Una lezione di ebraico
di Gilad Atzmon - 08/01/2006
Fonte: Comedonchisciotte
Pace non è Shalom e Shalom non è Sharon
Negli ultimi giorni abbiamo letto alcuni articoli che elogiavano le ultime mosse politiche di Sharon, che ha intrapreso nei suoi nuovi panni appena indossati di amante della pace. Sharon, un famigerato criminale di guerra, un uomo che è riuscito costantemente a dimostrare che manca completamente di qualsiasi remora morale o etica, è riuscito a convincere i media occidentali di essere la ‘voce della responsabilità’ israeliana. A scanso di equivoci, Sharon e il popolo israeliano sono davvero devoti amanti della ‘pace’, però è piuttosto fondamentale fare presente che il concetto israeliano di pace è assolutamente lontano da qualsiasi nozione di pace conosciuta dal resto dell’umanità. Se si pensa alla parola ebraica che significa pace di solito si fa rifermento alla parola ‘shalom’. Ma è evidente che shalom e pace non sono sinonimi, perché in realtà sono due parole molto diverse. Se shalom si riferisce all’assenza di conflitti nel raggiungimento un senso generale di sicurezza, pace ha un significato molto più ampio. Pace è una soluzione reale. Pace è la ricerca di armonia fra i popoli. Pace è fondamentalmente riconciliazione.
È molto triste ammettere che nella mentalità ebraica manca totalmente l’accezione più ampia del concetto di pace in termini di armonia e riconciliazione.
Per gli israeliani shalom significa applicare una strategia che possa garantire un rifugio personale e nazionale al popolo ebraico. Per gli israeliani shalom vuol dire vivere in pace, né più né meno di questo. Come si possa raggiungere o mantenere lo shalom non preoccupa particolarmente gli israeliani. E nemmeno il fatto che milioni di palestinesi siano soggetti al terrorismo di stato sotto forma di gravi crimini di guerra condotti dalle Forze di Difesa Israeliane, lo considerano un vero e proprio problema. Praticamente, piuttosto che armonia e riconciliazione, shalom è una serie di manovre politiche e militari per reprimere il nemico del popolo ebraico.
E questa stessa filosofia dello ‘shalom’ è proprio nel fulcro della scuola sionista di sinistra. È questa stessa percezione che porta la sinistra israeliana a credere che l’opzione ‘due stati per due popoli’ sia attuabile. Chiaramente la soluzione dei due stati promette shalom: garantisce sicurezza personale e rifugio al popolo ebraico. L’anno scorso, nei giorni precedenti il ritiro unilaterale da Gaza, Sharon ha dichiarato: “noi (gli israeliani) vogliamo lo shalom ma vogliamo definirne i termini e le condizioni”. L’idea di Sharon non è tanto lontana dal programma di Shalom Now (‘Shalom Now’ è un movimento di sinistra israeliano per lo shalom, ed è stato erroneamente tradotto in “Peace Now”). La comprensione di Sharon del termine shalom non è molto diversa dalla filosofia di Peres e, in termini categorici, non è tanto distante dalla percezione di Uri Avnery del movimento Gush Shalom. Gli israeliani che inseguono la pace vogliono sempre ‘definire i termini e le condizioni’. È vero, i ‘termini e le condizioni’ di Avnery, Peres e di Sharon sono diversi, ma tutti credono nella divisione tra i popoli. Credono tutti in due stati per i due popoli. Possono discutere sui confini, ma aspirano tutti a risolvere la questione ebraica in termini sia personali che nazionali. L’intero movimento shalom si occupa, con metodi diversi, della divisione tra gli ebrei e i gentili, e questo è il reale significato della parola israeliana shalom. È abbastanza triste che questa strana visione egocentrica del mondo politico sia il nucleo centrale del pensiero della sinistra israeliana, proprio come la separazione è l’obiettivo centrale del sionismo. Questa è la logica che sta dietro l’abbandono collettivo della causa palestinese, p.es. “il diritto di ritornare” da parte del movimento shalom israeliano. Ci si potrebbe chiedere come sia possibile che la sinistra israeliana ignori la causa dei loro nemici, il popolo con il quale vorebbero fare shalom.
Come potranno mai gli israeliani instaurare un rapporto armonioso con i loro vicini? La risposta è semplice: la sinistra israeliana non è interessata alla riconciliazione e all’armonia. A loro interessa shalom e shalom non è pace.
Sei mesi fa Bush ha definito Sharon un ‘uomo di pace’. Francamente Bush non si sbagliava del tutto, si era solo perso nella traduzione. Sharon non è un uomo di pace, è un uomo di shalom. Dal momento che è un ebreo nazionalista militante e una persona abile ed esperta, Sharon è riuscito ad afferrare il maggior paradosso all’interno del pensiero politico sionista. Nel discorso sionista è la sinistra che si sta dirigendo verso uno stato invasato nazionalista e razzista. I falchi, dall’altra parte, spingono verso una realtà multinazionale di un ‘unico stato’. Per quanto ad alcuni possa sembrare strano sono i coloni ebrei che si stanno impegnando nella creazione di una realtà sociale indivisibile di uno stato, benché a larga maggioranza palestinese. Sono i coloni che stanno rovesciando lo stato nazionale ebraico. Sharon, lui stesso mentore storico del movimento dei coloni, è riuscito a diagnosticare questa frattura all’interno della filosofia colonica. Il vecchio ora si è reso conto che la conservazione dello stato ebraico e la sua salvezza dalla catastrofe demografica dipendono completamente dall’immediata separazione dalla popolazione palestinese. Sharon e tutti i fautori dello shalom vogliono uno stato ebraico solido con una chiara maggioranza ebraica. Questa consapevolezza si è recentemente evoluta nel ritiro da Gaza, e significherebbe anche l’allontanamento dalla Cisgiordania nel prossimo futuro. È vero che Sharon si è unito al movimento shalom ma non vuo dire che è diventato un amante della pace. Sembra proprio che il vero significato della parola pace non si possa tradurre in ebraico moderno.
Il significato di pace non è traducibile nella realtà israeliana.
Inoltre non solo pace non si traduce con shalom, ma la sincera aspirazione israeliana alla pace non garantisce altro che la continuazione della guerra. Se il risultato dello shalom è in realtà la divisione tra i due popoli del paese, non potrà mai portare armonia e riconciliazione alla regione e questo per ovvie ragioni. Shalom non potrà mai rivolgersi sia alla causa sionista che a quella palestinese: non si occupa minimamente del diritto dei palestinesi, dettato dalla morale, di ritornare. Ma trascura anche l’oltraggiosa pretesa nazionalista ebraica di stabilirsi sull’intero territorio della grande Israele a spese degli indigeni palestinesi. Per cui shalom è la continuazione della guerra. Certamente Sharon vuole lo shalom, probabilmente è questa la ragione per la quale Blair e Bush sono così entusiasti di lui. Con Sharon al potere, e sembra che ci rimarrà, continuerà a prevalere lo shalom. Si imporrà ai palestinesi uno shalom unilaterale. Uno shalom che permetterebbe il bombardamento infinito e spietato dei palestinesi che insistono per tornare nella loro patria. Quello che rimarrà della Terra Santa è un crudele shalom che uccide chiunque decide di vivere in pace.
Fonte: http://www.gilad.co.uk/
Link: http://www.gilad.co.uk/html%20files/hebrewlesson.html
Novembre 2005
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di OLIMPIA BERTOLDINI