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Tra il Kosovo e Mastella

di Ennio Remondino - 02/02/2008





 

Chiunque nei Balcani ti individui come italiano, finisce a chiedere cosa farà Roma senza governo di fronte alla prossima indipendenza unilaterale del Kosovo. Stessa domanda, con speranze contrarie, sia a Belgrado sia a Pristina. Da italiano in forte imbarazzo, le domande degli altri aumentano soltanto i dubbi personali. Avrebbe resistito il governo Prodi nella sua intenzione annunciata di riconoscere l'indipendenza del Kosovo albanese anche se contro la Serbia? Con la storia dei Se, immagino l'Italia inciampare su una grave questione internazionale come il Kosovo invece che su Mastella. Fosse vero.

Per fortuna in Serbia e Kosovo hanno in questo momento questioni più importanti cui pensare che chiedermi chi mai sono questi Mastella e Dini.

Anche nei Balcani, del resto, è vigilia ovunque. In Serbia, la partita formale è sulla elezione del nuovo Presidente della Repubblica che dovrà affrontare lo scippo del Kosovo. Nel Kosovo albanese, vale il tira e molla sul giorno dell'indipendenza tra la fretta americana che comanda e lo sconto di qualche settimana che chiede l'Unione europea destinata soltanto a pagare i conti. Per tutto il resto del mondo, a partire da quella sorta di Babbo Natale in vestaglia blu e barba della vecchiaia che è ormai l'Onu, l'interrogativo è su quanto sarà indigesta la frittata Kosovo che ci è stata scodellata nel piatto dagli Stati Uniti attraverso la Nato.

Partiamo dalla Serbia, destinata anche questa volta ad indossare la veste del “cattivo” di sempre, necessaria alla politica balcanica degli Stati Uniti come i fantasmi comunisti sono indispensabili a Berlusconi in Italia. La Serbia alla vigilia del voto, sa di dover subire l'amputazione del Kosovo, e deve scegliere quanto e come arrabbiarsi, visto che nessuno al mondo ha spiegato perché ciò debba accadere. Non lo ha deciso l'Onu, non potendo intervenire sullo status territoriale di uno stato membro. Se ne sta zitto e muto lo stesso Consiglio di Sicurezza che, oltre a Russia e Cina, ha attualmente al suo interno una maggioranza di paesi contraria a forzare le vecchie regole. Non lo ha deciso l'Unione europea, visto che non ne ha alcun titolo.

Non lo hanno deciso neppure gli albanesi del Kosovo che, da soli, avrebbero dovuto inserire le loro legittime aspettative d'indipendenza in una lista d'attesa planetaria lunga come quella per una Tac al San Camillo. Alla fine, guarda che ti riguarda, ha deciso soltanto Washington. Ha deciso l'amministrazione Clinton, quando ha trascinato la Nato nei bombardamenti sulla Jugoslavia. Ha confermato l'amministrazione Bush per garantirsi la base militare di Camp Bondsteel, nata nel sud del Kosovo guardando all'Iraq. Gli Stati Uniti hanno scelto 20 anni fa l'alleanza con la componente albanese delle popolazioni dei Balcani, e l'Europa, portata per cultura condivisa e storia mondiale sofferta ad una vicinanza naturale con le popolazioni slave del sud, contraddice se stessa (e i suoi interessi) e si accoda. L'equivoco eterno su dove finisce la Nato e comincia l'identità politica dell'Unione.

I serbi sono europeisti, tutti. Sono internazionalisti per cultura, parlano le lingue ed amano viaggiare. Cittadini del mondo. I serbi hanno anche buona memoria, e questo, nella politica internazionale, non aiuta. Ricordano, per esempio, che l'attuale “ministro degli esteri UE” Xavier Solana era, nel 1999, il Segretario generale Nato che diede l'ordine d'attacco ai caccia bombardieri su Belgrado. Qual è dei due Solana quello che oggi sostiene l'indipendenza unilaterale del Kosovo albanese?  Su questi interrogativi si deciderà domenica tra i candidati Nikolic e Tadic. Non la partita tra isolazionisti ed europeisti, non tra nazionalisti e democratici. I serbi dovranno scegliere se credere nell'autonomia politica dell'Unione rispetto alla Nato e agli Stati Uniti o se far prevalere l'amarezza dell'esperienza recente. Dovranno decidere se l'Europa che vale e che prevale è quella della comprensione o quella, algida, di certa intransigenza ugonotta. Dovranno decidere se dare credito agli sforzi (anche italiani) di una integrazione europea possibile, o se ritenere prevalente la cattiva coscienza olandese. Quel pretendere lo scambio tra la testa del latitante Mladic e l'avvio delle procedure di accesso, per farsi perdonare quei settemila musulmani di Srebrenica, consegnati al macello di Mladic dalla codardia dei suoi caschi blu.

Poi c'è la Russia di Putin, che all'operazione tutta statunitense del Kosovo, si oppone da sempre. Contratto miliardario in petro-rubli con la Serbia, interpretato come aiuto al candidato nazionalista Nikolic. L'Europa, nella confusione vista, fa il tifo per il moderato Tadic, che parte in svantaggio. Tadic, che incassa soltanto l'aiutino UE sui visti Schengen e la promessa di un antipasto d'accordo d'adesione subito dopo la sua elezione, potrebbe recuperare con il sostegno dell'attuale premier conservatore Vojislav Kostunica. Mercatino elettorale aperto (anche qui), interpretato in genere nell'equivoco. Nessuna alternativa tra Bruxelles o Mosca, nella scelta dei serbi, storicamente più innamorati di Tolstoj che delle cupole del Cremlino, ma la forte tentazione di dire un vigoroso No ad un'Unione in fotocopia atlantica. L'assurdo possibile, alla fine di tutto, quello di una UE riluttante che eredita dagli Stati Uniti l'ingestibile pasticcio Kosovo, e una Serbia storicamente Europa che apre e si apre ad una Russia che con l'Europa fa affari, ma in decisa concorrenza.

Anche il Kosovo delle apparenti certezze, naviga a vista. L'indipendenza è scontata, ma di minuto in minuto sembra cambiare sia il quando sia il come. I vertici albanesi annunciano da settimane un'indipendenza “a giorni”, neppure fossero loro a poter decidere. L'Europa, spaccata e dubbiosa come non mai, cerca di rinviare a primavera per evitare al governo spagnolo la grana elettorale dell'indipendentismo basco che dal Kosovo già ha annunciato di prendere esempio. Gli Stati Uniti non ci stanno e fanno sapere di concedere, al massimo, il tempo necessario al nuovo presidente serbo di insediarsi nell'incarico. Dal 6 al 10 febbraio. Gli inglesi, che vogliono sempre mostrarsi più duri dei cugini che comandano, di fronte alla possibilità di una vittoria di Nikolic in Serbia, propongono l'autoproclamazione il giorno dopo. L'indipendenza-manganello. I generali italiani del contingente Nato, muti come pesci, chiamano in Kosovo altri 500 alpini per “pura e semplice esercitazione”. Proprio ora e assolutamente “per caso”.  

Con questo siamo al “come”. Cosa accadrà in Kosovo, cosa accadrà nelle enclavi serbe isolate, cosa accadrà nella Metohija serba del nord, cosa farà la Serbia, cosa farà la Russia, cosa accadrà a catena, nel resto dei Balcani. Cosa sarà costretta ad inseguire l'Unione europea. Ci vorrebbe un libro. Restiamo all'immediato. Il Kosovo albanese ha tutto l'interesse oggi ad interpretare la parte del buono, evitando gesti di violenza e limitando un'immediata fuga delle sue minoranze interne. Kosovska Mitrovica, il nord serbo, non accetterà la secessione albanese e si appellerà alla risoluzione Onu che riconosce quel territorio alla Serbia. Il fiume Ibar che taglia etnicamente la città potrebbe diventare nuovo confine o trincea di altri combattimenti. Confini serbi ufficiali sigillati per il Kosovo e probabile embargo di merci ed energia elettrica. Il Kosovo si sfama grazie alle merci che arrivano dalla Serbia. “Percorsi di rifornimenti alternativi”, rassicura senza alcuna credibilità il governo di Pristina. Nel freddo polare della stagione, la centrale elettrica di Obilic non ce la fa. Peggio. L'acqua per dissetare Pristina e raffreddare i generatori elettrici arriva dal lago artificiale di Gazivoda, sulle montagne ai confini della Serbia.

Ultimo dettaglio urgente del gran pasticcio. L'Unione europea che non decide ancora l'operatività della sua missione di “protettorato”, lascia alla catastrofica Unmik la gestione civile di questa transizione da brivido. Al momento, a Bruxelles si litiga e si spartisce. Due mila uomini per la futura missione e 250 milioni d'euro per cominciare. Dovrà supplire anche alla missione Osce, cacciata certamente via dal No russo e serbo. Il cappello internazionale sarà in qualche modo Onu (capo un olandese) per avere un vice americano. Poi la missione Ue vera e propria per garantire “Sicurezza e difesa”. Un ex generale francese a far da capo e quattro diverse responsabilità. L'amministrazione comandata da un greco. Le dogane che saranno guidate da un tedesco. Le unità di polizia avranno un capo inglese e molti italiani a fare intelligence (Sismi), Polizia finanziaria (GdF), Polizia speciale (CC). A guida italiana invece il settore giustizia con l'annessa parte carceraria. Era stato deciso prima del caso Mastella, ovviamente.