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La Passera (Corrado...) che non ci piace

di Massimiliano Viviani - 03/02/2008

       

 

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Il 31 gennaio è apparsa sul Corriere della Sera un'intervista a Corrado Passera, amministratore delegato del gruppo bancario Intesa SanPaolo, durante la trasferta che ogni anno lo porta a Davos al World Economic Forum. «Utilissima», la definisce.
Per lui sicuramente. Un po' meno per tutti coloro che in questi ultimi anni hanno preso posizione contro le conseguenze che la corsa alla competizione globale ha portato e porterà agli occidentali in termini di qualità di vita (per esempio la precarietà del lavoro): chi non ricorda le proteste dei giovani francesi del marzo 2006 contro il contratto di primo impiego, proteste che i sostenitori dello progresso ossessivo tacciarono come "irrazionali"? Ecco, in Francia il pacchetto Attali ultimato in questi giorni sta decretando la vittoria del liberismo pro-globalizzazione. E in Italia? Cerchiamo di chiarire questo dubbio seguendo alcune osservazioni di Passera.
"La verità è che siamo percepiti come un Paese non rilevante." Certo, va ricordato anche che gli altri Paesi occidentali non se la passano molto meglio: nemmeno gli Stati Uniti riescono a tenere il passo della globalizzazione - che loro stessi poi hanno creato, e che evidentemente sta sfuggendo loro di mano - figuriamoci cosa può fare un piccolo Paese come il nostro.
"Non è strano che ci considerino un Paese in forte rischio declino". No, certo, non è strano: infatti sono state proprio le persone come lui che hanno sostenuto per anni i finanziamenti alle imprese italiane che investivano in Cina. Adesso che la Cina sta guidando la globalizzazione a proprio vantaggio, scoprono che l'Italia è a rischio declino.
Quindi Passera comincia a tracciare le (sue) soluzioni: "Ci vuole un cambio di marcia. Se non creiamo più risorse, andrà a ridursi il benessere, e naturalmente le categorie deboli ne soffriranno in modo particolare". Eh no caro Passera, sarete proprio voi a soffrirne in modo particolare, se no non si capisce per quale motivo siete i primi a insistere tanto. E' forse improvviso amore per le classi deboli?
Passera esamina i tratti positivi (secondo lui) del nostro Paese: "In Italia ci sono milioni di persone che si donano ogni giorno in attività non profit che contribuiscono a quella coesione sociale senza la quale non c'è sviluppo accettabile ma solo darwinismo". Coesione sociale per lui quindi è sinonimo di accettazione passiva delle conseguenze, dato che poi ci pensa il no-profit a mettere le toppe ai danni provocati da altri (come lui, per esempio).
Prosegue poi a fare delle considerazioni di carattere politico, a proposito della commissione Attali: "Ci sono obiettivi che non sono né di destra né di sinistra. ... Nella commissione sono entrate personalità di diverso orientamento politico". Questo ragionamento è illuminante sul modo di condurre la politica dei Paesi cosiddetti democratici: praticamente Passera sta dicendo che se la politica si prostra al Mercato e accetta le sue logiche, annullando le proprie particolarità e capacità di scelta, allora il Mercato risulta una soluzione. Una tautologia.
L'intervista si chiude con un auspicio: "Vorrei governi che sappiano puntare su quegli aspetti di una società difficili da misurare ma non per questo meno importanti". In queste parole leggiamo una sorta di rimpianto perchè ci sono ancora cose che non si possono quantificare (e ovviamente, monetizzare). E prosegue: "La qualità dell'istruzione per permettere ai giovani di entrare in un mercato del lavoro che cambia rapidissimamente, la tutela della salute, la difesa del diritto, la sicurezza dalla piccola e dalla grande criminalità, la protezione dei deboli. I soldi vanno usati per fare le cose giuste". Esatto. Purchè non le si facciano solo perchè fanno girare meglio l'economia, a vantaggio poi dei soliti noti. Fra cui lui.