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Per un manuale di guerriglia dell'informazione

di Gianluca Bifolchi - 02/02/2008

Una sostanziale innovazione del marxismo-leninismo all'interno della più generale tradizione marxista e secondo-internazionalista era la nozione che per fare la rivoluzione non è affatto necessario attendere il pieno sviluppo delle forze produttive del capitalismo, e dunque delle sue contraddizioni intrinseche. In Russia, infatti, la rivoluzione proletaria esplose all'interno di un sistema sociale ed economico ancora proto-capitalistico, e semmai secondo l'ortodossia marxiana si trattava del paese europeo in cui una rivoluzione aveva meno possibilità di riuscita. Ma la rivoluzione ci fu, a dispetto di ciò che se ne dice oggi fu un grande successo, e durò assai più della rivoluzione francese.

Oggi assistiamo ad un curioso estremizzarsi della concezione marxista-leninista (scherzi della storia): in molti sarebbero pronti a concedere qualche apertura di credito sulla possibilità che in America Latina si compiano autentiche rivoluzioni socialiste, ma nessuno scommetterebbe un soldo sulla possibilità che esse possano compiersi in Europa occidentale, o addirittura negli USA. Eppure, l'ortodossia marxista indurrebbe ad aspettarsi rotture rivoluzionarie in California, piuttosto che in Venezuela o in Bolivia.

L'idea latente in questo cambiamento del paradigma rivoluzionario è che l'occidente industrializzato ha dimostrato di saper gestire bene le sue crisi periodiche, e dato che un sistema sociale tende per natura all'equilibrio, il livello di benessere diffuso raggiunto negli USA e in Europa occidentale, conferisce all'insieme una notevole stabilità che non può essere minacciata da un messaggio rivoluzionario originato da minoranze politiche isolate.

Questa teoria, ancorché in larga misura esatta, è tuttavia lacunosa.

Nessuna analisi obiettiva dei media mancherà di rilevare come la circolazione dell'informazione, nell'occidente industrializzato, è sottoposta ad un rigoroso controllo politico. Col che non si intende un controllo da parte degli organi del governo, ma un controllo esercitato dalla proprietà editoriale medesima per dare maggiore visibilità a certe opinioni e minore ad altre (fino all'estremo del totale oscuramento). Questa diversità di trattamento non esprime affatto il successo di determinate opinioni rispetto ad altre in un ipotetico mercato liberale delle idee, in cui alcune si sono dimostrate più valide di altre. Essa riflette un preesistente rapporto di forza, corrispondente al controllo dei capitali che si possono investire nel grande affare dell'informazione, e la logica di questo controllo è nel mantenimento o rafforzamento di questi rapporti di forza.

Di conseguenza il grado di benessere diffuso nell'occidente industrializzato è condizione necessaria ma non sufficiente della sua stabilità, e la teoria dell'equilibrio sociale del capitalismo avanzato deve essere riformulata in questo modo: la presenza di un elevato grado di benessere diffuso permette la promozione e il rinforzo di un modello culturale fatto di atomizzazione delle relazioni sociali, conformismo, passività politica, e soggezione mentale alla persuasione occulta dei messaggi pubblicitari. A fronte di un disagio sociale troppo marcato questo modello culturale conservatore non risulterebbe credibile, e ciò spiega perché in America Latina il catechismo neoliberista sia contestato così duramente.

Apparentemente, da un punto di vista politico, questa riformulazione non cambia nulla per quanti hanno posizioni anticapitaliste, ma non è così. Intanto i processi di crescita della sperequazione nella divisione della ricchezza in atto in tutto il mondo capitalistico pongono la questione se il grado di soddisfazione generale verso il sistema esistente sia un dato definitivamente acquisito o non possa erodersi in proporzione alla crescita del disagio sociale.

Inoltre, le tendenze monopolistiche a livello globale nel settore delle imprese editoriali si scontrano con un'evoluzione tecnologica dei media che dischiude la partecipazione democratica dal basso in forme apparentemente incoercibili. Se questo messaggio che sto scrivendo proprio ora ha possibilità di circolazione virtualmente illimitate, diventa difficilmente giustificabile un atteggiamento fatalistico di fronte al modello culturale dominante, che può essere attaccato in mille modi.

Prevedo che nel prossimo futuro la guerriglia dell'informazione diventerà una tattica privilegiata dei soggetti antagonisti. Chi ne scriverà il manuale?