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La « soluzione a due Stati » sarà quella dell’apartheid

di Thierry Meyssan* - 31/01/2008


La sorte dei Palestinesi è divenuta un’ulteriore implicazione nel conflitto che infuria a Washington tra il clan Bush-Cheney e l’area d’influenza Baker-Hamilton. Il gruppo di generali che ha tagliato corto con il progetto di guerra contro l’Iran ha creduto di poter risolvere il conflitto israelo-palestinese premendo per la « soluzione a due Stati ». Ma George W. Bush ha snaturato tale impegno per promuovere un rigido sistema di apartheid in cui lo Stato palestinese non sarà che un bantustan.

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13 gennaio 2008


Come si potrebbe rovinargli la soddisfazione, nel venire a conoscenza che il presidente Bush, dopo lunghi anni di disinteresse, ha rilanciato il « processo di pace in Palestina » convocando una conferenza ad Annapolis (27 novembre 2007) ; che lì ha preso l’impegno di edificare lo Stato palestinese prima della fine del suo mandato presidenziale ; che questa buona risoluzione è stata immediatamente seguita da una Conferenza internazionale di donatori a Parigi, nel corso della quale la comunità internazionale, presa da un irresistibile slancio di generosità, ha elargito ben più miliardi di quelli che i Palestinesi sperassero (17 dicembre 2007) ; e che lui stesso si è recato in Palestina per mettere le mani in pasta (9-11 gennaio 2008) ? Tutto è così bello nel mondo della comunicazione.

Tuttavia, a meno di non credere alle fate buone che si chinano sulla culla dello Stato palestinese sovrano, questa versione mediatica è non poco sorprendente per chi ha presente che sono 60 anni che si promette ai Palestinesi il loro Stato, il quale sembra l’Arlesiana, quel personaggio da teatro di cui si annuncia sempre la venuta e che non si vede mai.


Annapolis
La Conferenza di Annapolis segna la ripresa nelle mani di Washington della situazione in Palestina, lasciata da sette anni alla discrezione dei successivi governi israeliani. Si tratta di una riaffermazione del primato degli Stati Uniti su Israele, dunque di una sconfitta del movimento sionista che pretende che gli interessi di Washington e di Tel Aviv si confondano, ma una sconfitta di breve durata.

Il fatto che George W. Bush ne sia stato il maestro di cerimonie e che abbia potuto posare per qualche fotografia destinata alla posterità gli ha permesso di mantenere la testa alta. Ma questo non cambia per nulla il fatto che a questa conferenza le 48 delegazioni straniere abbiano preso atto che il potere a Washington è passato di mano, come ho spiegato una settimana dopo su queste colonne [1].

Il clan Bush-Cheney, appoggiato alle multinazionali dell’armamento, del petrolio e dei farmaci, è stato messo al passo dai vecchi membri dello stato maggiore militare del presidente Bush padre (Robert Gates, William Fallon, Michael Hayden, Mike McConnell, etc.), sostenuti dall’area d’influenza Baker-Hamilton [2]. Questi hanno imposto alla Casa Bianca l’immediato arresto del progetto di « rimodellare il Grande Medio Oriente » ed il passaggio ad un « impérialismo intelligente » (Smart Imperialism) nel quale i conflitti saranno gestiti a « bassa intensità » e il proscenio occupato da seducenti operazioni di comunicazione.

E, per consolidare tale cambiamento, il 3 dicembre i militari hanno reso pubblico il rapporto delle agenzie d’informazione attestante che per gli Stati Uniti non vi è motivo di guerra contro l’Iran [3].

Ehud Olmert si è recato ad Annapolis trascinando i piedi e il suo ministro della Difesa, Ehud Barak, ha tentato di sabotare la riunione presentando una nuova pretesa : la comunità internazionale doveva riconoscere « Israele come patria del popolo ebraico e la Palestina come patria del popolo palestinese ». In altri termini, non solo la comunità internazionale doveva prendere in giro il diritto inalienabile dei profughi palestinesi a ritornare nel loro paese, ma doveva anche imporre allo Stato palestinese di ricevere gli arabi israeliani i quali non avrebbero più il loro posto nello Stato dei soli ebrei.

Questa incredibile pretesa è stata scartata dai nuovi padroni di Washington, e —per la prima volta — la delegazione israeliana è stata pregata di abbandonare la sua sempiterna pregiudiziale di negoziare la pace solo dopo il disarmo delle milizie palestinesi (ossia una volta vinta la Resistenza palestinese). Per una ragione ancora sconosciuta, essa si è sottomessa al diktat di Washington e, abbandonando « la madre di tutti gli ossimori », si è inginocchiata di fronte al suo sovrano.

In un modo un po’ originale, la Conferenza non si è conclusa con una dichiarazione comune, ma è cominciata con la lettura del documento finale ! [4] Nel leggerlo di fronte alle telecamere, il presidente Bush si è posto come l’arbitro del conflitto. Ma agli occhi dei diplomatici presenti, egli mostrava che il potere gli era stato ritirato e di non avere la capacità di negoziare un bel nulla durante la conferenza. Di fatto, non si è trattato più di una conferenza diplomatica, ma di uno show, e non vi nulla ha impedito la trasmissione in diretta di tutta la giornata da parte delle catene televisive.

Il documento « finale » è estremamente laconico. Oltre al riconoscimento del primato degli Stati Uniti dalla due parti in conflitto, esso comprende l’annuncio di un calendario di negoziati che si concluderà prima della fine del mandato presidenziale con il riconoscimento di uno Stato palestinese ed una menzione della « Carta stradale », in modo da precisare che cosa si intende per « Stato ».

Si tratta, in effetti, di un argomento controverso. Per le Nazioni Unite, il termine Stato fa riferimento al piano del 1947 di divisione della Palestina. In questo senso viene interpretato anche dalla Russia e dall’Unione Europea, altri attori della « Carta stradale ». In questo caso, si tratta di uno Stato nel senso pieno del termine. Al contrario, per il movimento sionista, « Stato palestinese » è riferito al modello messo in atto nel Sud Africa dell’apartheid e nel Guatemala di Efraim Rios Montt. In questo caso, si tratterebbe di una o più riserve di Palestinesi senza nessuno degli attributi sovrani, ma che permetterebbero ad Israele di liberarsi delle sue responsabilità di occupante [5].

I militari USA hanno imposto che la supervisione del calendario di Annapolis sia assicurata dal generale James L. Jones, che ha un ruolo nella campagna contro il clan Bush-Cheney con la consegna di un severo rapporto sul disastro iracheno [6].

Le buone notizie si fermano qui. Certo, George W. Bush ha ingoiato un grosso rospo, ma non ha ceduto quello che sembra essenziale al movimento sionista e che, il 14 aprile 2004, si era impegnato per iscritto a far rispettare : se deve esserci lo Stato palestinese, per prima cosa esso dovrà tener conto delle « nuove realtà sul campo » e non può dunque sperare di esistere sul territorio che le grandi potenze gli avevano attribuito nel 1947; in secondo luogo sarà diretto da fantocci.

Inoltre, gli obiettivi che il generale Brent Scowcroft (ex consigliere nazionale della sicurezza) aveva pubblicamente fissato all’amministrazione Bush non sono stati intaccati [7]. Se ci si può felicitare che la Siria — finalmente — sia stata invitata come preconizzava la Commissione Baker-Hamilton, la conferenza è stata priva di credibilità perché non è stata accompagnata dal gelo della colonizzazione.

Soprattutto, la Conferenza avrebbe dovuto essere seguita dal voto di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che desse forza di legge alla dichiarazione di Annapolis. Ma, all’ultimo momento, George W. Bush l’ha fatta ritirare dall’ordine del giorno del Consiglio, mentre Ehud Olmert dichiarava che per Israele il calendario di Annapolis non aveva un valore vincolante. Il rapporto di forza a Washington tra sionisti e americanisti rimaneva instabile. Da Tel Aviv, si annunciava che il presidente degli Stati Uniti era atteso in Israele all’inizio di gennaio, cosa che la Casa Bianca confermava.

Parigi
Secondo la versione mediatica, la Conferenza internazionale dei donatori per lo Stato palestinese era stata decisa ad Annapolis. Ma, fatto strano, l’alto funzionario francese incaricato di prepararla — Pierre Duquesne, ex consigliere finanziario di Lionel Jospin e figlio del direttore di stampa Jacques Duquesne — era stato designate cinque settimane prima, il 17 ottobre, durante una riunione a Parigi alla quale avevano partecipato Tony Blair (inviato speciale del Quartetto) e Jonas Gahr Støre (ministro norvegese degli Esteri). Sembra che la scelta di Pierre Duquesne si spieghi con le buone relazioni da lui intrattenute con Salam Fayyad, Primo ministro dell’Autorità palestinese, da quando l’uno e l’altro rappresentano i loro rispettivi paesi al Fondo Monetario Internazionale.

Comunque, questa conferenza in realtà era stata preparata da Brent Scowcroft contemporaneamente a quella di Annapolis. Inizialmente, si trattava di finanziare la creazione di uno Stato palestinese sovrano prima della fine del 2008 secondo le modalità del piano del re Abdallah d’Arabia Saudita, adottato dalla Lega Araba (ossia con il ritorno alle frontiere del 1967 e il riconoscimento del diritto dei profughi). Il Gruppo Strategico dell’Istituto Aspen [8] era tanto più facilmente servito da ambito per l’elaborazione del compromesso in quanto Condoleezza Rice ne era stata un tempo segretario. Era stata costituita un commissione ad hoc dal nome « Gruppo Strategico Medio Oriente », era stata presentata alla stampa il 3 dicembre 2007, ma lo scalpore provocato dalla pubblicazione del rapporto delle agenzie d’informazione sull’Iran aveva si era sovrapposto a questo annuncio, in modo che nessuno vi aveva prestato attenzione.

Durante il discorso pronunciato quel giorno all’ufficio di Washington dell’Aspen Institute, il segretario di Stato aveva precisato che per finanziare l’Autorità palestinese gli Stati Uniti le avrebbe dato 400 milioni di dollari in occasione della conferenza di Parigi, ai quali si sarebbero aggiunti « contributi privati ».

L’astuzia è tutta qui : l’uso della donazione di Parigi sarà controllato dal Quartetto, mentre i « contributi privati » non saranno controllati da nessuno.

Ma l’amministrazione Bush che aveva sabotato la risoluzione dell’ONU post-Annapolis, si darà da fare per stornare la Conferenza di Parigi verso un altro obiettivo. Et non sarà il suo omologo francese, Nicolas Sarkozy, ad opporsi.

A credere alle ditirambiche dichiarazioni di fine conferenza, Babbo Natale si era fatto avanti per dare all’Autorità palestinese ancor più di quanto essa sperasse nei suoi sogni più pazzeschi : 7,4 miliardi di dollari !

Curiosa filantropia : le precedenti elargizioni sono state per la maggior parte ridotte in polvere dai missili dello Stato ebraico (distruzione del porto e dell’aeroporto di Gaza, tra l’altro ricostruiti da poco), mentre in media il 10 % delle somme stanziate è stato sistematicamente distratto da ministri dell’Autorità palestinese per il loro arricchimento personale.

Soprattutto, per fare la questua, l’Autorità palestinese aveva redatto un dossier presentando ogni sorta di progetti da finanziare : ad esempio, costruire una nuova città tra Naplus e Jenin, costruire migliaia di alloggi sociali, fondare un sistema di sicurezza sociale all’occidentale. Ma, pur accumulando sulla carta le idée meno realistiche, non era giunto a trovare come spendere più di 5,6 miliardi.

Allora, come interpretare questa pioggia di dollari ? Si tratta soprattutto di sostenere l’Autorità palestinese contro Hamas, al punto che una parte dei fondi sarà ufficialmente utilizzata per versare dei salari ai funzionari di Gaza che resteranno a casa e rifiuteranno di servire Hamas. Così, la Conferenza internazionale dei donatori per lo Stato palestinese si riassume in una vasta iniziativa di corruzione.

In questo spirito, David de Rothschild — nel ruolo di protettore dello Stato di Israele — era intervenuto personalmente nei confronti di donatori per incitarli alla generosità. E uno dei suoi ex associate, François Pérol, divenuto segretario generale aggiunto dell’Eliseo, badava alla grana. Resta da sapere come degli Stati abbiano potuto essere convinti a versare forti somme per ingrassare I Collaboratori dell’occupazione israeliana, senza che questo soddisfacesse i loro interessi nazionali.

Ma appena i flash dei fotografi cessavano di crepitare a Parigi, Zahal assassinava a Gaza il capo delle brigate di al-Qods (la branca armata del Jihad islamico in Palestina) e suo braccio destro. Un modo crudele per esprimere che, dal punto di vista di Tel Aviv, il «processo di pace» non è che una maniera per guadagnare tempo.

Gerusalemme
In sette anni di mandato presidenziale, George W. Bush non si era mai recato in Israele. Suo nonno era stato un collaboratore dei nazisti, suo padre era stato fermo con lo Stato ebraico e aveva pagato duramente l’organizzazione della conferenza di Madrid, mentre lui stesso diventava la figura di punta dei sionisti cristiani. La sua lettera del 2004 che riconosce le annessioni dei territori dap arte di Israele [9] è considerata dal Congresso ebraico mondiale più importante della Dichiarazione Balfour del 1917 che annunciava la creazione del « focolorare nazionale ebraico ».

Sulla stampa internazionale, la visita di George W. Bush in Israele (dal 9 all’11 gennaio 2008) è stata annunciata come un investimento personale del presidente degli Stati Uniti per portare a conclusione il « processo di Annapolis » prima di lasciare la Casa Bianca e per entrare nella Storia come il padre dello Stato palestinese. Questo vuol dire ricopiare senza riflettere le note degli addetti alla comunicazione. Del resto, la stessa stampa internazionale ha relazionato il viaggio con un tono diverso. Essa ha pure evocato lo smarrimento di Tel Aviv di fronte al brusco cambiamento della politica iraniana di Washington e le leziosaggini del turismo religioso nella basilica della Natività o al lago di Tiberiade. Di fatto, George W. Bush era venuto sia a sostenere I suoi ospiti che a a chiedere loro aiuto.

Il 10 gennaio 2008, il presidente degli Stati Uniti dichiarava all’hôtel King David di Gerusalemme : « l’occupazione iniziata nel 1967 finire. L’accordo [di pace] deve fondare la Palestina come patria del popolo palestinese, come Israele è la terra del popolo ebreo » [10]. In questo modo, egli apportava il suo sostegno ad un sistema di apartheid nel quale lo Stato palestinese non sarebbe che un bantustan e riduceva a nulla ogni speranza di pace globale nel Vicino Oriente.

Proseguendo, ha ventilato la necessità di un meccanismo di indennizzo per i profughi palestinesi che fossero privati dei loro diritti. Si tratta di un’idea che cerca di farsi strada da alcuni anni e ha già dato luogo a sapienti calcoli da parte di un gruppo universitario israelo-palestino-europeo riunitosi all’università di Aix-en-Provence. Con sorprendente candore, questo Gruppo di Aix ha immaginato di creare un’Agenzia internazionale dotata di fondi astronomici per per riscattare il diritto al ritorno — eppure inalienabile secondo i trattati internazionali — di 9 milioni di Palestinesi.

George W. Bush proseguiva versando lacrime indecenti al memorial Yad Vashem ed esprimendo il suo rammarico che l’US Air Force non avesse a suo tempo fermato « la soluzione finale della questione ebraica » bombardando Auschwitz. L’emozione da lui manifestata davanti alle telecamere non lo ha comunque condotto a restituire alle famiglie delle vittime il milione e mezzo di dollari della Consolidated Silesian Steel Company dalla quale ereditò all’inizio degli anni 80 [11]. Quell’eredità (che lui accettò mentre suo padre l’aveva rifiutata) proveniva dal lavoro forzato dei detenuti di Auschwitz II-Birkenau. Ma I suoi ospiti, troppo felici per le sue dichiarazioni, non gli rinfacciavano questa ipocrisia.

Qualche giorno dopo, prendendo la parola durante un incontro a Gaza, Ismael Haniyeh, Primo ministro del non riconosciuto governo di Hamas, dichiarava : « Noi respingiamo la visione di Bush di uno Stato secondario (…) Noi respungiamo il suo diniego del diritto dei profughi al ritorno, la sua posizione su Gerusalemme. Non accettiamo che gli 11 000 prigionieri restino in carcere e che dei coloni possano essere mantenuti in territorio palestinesi ».

Che cosa si aspetta il presidente degli Stati Uniti in cambio del suo grande show ? Che Israele prenda un’iniziativa che rafforzo il potere del clan Bush-Cheney a Washington e ponga l’area d’influenza Baker-Hamilton in una situazione in cui non possa più fare ostruzione. Con i responsabili dei servizi di sicurezza hanno avuto luogo delle riunioni delle quali per il momento nulla è filtrato nulla.

A Washington, come in numerose cancellerie, ci si domanda con inquietudine quale sarà la sorpresa.



* Giornalista e scrittore, presidente del Réseau Voltaire.





[1] « Washington décrète un an de trêve globale », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 3 dicembre 2007.

[2] « Pourquoi McConnell a-t-il publié le rapport sur l’Iran ? », Horizons et débats, 17 dicembre 2007.

[3] « Iran : intentions et possibilités nucléaires », estratti dal NIE, Horizons et débats, 17 dicembre 2007.

[4] « Discours de George W. Bush à l’ouverture de la conférence d’Annapolis sur le Proche-Orient », Réseau Voltaire, 27 novembre 2007.

[5] Su Israele e il modello dell’apartheid, vedi L’Effroyable imposture 2, di Thierry Meyssan, Jean-Paul Bertrand éd., 2007.

[6] Il generale Jones è anche incaricato della campagna che punta ad ottenere con la propaganda quello che gli Stati Uniti non sono arrivati ad ottenere con la forza : la limitazione volontaria da parte degli altri Stati delle loro spese in petrolio in nome della lotta contro il riscaldamento del clima.

[7] « Un échec, à Annapolis, aurait des conséquences désastreuses », 17 dicembre 2007.

[8] « L’Institut Aspen élève les requins du business », Réseau Voltaire, 2 settembre 2004.

[9] « Lettre de George W. Bush à Ariel Sharon », Réseau Voltaire, 14 aprile 2004.

[10] « Déclaration de George W. Bush affirmant qu’Israël est la terre du peuple juif », Réseau Voltaire, 10 gennaio 2008.

[11] « Les Bush et Auschwitz, une longue histoire », Réseau Voltaire, 3 giugno 2003.


Fonte: Voltaire, édition internationale