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Ue: in Italia una tv per pochi eletti

di Tatiana Genovese - 02/02/2008

 

 
Ue: in Italia una tv per pochi eletti



Il regime italiano di assegnazione delle frequenze per le attività di trasmissione radiotelevisiva “è contrario al diritto comunitario”. Ad affermarlo è stata la Corte di giustizia Ue del Lussemburgo, che ha anche sottolineato che “tale regime non rispetta il principio della libera prestazione dei servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”. I giudici dell’Unione europea erano stati interrogati dal Consiglio di Stato in merito ad una causa intentata dalla televisione di Francesco di Stefano, Centro Europa 7, che nel 1999 aveva ottenuto dalle competenti autorità italiane un’autorizzazione a trasmettere a livello nazionale in tecnica analogica, ma non era mai stata in grado di trasmettere, in mancanza di assegnazione di radiofrequenze, e in particolare perché le frequenze che doveva occupare erano occupate da Rete4.
All’epoca la società aveva già inoltrato al giudice amministrativo una domanda diretta all’accertamento del suo diritto ad ottenere l’assegnazione di frequenze, nonché il risarcimento del danno subito, ma la richiesta era stata respinta.
Per tale motivo la causa era passata al Consiglio di Stato che a sua volta aveva interrogato la corte di giustizia dell’Ue sull’interpretazione delle disposizioni di diritto comunitario relative ai criteri di assegnazione di radiofrequenze al fine di operare sul mercato delle trasmissioni radiotelevisive. E ieri è finalmente arrivata la sentenza dei giudici di Lussembuergo per i quali le leggi italiane succedutesi in materia hanno perpetrato un regime transitorio con l’effetto restrittivo di non liberare le frequenze destinate ad essere assegnate ai titolari di concessioni in tecnica analogica e di impedire ad altri operatori di partecipare alla sperimentazione della televisione digitale. Secondo la Corte di giustizia Ue l’assegnazione in esclusiva e senza limiti di tempo delle frequenze ad un numero limitato di operatori esistenti, senza tener conto di criteri di selezione “obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”, è quindi contraria ai principi del Trattato sulla libera prestazione dei servizi.
Dovrebbe avere fine adesso dunque questa epopea che ha visto Rete 4 salvarsi sempre grazie al miracoloso intervento politico che vale la pena rintracciare a grandi linee. Era infatti il 1999 quando, nonostante lo scontro sulle frequenze, il ministero delle Telecomunicazioni, sotto il governo D’Alema, con un’autorizzazione molto criticata consentì la prosecuzione delle trasmissioni analogiche a Rete4; nel 2002 la diatriba approdò alla Corte costituzionale che sentenziò che nessun privato poteva possedere più di 2 frequenze televisive, per cui Rete4 e Telepiù nero avrebbero dovuto cessare le trasmissioni analogiche entro il 31 dicembre 2003. Ma nello stesso anno, il dicastero delle telecomunicazioni, stavolta del governo Berlusconi, presentò la “legge Gasparri” che contemplava l’introduzione dello standard di trasmissione digitale terrestre, garantendo quindi la continuità di trasmissione a Rete4.
La legge, approvata dal parlamento nel 2003 fu tuttavia osteggiata dall’allora presidente Ciampi che appellandosi alla sentenza della Corte Costituzionale, la rispedì alle Camere. Ma nel dicembre del 2003, il governo Berlusconi emette un decreto con cui autorizza le reti Mediaste a continuare a trasmettere in analogico.
Appare poi all’orizzonte la cosiddetta “Riforma Gentiloni” che prevedeva il trasferimento sul digitale terrestre, entro il 2009, sia di una rete Mediaste sia di una Rai, ma nulla di fatto. La bocciatura da parte di giudici dell’Ue del sistema italiano di assegnazione delle frequenze televisive potrebbe rappresentare quindi l’ultima tappa di questo infinito processo che ha visto Rete4 salvarsi sempre per il rotto della cuffia.
Tuttavia i vertici di Mediaset non la pensano così e ieri in una nota hanno spiegato che “il giudizio cui la sentenza si riferisce riguarda infatti esclusivamente una domanda di risarcimento danni proposta da Europa 7 contro lo Stato italiano e non può concludersi in alcun modo con pronunce relative al futuro uso delle frequenze”, aggiungendo che non esiste alcun rischio per Rete4, “pienamente legittimata all’utilizzo delle frequenze su cui opera”.
A questo punto la vicenda diviene ardua da risolvere, soprattutto se in Italia, come è evidente, manca una volontà politica di riformare il sistema radiotelevisivo, figuriamoci poi se il Cavaliere salirà al governo…