Sul Corriere della Sera del 2 Ottobre 2005 veniva riportato il caso di una signora colpita da una sindrome che il neuroscienziato sovietico A. R. Lurjia chiamava prosopagnosia. Si tratta di un deficit cognitivo che segue lesioni dell'emisfero cerebrale destro. Le vittime della prosopagnosia diventano incapaci di riconoscere i volti. Quel che non ha mancato di destare stupore negli esperti del settore è che la signora riconosce solo una persona: Silvio Berlusconi. Non riconosce parenti o vicini di casa, ma riconosce Silvio Berlusconi. Lo studio è arrivato all'attenzione pubblica perché riportato in una delle più autorevoli riviste di neuropsicologia: "Cortex". La spiegazione che gli studiosi italiani danno del caso sono abbastanza interessanti. Parlano di un "canale preferenziale", come se il flusso di determinate informazioni visive cadesse fuori della lesione che ha colpito il cervello della signora. Naturalmente qui non si intende fare della prevedibile e frusta dietrologia su questo singolare episodio.
Il problema è invece un altro: è stata da tempo dichiarata aperta la ricerca su meccanismi neurologi interni, ignoti all'individuo e che possono avere un ruolo determinante nelle sue scelte e nel suo comportamento. A questo punto, il problema delle questioni etiche intorno al flusso delle informazioni assume della caratteristiche del tutto nuove.
Il cognitivismo viene solitamente considerato un settore scientifico estraneo alla psicanalisi e, almeno in termini storici, relativamente poco compatibile con le finalità terapeutiche della psicologia clinica. Tuttavia è legato alla psicanalisi da un fondamentale elemento comune: quanto e più dello stesso Freud, i cognitivisti sono convinti che i processi mentali soggiacenti al nostro comportamento sono, nella maggior parte dei casi, inconsci. Si tratta, tuttavia, di processi completamente diversi da quelli a cui faceva riferimento il medico viennese. Lo studioso Jonathan Miller in un saggio intitolato "Perdere conoscenza" fornisce una serie di argomenti utili per individuare il rapporto problematico tra l'inconscio freudiano e quello che oggi si inizia a definire come inconscio cognitivo. Secondo Miller l'inconscio cognitivo differisce da quello freudiano in quanto:
"I suoi contenuti sono inaccessibili non, come nella teoria psicoanalitica, perchè vengono tenuti in una sorta di severa carcerazione preventiva, bensì per un motivo piu' interessante, e cioè perchè l'efficace esercizio delle capacità cognitive e comportamentali non richiede una consapevolezza totale ".
Tutto questo sarebbe scontato e poco interessante, e farei a meno di alimentare paranoie neuroapocalittiche, se non avessi tra le mani un libro di recente pubblicazione che parla della neuroeconomia in maggior dettaglio rispetto a quanto abbiamo fatto finora. Si tratta di "critica della ragione economica" a cura di Matteo Motterlini e Massimo Piattelli Palmarini. Il titolo non inganni.
La sedicente "critica alla ragione economica" si svolge in effetti tutta all'interno dell'economia.
Cio' che viene contestato è l'approccio "classico" dell'economia che giudica il consumatore un agente razionale. I dati della psicologia delle scelte, dicono gli autori, dimostrano come homo sapiens sia tutt'altro che razionale. Si tratta di una annosa diatriba che prende le mosse dal comportamentismo e che se ne va per li rami della cultura manageriale delle fondazioni USA per tutto il corso del Novecento.
Dalle prime teorie comportamentiste sulla pubblicità di Scott e Watson, passando per Herbert Simon, fino ad arrivare ai recenti premi nobel per l'economia (McFadden, Kahneman, Smith) è un continuo contrapporre gli errori dell'uomo della strada alla razionalità dell'homo oeconomicus previsto dalla scuola degli economisti di Chicago.
Ora, cosa avviene quando gli studi sulla psicologia delle scelte vengono integrati con le tecniche di neuroimmaging ?
Avviene che gli studiosi della "teoria dei giochi" possono avvalersi di precisi spaccati di cervelli in azione. Mentre il "soggetto" sperimentale si misura con "il dilemma del prigioniero", con "tit for tat" o con altri ingegnosi modelli sperimentali sulle relazioni economiche, i ricercatori guardano le sue aree cerebrali accendersi come un albero di Natale.
Facciamo il caso che a un tizio venga detto che ha quasi vinto 100 Euro, ma che prima deve fare un'offerta a un altro tizio, cedendo una parte della sua vincita a quest'ultimo. L'altro tizio ha facoltà, se non soddisfatto dell'offerta, di fargli perdere i 100 euro. Il dilemma del primo dei due sarà quello di capire quanto gli conviene offrire al secondo perché quest'ultimo non gli faccia perdere la sua vincita.
Ora, prendiamo in considerazione l'ipotesi che il nostro uomo, nel corso della transazione, possa visualizzare il cervello dell'altro. Bene. Se nel cervello dell'altro si accende l'insula anteriore (una zona della corteccia confinante tra il lobro temporale e l'occipitale) allora vorrà dire il tizio è un moralista incazzoso e quindi si rischia seriamente che rifiuti un'offerta inferiore ai 30-50 Euro.
Di qui, scrivono due economisti, "l'importanza strategica di leggere la mente dell'altro".
Al di là di quel che si possa pensare di queste sperimentazioni, è abbastanza evidente che dietro una apparente diatriba teorica tra economisti, sia celata una prospettiva inquietante. Cosa interessa infatti a lorsignori di quello che si accende o non si accende nella nostra testa ? Si trattasse di un gruppo di ricerca marginale, si avrebbero buoni argomenti per lasciar correre. Purtroppo, su queste questioni si esercitano le menti migliori della nostra generazione: almeno tre o quattro premi Nobel, le più facoltose fondazioni scientifiche.
Il problema di un'ecologia della mente diviene inaggirabile. Qui non è in questione la verità o la falsità dell'informazione, ma la sua struttura, il suo ritmo, la sua pervasività.
Un saluto Rattus
Link:http://liste.rekombinant.org/wws/arc/rekombinant/2006-01/msg00005.html 4.01.06
L'intervento di "Rattus" mette in luce un paradigma fondamentale della "nuova cultura economica" che è "nuova struttura di forme di produzione" ("Formen", come diceva Marx). Parlo di economia. Ciò mi compete.
Vado tagliando di brutto:
1 La teoria marxista è stata, in economia, messa in crisi dalla teoria delle aspettative razionali (Scuola di Chicago). Quanto ci fosse di vero in ciò è semplicemente inutile appurarlo: Chicago ha vinto.
2. Ma la teoria di Chicago ha mostrato una "fallacia" logica, praticamente grande quanto quella "dell'equilibrio generale" a cui Marx e Warlas, per non parlare di Leontieff, si erano appoggiati. Le razionalità non sono tutte eguali. Guai Grossi!
3. Il "nuovo capitalismo" è asimmetrico. (Stiglitz, Akerloff). Le razionalità sono diverse: l'aspettativa razionale di chi compra una macchina usata non è la stessa di chi la vende, perchè diverse sono le "informazioni" di cui dispongono venditore ed acquirente. Ciò influisce sulla determinazione del prezzo. Stiglitz ha generalizzato questi casi "asimmetrici" al mercato del credito e a quello dell'occupazione.
4. Ragionare sulle "asimmetrie" è un bello ed utile esercizio logico.
5. Assumiamo dunque il "neocapitalismo finanziario" come una macchina asimmetrica. Caratterisca di una macchina asimettrica è che gli "inputs" non corrispondono agli "outpouts". C'è una quantità in più o in meno in ogni transazione. Un "plusvalore di codice, avrebbe detto Deleuze.
6. Qualcosa si perde e qualcosa entra, senza essere percepito, nel processo. Morale della storia: la partita doppia non ci spiega più niente, come niente spiegano i bilanci aziendali.
7. Storia della morale: qui entra in gioco il "capitalismo criminale".
8. Esso non è una variabile del gioco: è il gioco stesso, con questa nuova "costante".
9. Come a dire: a poker non si vincerà mai, nel lungo periodo, se non si bara o si "bleffa", che è la stessa cosa. La teoria di Pascal, sui grandi numeri, viene ogni volta "beffata" dal "trucco".
10. Viviamo un'epoca di trucchi.
Mi fermo qui, per ora, ma da qui aprirei un nuovo capitolo sul "Capitalismo come economia criminale".
Propongo alcuni quesiti.
- Siamo in gradi di differenziare ciò che nell'economia moderna è criminale e ciò che non lo è? Marx si limitava al "furto di tempo di lavoro" (pluslavoro=plusvalore) ho paura che i reati si siano ampliati: dal furto semplice al genocidio di massa. Essi comprendono la guerra, la distuzione dell'ambiente, l'inquinamento dell'infosfera, la schiavitù, i genocidi, i conflitti etnico religiosi, la noia mortale della civitltà contemporanea.
- E se l'intera finanza fosse riciclaggio di denaro "sporco"?
- Se la povertà dei molti venisse scientemente perseguita, come base per la ricchezza di pochi?
- Se le scarsità (d'energia, d'acqua, di cibo ecc.) fossero provocate come base di nuove forme di accumulazione?
Proposta: apriamo un "brainstorming"?
Sbancor Link:http://liste.rekombinant.org/wws/arc/rekombinant/2006-01/msg00011.html
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