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Ma è meglio la metropoli o il villaggio?

di Leonardo Servadio - 31/01/2008

 


 
 N elle metropoli dei grattacieli e degli intrichi fumosi del traffico inceppato negli in­gorghi, si scopre che ancora oggi c’è qualcosa che resta immutato rispet­to alla preistoria: il desiderio di vive­re in un antico borgo o in un villaggio: piccolo, familiare, riconoscibile. Lo dimostrano le ricerche: ovunque, e in ogni epoca, si manifesta la necessità di spazi entro cui radunarsi, luoghi collettivi, sede dell’identità delle per­sone, ambienti in cui riconoscers i». Domenico Luciani, direttore della Fondazione Benetton Studi Ricerche, presenta così la quinta edizione del­le giornate di studio sul paesaggio, in­titolata 'Villaggi. Vita, forme, misure', in programma a Treviso domani e sa­bato 2 febbraio. Lo spunto è dato dal­l’opera del geografo ed esploratore Eugenio Turri, che ha girato in lungo e in largo i continenti, ovunque do­cumentando villaggi delle più dispa­rate appartenenze etniche.
  «Anche per noi il villaggio conta più di quel che si pensi - spiega Luciani ­ed è un’aberrazione della modernità l’aver pensato di farne a meno. Non c’è non-luogo che tenga: gli ipermer­cati non costituiranno mai un am­biente di ritrovo in cui ci si possa i­dentificare. La sede degli affetti resta in quelle tracce di villaggio che emer­gono seminascoste ma non cancel­late nella trama della città. Ancora si cercano, e si trovano, tra i palazzoni e i capannoni delle periferie, i lacerti degli antichi borghi. Perché anche nelle megalopoli la sede degli affetti è nei villaggi che la costituiscono, co­me i 'campi' di Venezia».
  In effetti la 'riscoperta' del villaggio come forma di vita è indice di un cam­biamento culturale che accompagna il ripensamento del modello di vita urbano-industriale-burocratico. Nel secondo dopoguerra abbiamo assi­stito al progressivo spopolamento dei paesi. Oggi sta maturando un per­corso
inverso. Loreto Aprutino è un villaggio tipico dell’Abruzzo. Le sue case - alcune vec­chie di molti secoli, altre solo di qual­che decennio - si assommano con grazia sulle pendici del colle entro u­na campagna ricco di uliveti. È uno tra i mille casi, esemplare del fenomeno: si spopolò quasi totalmente dal do­poguerra e tale è rimasto fino a una decina di anni fa. Poi la sua grazia in­trinseca, le viuzze strette alternate da scalinate in cui non passano i mezzi di trasporto, il suo silenzio vibrante nella sera, sono diventati richiamo per qualcuno degli abitanti emigrati ma anche per tanti altri che dalle città del Nord e dall’Inghilterra hanno pre­so a comperare qui case il cui prezzo era crollato a seguito dello spopola­mento. Oggi è uno dei gioielli dell’A­bruzzo, una meta turistica.
  Lo stesso avviene con tante altre zo­ne: si pensi alla valle della Murgia con i suoi trulli e la sua 'capitale', Albe­robello, dichiarata patrimonio del­l’umanità dall’Unesco nel ’96: oggi vi sono
bed & breakfast a non finire per chi vuole un assaggio di quel tempo passato. Mentre i 'sassi' di Matera, ancor pochi anni fa paradigma di ab­bandono e povertà estrema, oggi stanno diventando oggetto di spe­culazione immobiliare. E i villaggi Walser che si estendono sulle Alpi dal Piemonte al Liechtenstein, sono me­ta di visite turistiche guidate, con per­corsi escursionistici sugli alpeggi do­ve la vita era ben grama e dura; men­tre ad Alagna è sorto un museo Wal­ser e molti ristrutturano le caratteri­stiche case col grigliato in legno e­sterno su cui in origine si faceva a­sciugare la segale, oggi divenuto ele­mento architettonico di richiamo. E si riscoprono i nomi, come 'Bru­tium', antico nome della Calabria, oggi usato e abusato per propagan­dare sulle guide turistiche le offerte di vacanze da sogno vicino al mare o sui monti della punta dello Stivale.
  In fondo una delle caratteristiche più
eminentemente e universalmente u­mane sta nel raccogliersi in comunità, costruire il proprio ambiente e in es­so riconoscersi. Lucio Giecillo, ricer­catore del dipartimento Studi urbani dell’università Roma 3, riferisce di u­no studio realizzato 'sul campo' (pubblicato col titolo La città even­tuale,
  Quodlibet 2005) sul modo in cui si organizzano i rifugiati a Roma, in attesa di essere riconosciuti nello stato di immigrati. «Negli interstizi della città sono sorti piccoli villaggi effimeri, totalmente al di fuori della lo­gica della pianificazione urbana. Co­me il cosiddetto 'Hotel Africa' gesti­to per 3-4 anni da persone scampate alla crisi del Darfur, in un capannone
della stazione Tiburtina abbandona­to prima che partissero i lavori per l’Alta velocità: hanno realizzato am­bienti individuali per la notte e luoghi comuni per il giorno, inclusi due bar. O il 'parco polveriera' al Colle Oppio su cui da dieci anni gli ecuadoriani hanno istituito un loro campionato di calcio che è giunto a essere rico­nosciuto ». Microcosmi transeunti che dimostrano l’insopprimibile neces­sità di creare luoghi di identità come ambienti di vita, diventati anche stru­mento di comprensione. «Questi mi­crocosmi ovunque presenti vanno ri­trovati e rispettati - conclude Luciani - Non a caso sono sorti spontanea­mente oltre 200 comitati per salvare i luoghi più diversi: una antica villa in Toscana sotto le mire della specula­zione immobiliare o un prato in Ve­neto minacciato di diventare una ca­va. Non più solo quel che è conside­rato 'patrimonio monumentale', ma il luogo come sede dell’identità delle persone: questo oggi si vuole ritrova­re. Come necessità umana, al di fuo­ri delle rigidità istituzionali».
 Il caso

 Nel dopoguerra c’è stato in Italia uno spopolamento dei borghi, ma oggi siamo in controtendenza. Al via le Giornate di studio sul paesaggio. Gli esperti ricordano il bisogno di vivere in un ambiente condiviso


 Domenico Luciani: «Un’aberrazione della modernità aver pensato di fare a meno dei piccoli paesi»







I trulli di Alberobello. Nella foto sopra Quarto Oggiaro a Milano