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Gianfranco Fini, Alleanza Nazionale e il Sessantotto

di Carlo Gambescia - 04/02/2008

 

Il mea culpa di Gianfranco Fini sul Sessantotto, come grande occasione mancata dalla destra missina di scoprire, con quarant'anni d'anticipo, la cultura dei diritti civili, merita un commento. E in particolare per quel radicalismo individualistico dei diritti, legato al Sessantotto, che Fini sembra ora condividere. Ponendosi, come dire, in inizio di sintonia, con l'attuale sinistra liberal, che restringe il Sessantotto alle sue "conquiste civili", estendendole però in chiave neoliberista, una volta mandato in soffitta il materialismo storico, alle libertà di mercato ( su questi aspetti rinviamo al nostro post del 28-1-08, Che cosa resta del Sessantotto? Il neoliberismo).
Forse si tratta soltanto di “giochi di società” come fa intuire Alessandro Campi, direttore scientifico di Fare Futuro, fondazione di An e ascoltato, così dicono, consigliere di Fini, in un’intervista di ieri al Corriere della Sera, pubblicata di fianco alle dichiarazioni pro-Sessantotto del Presidente di An. Insomma solo benevole concessioni alla politica spettacolo...
Ma Campi ne è proprio così sicuro? Perché, anche ammesso e non concesso, che il Movimento Sociale Italiano abbia perso nel 1968 questa grande occasione, la mancò proprio in nome di quella strategia "entrista", micheliniana e almirantiana, che avrebbe condotto, un quarto di secolo dopo, alla nascita di An e allo sdoganamento della destra missina. Di cui Fini è stato finora l'abile timoniere. Infatti nel 1968 il Movimento Sociale reagì da forza di destra sistemica (anche se in effetti non lo era ancora), opponendosi politicamente al Sessantotto nelle sue tre forme: culturale, economica e sociale. Come nota giustamente Campi: “Almirante e il Msi videro il ’68 solo in termini di ordine pubblico” e, aggiungiamo noi, di anticomunismo sistemico.
Tipico atteggiamento, quest’ultimo, da destra conservatrice classica, di ieri come di oggi. Il che significa, dando ascolto all'eccellente filosofo conservatore Roger Scruton, che la regola numero uno del gioco democratico è che chiunque sia ancora oggi a destra, continui a essere contro il Sessantotto: perché è di lì che per il vero conservatore devono provenire tutti i mali. Non per niente, un politico di destra ma accorto, tra l'altro assai stimato dal gruppo dirigente finiano, Sarkozy, si è definito il “necroforo del Sessantotto”.
Per tornare ad An, l' apprezzamento di Fini sorprende anche perché non si raccorda con il costante appoggio, almeno fino ad oggi, a politiche in tema di diritti civili molto conservatrici. E sul piano economico di freno alle ondate liberalizzatrici. Tra l’altro, entrambe, poco gradite al suo elettorato, stando almeno allo stato attuale degli studi politologici e anche dei sondaggi d'opinione.
E poi c'è un'altra questione. Qui nessuno nega che intorno al Movimento Sociale nel 1968 ruotassero frange studentesche, diciamo così, movimentiste. Per scoprirlo basta leggere il migliore libro scritto in argomento, quello del giovane storico Alessandro Gasparetti (La destra e il ’68. La partecipazione degli studenti di destra alla contestazione universitaria. La reazione conservatrice missina, Edizioni Settimo Sigillo 2006 - ordini@libreriaeuropa.it ). Dove si scopre, grazie anche alla preziosa appendice di e su Julius Evola e Adriano Romualdi, come in definitiva, la visione eversiva (rispetto all’ideologia Law and Order missina), dei movimentisti di destra, fosse in realtà ultrafascista e/o ipertradizionalista. Altro che libertari e individualisti culturali "ante An" , come ultimamente si legge sulle pagine del Secolo d'Italia... I movimentisti di destra erano antiborghesi come quelli a sinistra del Pci, ma, semplificandone la visione politica e sociale, lo erano in chiave gerarchica e non collettivista (figurarsi perciò se libertaria...). Entrambi disprezzavano la democrazia, il capitalismo, i codici borghesi e di riflesso l'individualismo culturale in tutte le sue forme. E qui si ferma, per attenersi ai fatti, la comune controcultura politica e generazionale dei non conformisti di sinistra e destra. Perché dissentivano sulle mete ultime della “rivoluzione”: un’arcaica società di maschi eroi guerrieri (per gli studenti di destra); la società comunista, egualitaria e forse un po’ femminea, (per gli studenti di sinistra). I primi rifiutavano i valori della modernità in nome di un olismo gerarchico e guerriero, i secondi li inveravano nel collettivismo egualitarista e pacifista. Ed entrambi, olisti e collettivisti, se tornassero oggi, farebbero strame della "cultura dei diritti civili borghesi" celebrata dalla sinistra liberal e ora apprezzata, così pare, anche da Fini.
Pertanto An farebbe bene a ribadire le sue posizioni, invece di inseguire fantasmatiche derive da destra individualistico-libertaria. Rischiando per giunta di perdere voti in favore dei cattolici conservatori e di non guadagnarne a “sinistra”. Dal momento che non si capisce perché un elettore laico, liberale se non liberista e progressista, debba votare An, quando già esistono altre formazioni politiche di centrosinistra con un pedigree liberal-democratico, ben più antico di quello di An.
Si tratta di scelte, che indubbiamente possono alimentare i "giochi di società"della pubblipolitica e far guadagnare qualche titolo su giornali e telegiornali. Ma che possono provocare una pericolosa e crescente disaffezione della base elettorale di An. Anche perché è vero come afferma Campi, che il Sessantotto va studiato e non demonizzato. Ma lo si deve fare seriamente, e soprattutto, visto che An è una forza politica e non un’accademia di dotti professori, tenendo presente la natura molto conservatrice della base elettorale del partito. Anche in vista di assecondare quel processo di ricomposizione storica e democratica in chiave conservatrice della destra italiana, apertosi dopo il 1994 . Il che sarebbe più produttivo sotto il profilo elettorale, onesto sotto quello politico, e benefico sotto quello sistemico, per chiunque, ovviamente, creda nella democrazia rappresentativa e nell'economia di mercato come uniche soluzioni praticabili.
Si può però avanzare, sempre in termini sistemici, anche un’altra spiegazione, diciamo così, più hard.
Come abbiamo accennato all’inizio, la deriva dell'individualismo radicaleggiante, per quanto negativa sotto il profilo della tenuta del bacino elettorale di An, potrebbe però rientrare nell’alveo di una logica sistemica, non più democratica, ma postdemocratica. Fondata su un crescente disgusto sociale di tipo "qualunquista" nei riguardi dell'ideologie classiche di destra e sinistra, pilotato dall'alto, attraverso campagne di stampo neoliberista, contro le "caste" e in favore delle "riforme". Si tratta di una logica postdemocratica rivolta a far venir meno, ma in negativo, ogni distinzione sul piano politico, puntando, grazie al totale controllo dei media, sulla presunta bontà di una “grande coalizione” culturale. E, ovviamente politica: per così governare "al centro", con il placet dei poteri economici forti, una società atomizzata e paralizzata, grazie a una crescente overdose di diritti civili. Una società segnata dall'accoppiamento libero ma anche dal licenziamento facile. Più che liquida allo stato gassoso... Basata insomma su uno scambio con il potere costituito: diritti civili (che al potere economico non costano niente) per diritti economici e sociali (che invece costano molto).
In questo senso la rivalutazione del “Sessantotto dei diritti civili”, soprattutto se "sganciati" come avviene dai diritti sociali ed economici, potrebbe rientrare nel quadro di un processo sistemico di omologazione preventiva di tutte le forze politiche. Dove, alla fine di una “corsa” verso un paludoso centro politico, An e anche le forze della sinistra liberal rischiano di scoprire di aver abbracciato non la causa del Sessantotto, ma quella di un postdemocratico e prepotente Pensiero Unico.
Al posto di Fini e dei suoi consiglieri, faremmo perciò un passo indietro.