionali in Medio Oriente sono, a prescindere dalla religione, dalla politica e/o dall'etnia, tra le forze indipendenti e autoctone e le forze e i governi clienti che servono gli interessi economici e politici anglo-americani e franco-tedeschi.

Il blocco di resistenza
"Come disse Lord Chatam, quando parlava della presenza britannica nel Nord America, 'se fossi un americano come sono inglese, non deporrei mai e poi mai le armi finché un solo inglese restasse sul suolo americano".
Sir Michael Rose, Generale dell'esercito britannico

Generalizzando, le forze indipendenti e autoctone del Medio Oriente sono:

1. la maggior parte delle varie frazioni palestinesi, compresa l'Autorità Palestinese sotto l'Hamas prima dell'Accordo della Mecca e la tregua raggiunta con Mahmoud Abbas e Fatah;
2. la Resistenza Libanese e l'Opposizione Nazionale in Libano, che è un misto di musulmani, drusi e cristiani;
3. la Resistenza Irachena, che è una serie di diversi movimenti popolari che riflettono la volontà del popolo/dei popoli dell'Iraq;
4. la Siria;
5. l'Iran, che è sia un avversario sia un centro di resistenza politica organizzata e a livello di stato.

Resistenza con base popolare e resistenza a livello statale
Le forze della resistenza in Medio Oriente e nel vicino Afghanistan possono essere classificate in movimenti di resistenza popolari o a livello di stato. C'è tuttavia una terza categoria ibrida.

L'Iraq e l'Afghanistan rappresentano entrambi movimenti di resistenza popolare. L'Iran e la Siria, indipendentemente dalla giustificazione (buona o cattiva che sia), rappresentano casi di centri di resistenza a livello di stato nei confronti di Stati Uniti, NATO e Israele. Anche il Sudan rientra in questa categoria.
Le forze di resistenza in Palestina e in Libano sono un misto di resistenza a livello di stato e con base popolare. Nel Corno d'Africa, molto vicino al Medio Oriente, la Somalia è un caso su cui discutere ma anche un vero centro di resistenza al controllo straniero e ai tentativi di riconfigurare il Medio Oriente.
Le forze di resistenza in Libano e in Palestina sono anche contraddistinte dal fatto di essere intrappolate in lotte interne tra forze clienti degli interessi anglo-americani, franco-tedeschi e israeliani in Medio Oriente.

Il coinvolgimento delle risorse dello stato è ovviamente una delle principali differenze tra i centri di resistenza a livello nazionale, come l'Iran, e i movimenti popolari svincolati dal governo, come accade in Iraq. Tuttavia, quanto più c'è un assoggettamento a una potenza militare straniera tanto più la resistenza è forte e nasce dall'appoggio della popolazione locale. Le pesanti perdite che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la NATO devono affrontare in Iraq e in Afghanistan sono dovute alla volontà e alla resistenza popolare.

Lotte in Medio Oriente: La "Coalizione dei Moderati" contro il Blocco di Resistenza
Le divisioni che sussistono tra le forze autoctone e indipendenti del Medio Oriente e quelle schierate con gli anglo-americani sono le seguenti:

1. la lotta tra l'Hamas e i suoi alleati con Israele, Fatah e i loro alleati nei Territori Palestinesi;
2. la lotta tra la Resistenza Irachena, che è essenzialmente il popolo iracheno, con le forze degli Stati Uniti e della Coalizione per l'occupazione dell'Iraq;
3. lo scontro politico tra l'Opposizione Nazionale Libanese (la maggioranza) e i partiti di governo libanesi (la minoranza);
4. lo scontro per il Libano, la Palestina e l'Iraq tra la Siria da una parte e le potenze della NATO e i loro alleati arabi dall'altra;
5. infine, i molti aspri conflitti regionali e internazionali tra Iran e Stati Uniti, che comprendono il programma nucleare iraniano e l'Iraq.

Il viaggio di Bush: tamburi di guerra, resistenza e il "Nuovo Medio Oriente"
"Una ragione di instabilità sono gli estremisti appoggiati e rappresentati dal regime di Teheran. L'Iran è oggi il principale stato sostenitore del terrorismo. Manda centinaia di milioni di dollari a estremisti di tutto il mondo, mentre il suo popolo deve affrontare la repressione e le difficoltà economiche. Mina le speranze di pace libanesi armando e aiutando il gruppo terroristico Hezbollah. Sovverte le speranze di pace in altre parti della regione finanziando gruppi terroristici come Hamas e il Jihad Islamico Palestinese. Spedisce armi ai Taliban in Afghanistan e ai militanti sciiti in Iraq. Cerca di intimidire gli stati vicini con missili balistici e con una retorica bellicosa. E infine sfida le Nazioni Unite e destabilizza la regione rifiutando l'apertura e la trasparenza sui suoi programmi e ambizioni nucleari. Le azioni dell'Iran minacciano la sicurezza di tutte le nazioni. Dunque gli Stati Uniti stanno rafforzando i loro impegni in materia di sicurezza con gli amici del Golfo, e incitando tutti paesi amici ad affrontare questo pericolo prima che sia troppo tardi".
George W. Bush, 43° Presidente degli Stati Uniti (discorso di Abu Dhabi, Emirati Arabi, 13 gennaio 2008)

Non è un mistero che lo scopo principale del viaggio del presidente degli Stati Uniti in Medio Oriente fosse quello di sollecitare opposizione nei confronti dell'Iran e di chiunque intenda resistere al "Nuovo Medio Oriente". Quasi immediatamente la Siria ha affermato che il viaggio di George W. Bush è stato fatto per cercare di isolare ulteriormente la Siria e orchestrare uno scenario di guerra contro l'Iran. [11]

Il viaggio presidenziale è stato fatto proprio mentre la marina statunitense mentiva su presunte minacce subite da alcune motovedette delle Guardie Rivoluzionarie iraniane nel GolfoPersico.
Quando la marina statunitense ha ritirato le accuse, il Presidente degli Stati Uniti ha detto che se dovesse capitare qualcosa di negativo alle navi di guerra americane nella regione Teheran ne sarebbe considerata responsabile.

Contemporaneamente a Beirut c'è stato un bombardamento contro l'ambasciata americana. Potrebbe essersi trattato di una messinscena, come le dichiarazioni della marina statunitense, per giustificare la posizione di Bush sull'Iran e il Blocco di Resistenza. Inoltre Israele ha diffuso la notizia di un razzo di costruzione iraniana lanciato dalla Striscia di Gaza dai palestinesi durante il viaggio di Bush in Medio Oriente.

Nel 2007 a Deir ez-Zor il presidente siriano, alla vigilia di un'importante conferenza sull'Iraq a Sharm el-Sheikh durante la quale Condoleeza Rice ha avviato pubblicamente dei contatti con i ministri degli esteri di Siria e Iran, ha ammonito i suoi connazionali che "la Siria, la regione araba e il Medio Oriente stanno attraversando una fase pericolosa. Distruttivi progetti coloniali stanno cercando di dividere e di riplasmare la nostra regione creando un nuovo [Accordo] Sykes-Picot". [12]

Abdel Al-Bari Atouani, una noto personaggio palestinese e redattore capo dell'Al-Qods Al-Arabi di Londra, in un'intervista televisiva trasmessa da ANB TV agli inizi di febbraio del 2007 ha affermato che gli Stati Uniti stanno sfruttando i paesi arabi attraverso i loro governi, usati per alimentare una guerra contro l'Iran e i suoi alleati in Medio Oriente.

Il Jerusalem Post, in coincidenza con l'arrivo del presidente americano in Arabia Saudita dagli Emirati Arabi, ha diffuso la dichiarazione di un anonimo alto ufficiale palestinesecisgiordano secondo il quale "la Siria e l'Iran hanno intensificato gli sforzi per rovesciare il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas e il suo partito di governo Fatah". [13] L'articolo di Khaled Abu Toameh parla anche dell'incontro politico tra vari partiti palestinesi (Abu Toameh li chiama "gruppi estremisti") che sarà ospitato dai siriani a Damasco.

Non sorprende che l'articolo di Khaled Abu Toameh trascuri di informare che il governo palestinese che governa la Cisgiordania è illegittimo ed esegue gli ordini di Mahmoud Abbas e non quelli del primo ministro palestinese democraticamente eletto. I palestinesi che converranno a Damasco studieranno come rendere l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina più completa erappresentativa della volontà dei palestinesi e non degli editti di Mahmoud Abbas e di pochi altri individui che governano parti della Cisgiordania come se fossero feudi personali, mettendosi al servizio dei padroni israeliani e statunitensi.

In Libano un giornale affiliato al clan Hariri e ai suoi alleati politici ha cominciato anch'esso ad assecondare la campagna americana di demonizzazione dell'Iran. An-Nahar, pubblicazione un tempo diretta dal parlamentare libanese ucciso Gebran Tueni, in un editoriale di Ali Hamade afferma che la Lega Araba deve fare pressioni su Teheran per raggiungere una soluzione in Libano, e che la strada verso una soluzione o uno scontro passa per l'Iran, "se gli sviluppi [in Medio Oriente] vanno verso un conflitto con i piani imperiali iraniani per l'Oriente arabo".

L'Ufficio Ovale, l'establishment e la politica estera anglo-americana in Medio Oriente
Le politiche estere degli Stati Uniti e della Gran Bretagna hanno più a che vedere con gli obiettivi dell'establishment anglo-americano che con la particolarità dei singoli che occupano le cariche di presidente degli Stati Uniti e di primo ministro britannico. Questa realtà è stata confermata nel corso della campagna elettorale dai potenziali successori di George W. Bush Jr., siano essi democratici o repubblicani.

Eccetto che per alcuni individui che rappresentano le aspirazioni autentiche del popolo americano, la maggioranza dei candidati presidenziali parlano di una continuazione delle politichemilitari dell'Amministrazione Bush.

John McCain ha parlato di un attacco contro Libano e Siria. [14]

Hilary Clinton vuole un'occupazione permanente dell'Iraq o una "fase post-occupazione", per usare una decadente espressione delle autorità americane, e ha rivolto delle minacce all'Iran.

Rudy Giuliani, l'ex sindaco di New York City, ha messo in chiaro che intende rispecchiare l'Amministrazione Bush Jr., che non intende riconoscere uno stato palestinese e che userebbe le armi nucleari contro un Iran non nucleare.

L'epoca della guerra non finirà quando George W. Bush Jr. e il vice presidente Cheney lasceranno la Casa Bianca.

Il problema è più profondo e complicato dei singoli e delle loro cariche. George W. Bush Jr. è solo un uomo di paglia in un meccanismo molto più grande; rappresenta l'establishment, ma né lui né la sua amministrazione possono da soli manovrare la politica estera statunitense.

Questioni importanti: la natura della cooperazione e della rivalità tra America, Iran e Siria
La nostra realtà è di gran lunga più complessa. Un tempo, prima di andare al potere, Hamas collaborava con Israele contro il movimento Fatah di Yasser Arafat.

Il Christian Science Monitor ha espresso un'interessante osservazione in un articolo di Marc Lynch: "'Ovunque si guardi, è la politica dell'Iran a fomentare l'instabilità e il caos', ha detto il segretario della difesa Gates ai dignitari del Golfo lo scorso mese [dicembre 2007]. Ma in realtà ovunque si guardi, dal Qatar all'Arabia Saudita all'Egitto, si vedono i leader iraniani fare a pezzi vecchi tabù incontrando le loro controparti arabe in un clima di cordialità". [15]

Di fatto il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è stato invitato al Vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo nella capitale del Qatar, Doha, che ha discusso l'integrazione economica della Golfo Persico e la cooperazione tra il Consiglio e l'Iran. L'Iran, l'Oman, il Qatar e l'Arabia Saudita hanno dato pubblica dimostrazione di un avvicinamento già prima del vertice di Doha, che comprendeva accordi economici e militari tra l'Oman e l'Iran.

Anche Il Cairo e Teheran hanno ufficialmente aperto la porta alla completa normalizzazione delle relazioni diplomatiche. È ancora da vedere cosa produrranno le relazioni diplomatiche tra Egitto e Iran. L'Iran sta inoltre compiendo ulteriori incursioni economiche e commerciali in Iraq e Afghanistan. L'Iran e la Siria stanno legando la propria infrastruttura energetica all'Iraq e intraprendendo azioni che innegabilmente assistono gli Stati Uniti nell'Iraq occupato.

La futura nomina del Generale Michel Sulaiman alla presidenza del Libano è stata anche definita una concessione alla Siria per la collaborazione con gli Stati Uniti in Iraq e per la sua presenza al Summit di Annapolis.

Se è così, alcune questioni restano tuttavia irrisolte non solo in merito alla cooperazione tra Siria e Stati Uniti, ma anche riguardo all'incontro tra David Welch, il sottosegretario di stato degli Stati Uniti per gli Affari del Vicino Oriente, e il Generale Suleiman prima degli scontri scoppiati nel 2007 tra Fatah Al-Islam e l'esercito libanese.

È chiaro che ci sono dei piani per ridisegnare i confini del Medio Oriente e per istituire politiche economiche durature a beneficio degli interessi anglo-americani e franco-tedeschi e del loro cane da guardia in Medio Oriente, Israele.

I siriani e gli iraniani sono consapevoli dei piani per dividere la loro regione e mettere l'uno contro l'altro i popoli mediorientali. Anche Teheran e Damasco sono stati colpevoli di fare lo stesso gioco nel proprio interesse, ma quello che l'America e i suoi alleati hanno in mente è una ripartizione e una riconfigurazione ben più ampia del Medio Oriente, che coinvolge anche Siria e Iran in questa lotta storica.

La questione è: questi sforzi per dividere il Medio Oriente (in "moderati" ed "estremisti") rientrano in una politica di contenimento, in una strategia di guerra, o in qualcosa di molto più sinistro?

Le intenzioni di movimenti di resistenza a base popolare come la Resistenza Irachena sono semplici e chiari, ma la resistenza di stato - se possiamo chiamarla così - ha spesso intenti ambivalenti.

L'Iran e la Siria si stanno davvero opponendo al "Nuovo Medio Oriente" che serve gli obiettivi del Washington Consensus? Le riforme economiche in atto in Iran e in Siria, compresi i programmi di privatizzazione, suggeriscono che i due paesi non si contrappongono completamente ai programmi neo-liberali dominanti che caratterizzano le politiche espansionistiche di Washington. [16]

Non è peccato mettere in discussione delle motivazioni, soprattutto quando le circostanze lo richiedono: è invece un crimine e un peccato ingannare le masse. La posizione politica di Iran e Siria è destinata a chiarirsi con l'evolversi della situazione in Medio Oriente.


NOTE

[1] Jonathan Beale, Rice seeks Mid-East support on Iraq, British Broadcasting Corporation (BBC), 13 gennaio 2007.

[2] Paul Reynolds, Blair and the ‘strategic challenge’ of Iran, British Broadcasting Corporation (BBC), 20 dicembre 2007.

[3] Ibid.

[4] Uzi Mahnaimi, Saudis lead Israel peace bid, The Times (U.K.), 3 dicembre 2006.

[5] Simon Tisdall, Iran v Saudis in battle of Beirut, The Guardian (U.K.), 5 dicembre 2006.

[6] Shahar Ilan, Jordan’s Abdullah tells Israel: We share same enemies, Haaretz, 19 aprile 2007.

Le affermazioni furono subito negate dal Re giordano quando trapelarono sulla stampa israeliana. La smentita è parallela a quella della Casa di Saud a proposito degli incontri diplomatici e dei negoziati tra Arabia Saudita e Israele che furono divolugati come veri dopo le iniziali smentite.

[7] Ibid.

[8] Anatole Kaletsky, An unholy alliance threatening catastrophe, The Times (U.K.), 4 gennaio 2007.

[9] Laurent Pirot, France Signs UAE Military Base Agreement, Associated Press, January 12, 2008; Emmanuel Jarry, France, UAE sign military, nuclear agreement, Reuters, 15 gennaio 2008; Paul Reynolds, French make serious move into Gulf, British Broadcasting Corporation (BBC), 15 gennaio 2008.

[10] Fatah, Hamas clash in Gaza after Abbas calls early elections, Associated Press, December 16, 2006.

[11] Damascus slams Arab leaders for allowing Bush’s ‘criticism of Syria,’ Deutsche Presse-Agentur (DPA)/ German Press Agency, January 14, 2008.

[12] Mazen and Thawra, President al-Assad says Arab Region passes through new juncture, Syrian Arab News Agency (SANA), 30 aprile 2007.

[13] Khaled Abu Toameh, Syria, Iran trying to overthrow Abbas, The Jerusalem Post, 15 gennaio 2008.

[14] Shani Rosenfelder, McCain: Disarm Hizbullah, tackle Assad, The Jerusalem Post, 9 agosto 2007.

[15] Marc Lynch, Why U.S. strategy on Iran is crumbling: Gulf states no longer want to isolate Iran, Christian Science Monitor, 4 gennaio 2008.

[16] Mahdi Darius Nazemroaya, The Sino-Russian Alliance: Challenging America’s Ambitions in Eurasia, Centre for Research on Globalization (CRG), 26 agosto 2007; Julian Barnes-Dacey, Even with sanctions, Syrians embrace KFC and Gap, Christian Science Monitor, 11 gennaio 2008.


Articolo originale pubblicato il 17 gennaio 2008 in Globalresearch.

Traduzione di Manuela Vittorelli


*Mahdi Darius Nazemroaya è un autore indipendente specializzato in affari medio-orientali. Vive e lavora e Ottawa ed è ricercatore al Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione.