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Freaks: scherzi di natura

di Walter Catalano - 02/02/2008

Fonte: jubaleditore

 

A dire il vero, ora che gli uomini, enormemente moltiplicatisi, hanno popolato il mondo intero, è assai diminuito il numero dei mostri che nascono sotto il sole.
(Anonimo – Liber monstrorum de diversis generibus/Libro delle mirabili difformità)

Era già abbastanza brutto vederli durante il giorno quando andavo sul set o dovevo passare per la loro sala mensa; ma quando poi dovevo vedermeli sulla moviola per 18 ore al giorno, ciò bastava a farmi strisciare su per il muro”. Così commentava Basil Wrangell, il montatore del film Freaks, capolavoro maledetto realizzato nel 1931 dal regista Tod Browning - lo stesso del primo, celeberrimo Dracula con Bela Lugosi.
In questo horror, per la prima volta nella storia del cinema, non c’erano trucchi: i mostri erano assolutamente autentici. Nani, torsi umani, microcefali, siamesi, uomini scheletro, donne barbute, ermafroditi, tutta la casistica delle possibili difformità conosciute vi era stata rappresentata grazie ad un lungo e terribile lavoro di casting, che li aveva selezionati nei circhi di tutti gli Stati Uniti.
Il film fu un fiasco tremendo: durante l’anteprima gran parte degli spettatori abbandonarono la sala disgustati, il produttore impose un nuovo montaggio ed un “lieto fine”, ma anche in questa nuova versione (l’unica tuttora esistente) il risultato fu analogo. L’America puritana e perbenista non poteva sopportare lo shock: “Chiunque consideri questo un divertimento, dovrebbe essere ricoverato nel reparto di patologia di qualche ospedale”; “Questo film non ha scusanti. Solo una mente corrotta può averlo prodotto e ci vuole un gran stomaco per sopportarlo”; ecco i tipici commenti dei critici dell’epoca.
Solo in anni recenti quest’opera, che quasi stroncò la carriera al suo autore, è stata riconosciuta come un capolavoro multiforme: immagine della vita nel circo e documentario ricostruito sui “mostri”, le “curiosità” che vi si esibivano, rappresentati, con partecipazione talvolta commovente, nella loro vita di uomini, di persone dai sentimenti e dalle passioni perfettamente normali a dispetto delle loro anormalità fisiche.
Solo pochi altri registi altrettanto amanti della provocazione, in anni a noi molto più vicini, hanno osato mettere in scena simili, scabrosi personaggi: Werner Herzog con Auch Zwerge Haben Klein Angefangen (Anche i nani hanno cominciato da piccoli), in cui una banda di terribili e autentici nani mette a soqquadro il metaforico istituto che li ospita; e David Lynch con The Elephant Man, in cui il bravissimo John Hurt, debitamente e orribilmente truccato, interpreta John Merrick, lo sfortunato Uomo Elefante vittoriano. Entrambi i film hanno avuto un certo successo ma sempre stemperato dalla tendenziale “sgradevolezza” dell’argomento: se il perturbante immaginario ci induce solo un piacevole brivido, quello reale provoca effetti potenzialmente devastanti.
Il termine latino monster – che derivi da moneo, ammonisco, o da mostro, esibisco – indica, nella concezione propria all’Antichità, una volontà di integrazione dell’anormalità all’interno del reale: l’eccezionalità non era vista come capriccio, ma come segno; apparteneva quindi alla sfera del sacro o ne era manifestazione indiretta.
In totale antitesi con questa concezione è invece quella espressa dalla parola inglese freak, che deriva da freak of nature, “scherzo di natura”, da cui “fenomeno da baraccone”, bizzarria da esporre a pagamento nei circhi, nei luna-park e nelle fiere paesane alla malsana curiosità delle folle. Uno dei testi più antichi riguardante i mostri, un lessico babilonese risalente al 2800 a.C., insegna ad interpretare il monstruum come segno: le tre sottoclassi tradizionali della teratologia, mostri per eccesso, mostri per difetto e mostri doppi, hanno ognuna un significato diverso, fausto o nefasto. Ancora i romani praticavano analoghi vaticini.
Se presso le civiltà antiche non era ignota la pratica di sopprimere i bambini malformati appena nati, spesso tramite un sacrificio rituale, era assai più comune che essi venissero preservati e venerati: non esisteva infatti nel Mondo Antico quella mentalità che ha portato al fenomeno tipicamente moderno dell’“eugenetica” e alla volontà di eliminazione del diverso in nome di un presunto modello di purezza o di salute. La forma era pertinenza dell’umano e ciò che tale forma infrangeva non era a questo necessariamente inferiore ma piuttosto superiore o comunque pertinente ad un altro piano: divino o infero.
Già dai tempi di Plinio, nel II sec. a. C., però, emerge la tendenza ad “usare” il “mostro” come oggetto di divertimento: Lucius il nano, buffone di Augusto, ebbe addirittura una statua eretta in sua memoria nel palazzo dell’imperatore. E così, fino alle corti spagnole del Seicento e oltre, i “mostri” furono passatempi per un’aristocrazia annoiata. “Ma le risate dei ‘normali’ – commenta Leslie Fiedler nel suo saggio Freaks: miti e immagini dell’io segreto – devono essere sempre state ambigue e di difesa… L’autentico freak suscita invece sia un terrore soprannaturale sia una naturale simpatia, perché, a differenza dei mostri mitologici, è uno di noi, un figlio umano di genitori umani, trasformato però da forze che noi non comprendiamo bene in qualcosa di mitico e di misterioso come non lo è mai un semplice storpio. Incrociando l’uno o l’altro per la strada, possiamo essere contemporaneamente tentati a distogliere gli occhi o a guardare; ma nel caso dello storpio non percepiamo alcuna minaccia a quei limiti disperatamente difesi dai quali dipende qualunque definizione dell’equilibrio mentale. Solo il vero freak contesta i confini tradizionali tra maschio e femmina, sessuato e asessuato, animale e umano, grande e piccolo, io e altro, e quindi tra realtà e illusione, esperienza e fantasia, dato di fatto e mito”.
Se nel medioevale Liber monstrorum de diversis generibus (Libro delle mirabili difformità), dell’ottavo secolo, mostro mitologico e mostro naturale si trovano ancora fianco a fianco, fra il ‘500 e il ‘600, con il progredire della medicina, andò sviluppandosi un interesse scientifico per lo studio e la raccolta di reperti irregolari e anomali: i primi passi della teratologia come branca dell’anatomia patologica. Il medico e naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi (1522/1605) fu uno dei primi, con il suo Monstrorum historia, pubblicata postuma nel 1642, a raccogliere una vera e propria enciclopedia del mostruoso in cui questo trovava ancora una giustificazione mitica nel contesto magico-astrologico del tardo Rinascimento e così aveva fatto anche Ambroise Paré con Des monstres et prodiges (1570). Ma fu soprattutto Fortunio Liceti (1577/1656), professore di fisica aristotelica a Padova, nel suo De monstrorum natura, caussis et differentiis (1616), a tentare con certa precisione tassonomica una classificazione dei mostri: li divise in due gruppi, mostri uniformi e mostri multiformi, e ogni gruppo in dieci classi; negò loro inoltre ogni valore di presagio.
Manifestazioni del sacro, divertimento di principi, oggetto di studio scientifico, i mostri entrarono nel massificato ed utilitaristico mondo moderno con la prima rivoluzione industriale. Il testimone letterario di questa, lo scrittore inglese Charles Dickens, lo fu anche dei freaks nel suo romanzo del 1840 The Old Curiosity Shop (La bottega dell’antiquario) e il primo divertimento di massa prima dell’invenzione del cinema, il Circo Barnum e Bailey, dette ampio spazio alle deformi “curiosità”.
E proprio nell’Inghilterra del primo ottocento ed in seguito in quella vittoriana, il cinismo del capitalismo industriale avanzante unito alla pruderie sessuale del puritanesimo, scatenava il morboso interesse, voyeristico ed erotico, per i “fenomeni”, i “mostri”, i “freaks”. Mentre il governo faceva impiccare gli ultimi luddisti – mostri di altro genere – rei di sabotare le macchine e il progresso, circhi e baracconi facevano affari d’oro mostrando prodigi veri e falsi al nuovo imprenditore tessile, fiero dei suoi telai a vapore, come all'artigiano appena regredito ad operaio salariato: l’uno investiva, cercando distrazione, qualche penny dei facili guadagni, l’altro finiva di abbrutirsi dopo le 18 o 20 ore di prigionia nelle nuove fabbriche. Una bella galleria di mostri al di qua e al di là delle sbarre della gabbia.
In quegli anni o poco dopo si hanno le testimonianze più precise e dettagliate, in cui la pretesa neutralità scientifica mal traveste lo sguardo rapace del guardone, sulla vita e le deformità dei freaks, tornati temporaneamente divi di un olimpo desacralizzato. Primo fra tutti il celeberrimo Uomo-Elefante, John Merrick, “La sua caratteristica più impressionante era la testa enorme – scriverà il dottor Frederick Treves, che lo salvò dai suoi sfruttatori circensi facendolo ricoverare in un ospedale a Londra nel 1884 – e deforme. Dalla fronte sporgeva una grande massa ossea simile a una pagnotta, mentre dalla nuca penzolava un sacchetto di pelle spugnosa con l’aspetto di un fungo, la cui superficie ricordava quella di un cavolfiore bruno… L’escrescenza ossea sulla fronte gli occludeva quasi completamente un occhio… Dalla mascella superiore sporgeva un’altra massa ossea. Usciva dalla bocca come un moncherino rosa, rovesciando il labbro superiore e riducendo la bocca stessa ad una mera apertura sbavante…”. La schiena, le natiche, le gambe e le braccia del disgraziato erano inoltre ricoperte di “escrescenze papillomatose” che le rendevano orribilmente simili alla pelle rugosa di un elefante: “…che fosse ancora umana – era l’attributo più repellente della creatura. Non c’era nulla in essa della miseria del malformato o del deforme, né del grottesco del freak, ma solo la disgustosa insinuazione di un uomo mutato in animale…”. Merrick era però una persona tutt’altro che animalesca, di animo affabile e gentile, appassionato di teatro e di poesia, avido lettore e amante della natura, si illuse sempre di trovare una ‘Bella’, fra le molte caritatevoli dame della Londra bene – dove il suo caso aveva fatto cronaca – che gli recavano visita o gli inviavano foto con dedica, che potesse accettare la ‘Bestia’. Morì a ventisei anni, soffocato per aver cercato di sdraiarsi e dormire “come gli altri” – le dimensioni pachidermiche della testa non gli permettevano infatti una posizione di riposo normale.
Più fortunata in amore fu la Donna Mula, Grace McDaniel. “La sua carne era come polpa rossa cruda; il mento enorme era talmente storto da impedirle quasi di muovere le mascelle. I denti erano seghettati e aguzzi, il naso largo e adunco… in realtà non assomigliava affatto ad una mula ma piuttosto ad un ippopotamo…”; nonostante questo, ricevette numerose proposte di matrimonio e si sposò infine con “un simpatico giovane innamorato di lei”.
Numerose altre poi sono le vittime di disfunzioni dello scheletro o della pelle assurte alle glorie dello spettacolo e della medicina: Koo Koo la Ragazza Uccello; Priscilla la Donna Scimmia; l’Uomo Porcospino; il Ragazzo Alligatore, ecc. ecc. In questa insolita galleria non possiamo dimenticare Chang e Eng, i fratelli siamesi originali – in realtà cinesi nati nel Siam nel 1811 – attaccati per lo sterno e in eterno litigio fra loro: Chang ubriacone, amante delle donne, delle barzellette volgari e dei cibi orientali piccanti; Eng astemio e vegetariano, poco incline alle compagnie femminili, austero e intellettuale. Evitavano di rivolgersi la parola per non litigare e l’umorista americano Mark Twain scrisse di loro: “durante la Guerra di Secessione avevano combattuto entrambi valorosamente Eng per l’Unione e Chang per la Confederazione e si erano reciprocamente presi prigionieri a Seven Oaks”. Si sposarono entrambi con due americane, l’uno con Sarah Ann, l’altro con Adelaide Yates, e generarono in tutto ventidue figli, tutti normali, “12 Sarah, presumibilmente da Eng, 10 Adelaide, presumibilmente da Chang”. Le famiglie vivevano in case diverse, di una delle quali era capo Eng, dell’altra Chang, dove passavano tre giorni per uno. Tentarono più volte di farsi separare chirurgicamente, ma i medici dell’epoca valutarono che l’operazione sarebbe stata fatale. Furono fra i pochi freaks ad arricchirsi con Barnum divenendo poi impresari di sé stessi. Il progressivo alcolismo di Chang lo portò alla paralisi e alla morte nel 1874: terribile fu l’agonia di Eng, attaccato al cadavere del gemello. Si volle tentare in extremis un’operazione che separasse il vivo dal morto, ma un colpo apoplettico stroncò Eng prima che i medici potessero intervenire.
Un’altra categoria di siamesi particolari da citare è infine quella degli “Uno e mezzo”: esseri umani pienamente sviluppati con un corpo parassita incompleto unito al loro. Uno dei più famosi fu Laloo l’Indù, che nel 1899 fu tra gli organizzatori di un comizio di protesta contro Barnum in cui gli artisti del circo chiedevano di essere chiamati “prodigi” e non più freaks. Più famoso di lui il cubano Jean Baptista dos Santos che, oltre a un paio di gambe congiunte in soprannumero, aveva due grossi organi virili perfettamente funzionanti: “Si diceva che usasse entrambi i peni, continuando con l’altro dopo che aveva finito col primo…”.
L’invasione suprema nell’intimità personale che simili dettagli biografici evidenziano svela il gusto ambiguo del “normale”, la sua curiosità incredula, la volontà pervicace di violare il mistero quotidiano di queste creature mutanti, repellenti eppure fascinose.
Ancora Fiedler individua acutamente in questo gusto proibito “un collegamento con gli spettacoli per voyeur o con i film porno; la sensazione di guardare, riluttanti ma affascinati, l’oscenità messa a nudo dell’io o dell’altro… quel tanto di pornografico che è implicito in tutti i freak shows… nei quali bizzarrie adulte guardano dall’alto in basso con i loro occhi vivi gli occhi altrettanto vivi degli spettatori”.